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Oltre il calcio: Hallfredsson, dal centrocampo ai campi

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Oltre il calcio: la storia di Alfred Hallfredsson, ex Hellas Verona

Per la rubrica Oltre il calcio ecco la storia di Alfred Hallfredsson, ex centrocampista dell’Hellas Verona e dell’Islanda. Dopo il ritiro, produce olio.

Sembra esserci un misterioso legame tra il mestiere del calciatore, uno dei più “terrestri” perché vincolato al campo da gioco, al suolo, e la terra. Soprattutto quella da coltivare.

Dopo avervi raccontato, un paio di mesi fa, la storia di Paolo Faragò, l’ex Cagliari che ha preso in mano l’azienda agroalimentare di famiglia, oggi vi raccontiamo una vicenda simile, che ha per protagonista il centrocampista islandese Alfred Hallfredsson.

Sei anni in maglia gialloblu

Ex giocatore dell’Hellas Verona, il club al quale è stato legato per 6 anni e ha disputato il maggior numero di partite: 178 in totale. Il suo primo gol in Serie A fu con la maglia gialloblu il 26 gennaio 2014, durante la partita Hellas Verona-Roma.

Nel suo curriculum, anche Tottenham – dove però non ha giocato nessuna partita – Udinese e Frosinone. All’età di 39 anni, ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo. Lo ha fatto lo scorso luglio, dopo tre anni passati al Virtus Verona.

La nuova vita di Alfred Hallfredsson

E ha deciso di reinventare la propria vita da zero, ripartendo proprio da quella terra che gli ha dato tanto in termini di soddisfazione: il territorio della città di Verona. Sul quale produce olio extravergine d’oliva – con il marchio Olifa – ovviamente olive, poi farina, insaccati, pasta e passate di pomodoro, che poi importa in patria con ottimi esiti.

Per completare l’opera, ha aperto anche una pizzeria che utilizza solo ingredienti italiani.

Ecco che cosa ha raccontato a proposito della sua start-up a L’Arena: “L’idea di aprire questo business è stata di mia moglie. Io ci metto la forza delle braccia, niente di più, ma è lei la vera regista di tutto. Lei è Jorginho, io sono il mediano che continua a correre.

Quando tornavamo in Islanda sentiva la mancanza del buon olio italiano. L’intuizione è partita da lì. Così quel suo desiderio è diventato quello di tanti altri islandesi.

A un certo punto ho pensato di chiamare una pizza Ghiaccio Bollente (come il suo soprannome da giocatore, ndr). Ragionando da italiano è una buona idea, ma in Islanda il concetto di freddo e caldo è piuttosto inflazionato. Troppa concorrenza”.

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Il “Fattore Pep” sta cambiando la visione del calcio?

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Pep Guardiola

Il proselitismo di Guardiola, vale a dire la tendenza ad affidarsi ad allenatori che hanno studiato alla scuola del catalano, ha ora una sua nomenclatura.

Il “Pep Factor” spopola: da Maresca a Kompany, tutti i casi

Pep Factor” non è un nuovo programma televisivo, sulle orme del celeberrimo X Factor, ma una nomenclatura (una sorta di neologismo di matrice anglosassone) che sta prendendo piede oltremanica. “E non solo” verrebbe da dire, considerando che il proselitismo di Guardiola sta mietendo vittime worldwide.

Per “Pep Factor” (italianizzato “Fattore Pep“) s’intende quella tendenza ad affidarsi ad allenatori che si sono abbeverati alla fonte del tecnico catalano. I casi più recenti sono Arteta (in forze all’Arsenal dopo il suo trascorso nell’Academy del Manchester City) ed Erik ten Hag, attuale tecnico del Manchester United (ma vicino all’esonero) e che è stato assistente di Guardiola ai tempi in cui questi allenava il Bayern.

Proprio il Bayern Monaco è in procinto di assumere Vincent Kompany, (oramai) ex-allenatore del Burnley che ha “rubato” dallo spagnolo durante il periodo in cui quest’ultimo lo ha allenato. Una scelta ha fatto discutere ma che è sintomatica della volontà dei principali club europei di ricercare il “nuovo Guardiola.

Guardiola

Guardiola “inimitabile”, ma il suo è un esempio virtuoso?

Il termine “Pep Factor” è stato utilizzato anche da Andy King, bandiera del Leicester, che ha parlato ai microfoni della PA News Agency dell’imminente passaggio di Enzo Maresca (che è stato prima allenatore delle giovanili dei citizens e poi assistente di Guardiola) al Chelsea. Di seguito, un estratto delle sue parole:

Ho giocato due volte quest’anno (con il Bristol City, n.d.r.) con il Leicester ed erano disposti in campo esattamente come il Manchester City. Sono certo che ci abbia messo del suo, ma l’aver avuto accesso in prima persona alle sessioni di allenamento di Guardiola è stato certamente importante. Questo appare chiaramente nella disposizione in campo della squadra e nel suo modo di giocare. So che ai ragazzi è piaciuto molto lavorare con Maresca. Parlano sempre molto bene di lui e avendoci giocato contro, capisco anche il perché.❞

Una tendenza iniziata nel 2009, l’anno successivo alla promozione di Guardiola da tecnico della Masia a tecnico della prima squadra del Barcellona, e la Juventus, con l’esonero di Claudio Ranieri e la conseguente scelta di affidarsi all’esordiente Ciro Ferrara, è stata (suo malgrado) precursore di questa tendenza.

Tuttavia, difficilmente l’imitazione raggiunge la grandezza dell’originale. Sin qui soltanto Arteta, fra i proseliti del catalano, ha rispettato le (enormi) aspettative che posano sulle spalle di questa scuola di pensiero. Non ci resta che attendere per capire se Maresca e Kompany faranno altrettanto o se saranno soltanto l’ennesimo frutto di una moda passeggera e (forse) anche dannosa per il movimento calcistico internazionale.

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Sarri, alla sua prima uscita pubblica dopo le dimissioni, mi ha dato ragione

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Serie A

Maurizio Sarri ha parlato, per la prima volta da quando ha lasciato la panchina della Lazio, ai microfoni di Sportitalia e mi ha dato (indirettamente) ragione.

Le parole di Sarri a Sportitalia

L’intervista rilasciata da Maurizio Sarri ai microfoni di Alfredo Pedullà, sulle frequenze di Sportitalia e riprese in maniera testuale da Noibiancocelesti.com, lascia numerosi spunti di riflessione. Soprattutto quando dice che: “La squadra aveva bisogno di una scossa forte. Quando mi sono reso conto che potevo darla io, ho preso la decisione giusta. Ho avuto la sensazione, soprattutto nell’ultimo mese, che i giocatori fossero finiti in uno stato di irreversibile pattume emotivo. E l’unico modo per tirarli fuori dal tunnel era indurgli uno shock.”

L’opinione pubblica che grava attorno all’ambiente bianco celeste si biforca in due correnti di pensiero. Chi pensa che i giocatori giocassero “contro il proprio allenatore“, e che quindi le sue dimissioni abbia tolto loro alibi, e chi invece sostiene la teoria della “terapia d’urto“. Sia come sia, parimenti a quanto successo con De Rossi dopo l’esonero di Mourinho, è certo che il prossimo anno Tudor non potrà più fare affidamento sul lavoro fatto in due anni e mezzo dal suo predecessore e dovrà iniziare ad allenare veramente.

Tuttavia, la parte più interessante dell’intervista è un’altra. Ovvero questa: “Ci sono stati due momenti in cui potevo dare le dimissioni: una dopo il secondo posto e una dopo il mercato estivo. Alla Lazio stavo bene con la piazza e i tifosi. Ero riconoscente verso un gruppo di giocatori che aveva fatto una stagione d’altissimo livello; mi sembrava di tradire andando via quel momento lì. Se avessi dovuto fare una scelta logica, egoistica, quella sarebbe stata la migliore perché era difficile ripetersi su quei livelli. Il secondo posto è stato frutto di un’annata eccezionale, in un’annata in cui hanno fallito squadre sulla carta più forti di noi a livello di organico; si è innescato un meccanismo di aspettative troppo elevate.”

Tutte cose che il sottoscritto ripete da mesi. In particolare la necessità di Sarri di dare un segnale forte (lo stesso che ha voluto dare ai giocatori) all’ambiente, che confidava nella sua figura per rompere il circolo di stagnante mediocrità in cui galleggia mestamente la Lazio dagli albori della gestione Lotito. Alla fine, seppur con sei mesi di (colpevole) ritardo, Sarri ha rassegnato le dimissioni e (cosa non da tutti) ha rinunciato a un anno di stipendio.

Accettando di non percepire più un euro dalla Lazio e smentendo la bieca narrativa che voleva affermare il contrario. Una scelta che sicuramente gli fa onore, ma che è stata presa tardivamente e che ha pregiudicato la stagione della Lazio. Che forse, con Tudor dall’inizio, avrebbe avuto un epilogo diverso. Il tecnico avrebbe potuto lasciare un ricordo diverso del suo biennio in quel di Formello, e invece di lui rimarrà soltanto l’uso improprio dell’appellativo di “Comandante“. Chi di dovere si starà ribaltando nella tomba.

Sarri

Photo credit: Fabrizio Carabelli /LM

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Lookman, dalla sliding door con il Leicester al rammarico di Rodgers: genesi di un colpo “storico”

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Ademola Lookman ieri sera ha scritto la storia dell’Atalanta, ma il trasferimento sarebbe anche potuto non avvenire: ecco il retroscena.

Indice

Atalanta, la genesi del colpo Lookman

Ademola Lookman è sempre stato un ragazzo di grande talento, ma sin qui abbastanza inespresso. L’RB Leipzig lo prelevò giovanissimo dall’Everton, ma nelle tre stagioni successive emersero i primi dubbi sulla sua capacità di imporsi ad alti livelli. Lookman disputerà due stagioni in Germania (24 presenze e 5 gol) ma non convincerà sino in fondo la dirigenza tedesca, tanto da spingerla a mandarlo due volte in prestito in Inghilterra.

Prima proprio all’Everton e poi al Fulham. Quest’ultima sua parentesi sarebbe stata abbastanza anonima, se non fosse passata alla storia per il “rigore più brutto di sempre. Ovvero il suo maldestro tentativo di cucchiaio al 98esimo della partita in casa del West Ham, con il Fulham sotto 1-0, con il quale cestinò le speranze dei suoi di uscire con dei punti dal London Stadium. Da quel momento in avanti sarà considerato quasi una macchietta.

Ovviamente i cottagers non lo riscatteranno a fine stagione e il Leipzig non vedeva l’ora di liberarsene, così a fine stagione arriva la chiamata del Leicester. Le foxes necessitavano di un acquisto che andasse a rinfoltire le fasce in vista di una stagione che li avrebbe visti impegnati in ben cinque competizioni, e il nigeriano venne prelevato in prestito con diritto di riscatto fissato a una cifra vicina ai 15 milioni di euro. 

Parentesi negativa a Leicester, ma…

Con il Leicester collezionerà 42 presenze e 8 gol, senza mai lasciare il segno. Firmerà la rete decisiva per una delle vittorie più belle della storia recente delle foxes, ovvero l’1-0 di un Leicester estremamente rimaneggiato in casa contro un Liverpool lanciatissimo verso la vittoria della Premier League. Poi la giocata che propizia l’autogol di Mancini, nell’andata della semifinale di Conference League (poi persa al ritorno) contro la Roma.

E poco altro. A Leicester verrà ricordato più per la sua cronica discontinuità e per alcuni atteggiamenti, ai limiti dell’irritante, sciorinati sul rettangolo verde di gioco. A fine anno, comprensibilmente, gli inglesi (avviluppati in una situazione di precarietà economica che poi li porterà sino ai problemi che conosciamo oggi) decideranno di non riscattarlo. Una decisione che fece andare su tutte le furie l’allenatore dell’epoca, ossia Brendan Rodgers.

Il tecnico nord-irlandese, come lui non perderà occasione di rimarcare nel corso di quella stagione, era un grande estimatore dell’attuale esterno dell’Atalanta. Così come Lee Congerton, che nel Marzo di quello stesso anno aveva rescisso il proprio contratto con le foxes proprio per accasarsi alla Dea, e che non si farà sfuggire la chance di portarlo a Bergamo, dopo essersi reso conto che il suo ex-club non aveva nessuna intenzione di riscattarlo.

Le parole di Rodgers su Lookman

Il resto è storia recente. Lookman ha scritto la storia dell’Atalanta, rifilando una tripletta all’imbattibile Bayer Leverkusen di Xabi Alonso e regalando agli orobici il loro primo titolo europeo, e la mente di tutti i tifosi del Leicester non può che tornare inevitabilmente a quell’estate. Quella della lite furibonda fra Rodgers e il direttore tecnico John Rudkin: alla base degli attriti fra tecnico e board dirigenziale che poi porteranno al suo esonero.

Rodgers ha spesso attribuito le difficoltà della sua squadra (che a fine stagione sarebbero culminate con una inaspettata retrocessione in Championship) al mancato riscatto di Lookman, venendo deriso e preso di mira dai suoi stessi tifosi. A distanza di due anni, in un’intervista rilasciata a talkSPORT, Rodgers è voluto tornare su quella trattativa e magari togliersi qualche sassolino dalla scarpa per il modo in cui venne trattato all’epoca.

❝Quando io ero al Leicester e lui era fuori squadra all’RB Leipzig, c’è stata la possibilità di prenderlo e ovviamente lo abbiamo fatto. Per me lavorare con lui è stato fantastico. Il suo livello di professionalità. Il suo altruismo e il lavoro extra che faceva sul campo dopo ogni allenamento. Non sono stupito dai gol che gli ho visto fare ieri sera perché li faceva anche durante gli allenamenti al Seagrave. 

Nel suo contratto avevamo fatto inserire una clausola che ci avrebbe permesso di ricomprarlo a fine stagione, ma quella fu un’estate particolare. Non potemmo comprare nessuno e allora Lee (Congerton, n.d.r) lo portò con sé all’Atalanta. Ho lavorato con Lee al Leicester e ancora prima al Celtic, quindi sono contento del lavoro che ha fatto a Bergamo. Così come sono contento che Ademola stia facendo così bene in Italia. 

Ieri sera ha fatto dei gol molto belli, soprattutto il secondo, ma ripeto non sono stupito. Anche quando lo allenavo io li faceva. Ne ricordo soprattutto uno in casa con il Liverpool, quando vincemmo 1-0. Sono davvero felice per lui perché ha girato tutto il mondo nel tentativo di diventare questo giocatore e finalmente ce l’ha fatta. Il suo talento è sempre stato evidente e sono felice che sia riuscito a materializzarlo.❞

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