editoriale
Conte ha dato tutto, ma la stampa napoletana l’ha ripagato con il veleno

In casa Napoli tiene banco la questione Antonio Conte. Il futuro del tecnico salentino è in bilico, e la colpa non è solo di De Laurentiis.
Il pareggio contro il Parma, unito al contemporaneo pari dell’Inter con la Lazio, ha portato il Napoli a un passo dallo Scudetto. Tutto si deciderà tra pochi giorni, nell’ultima giornata di campionato, con gli azzurri impegnati in casa contro il Cagliari e i nerazzurri sul campo del Como.
Ma mentre la squadra si gioca un titolo che avrebbe del clamoroso dopo una stagione durissima, in città si comincia già a parlare di futuro. E quello di Antonio Conte sembra sempre più lontano dalla Campania.
Anche nella conferenza post-partita di domenica, il tecnico è apparso stanco, logorato, quasi svuotato. Una stanchezza che molti attribuiscono agli attriti con De Laurentiis, soprattutto per un mercato di gennaio che ha lasciato parecchie perplessità.
Ma il problema va ben oltre: Conte è stanco di quella stampa napoletana che non l’ha mai realmente accettato. Forse per la sua fede juventina, forse per quel suo “vincere è l’unica cosa che conta” che a Napoli suona quasi come una bestemmia, in una piazza che troppo spesso mette il bel gioco davanti ai risultati.
Lo dimostrano le critiche continue, ossessive: sul gioco, sui cambi, sulle conferenze stampa, su ogni scelta. Una parte dei media partenopei sembra aspettare solo un inciampo per colpire. E tutto questo mentre Conte, in silenzio, ha tenuto in piedi una stagione iniziata con un gruppo mentalmente scarico, con mezza rosa con la valigia in mano, con Kvaratskhelia ceduto a gennaio e con una raffica di infortuni – su tutti il caso Buongiorno, che ha saltato praticamente metà stagione.
Critiche, alcune anche legittime, ma spesso piene di un astio irragionevole, come se chiunque avrebbe potuto fare meglio. La realtà è che, in una stagione complicata, Conte ha portato il Napoli a un passo da un’impresa. Ma in tanti sembrano far finta di non vederlo.

ANTONIO CONTE PERPLESSO GUARDA IN ALTO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Napoli, il fuoco amico che sta bruciando Conte
Il problema, purtroppo, non è solo la stampa. È un certo modo di vivere il Napoli che si è radicato negli anni: ci si esalta per il bel gioco, si idolatrano i tecnici “poeti del pallone”, ma si dimentica cosa significhi davvero tifare.
Si dimenticano le sofferenze, la fame di vittorie, e ci si rifugia in un’estetica comoda, in una mediocrità accettata e quasi rivendicata. Con Sarri prima e Spalletti poi si è visto calcio spettacolare, sì, ma anche l’incapacità di fare quello step definitivo per imporsi in modo stabile a livello nazionale e internazionale anche negli anni a venire.
E adesso che un tecnico come Conte, abituato a vincere, a soffrire, a portare mentalità, ha provato a cambiare le cose, viene messo alla gogna. Non solo da Milano e Torino, ma soprattutto da Napoli stessa.
La cosa più assurda è che una buona fetta di tifosi e giornalisti sembra addirittura sperare nella separazione a fine stagione, quasi come fosse una liberazione.
Un concetto folle, se si pensa a dove ci ha portato Conte in questa stagione disgraziata. Anch’io, da tifoso azzurro, ho criticato alcune sue scelte, certo. Anche lui è umano, e può sbagliare. Ma mai, e ripeto mai, avrei potuto immaginare che un allenatore del Napoli potesse subire un attacco mediatico del genere proprio da chi dovrebbe sostenerlo. Un fuoco amico che lo ha consumato come nessun altro prima.
A Conte bisognerebbe solo dire grazie, e chiedergli di restare. Perché se davvero vogliamo uscire da quella comoda mediocrità in cui sguazziamo da decenni, se vogliamo vincere ancora, crescere davvero, lui è l’uomo giusto. Solo che molti, accecati dall’estetica o dal pregiudizio, ancora non l’hanno capito.
editoriale
Trump parla di guerra, con la Juve alle spalle e Taremi in Iran

Surreale incontro alla Casa Bianca fra la Juventus e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump nello Studio Ovale, prima del Mondiale per Club.
Surreale. Come il silenzio dei giocatori della Juventus, quando Donald Trump ha chiesto retoricamente loro se “farebbero giocare delle donne nella loro squadra”. Altri modi per rispondere, oltre al silenzio, non c’erano.
La Juve dimentica Taremi e china il capo dinanzi Trump
Se non la risposta che ha dato il nuovo direttore generale del club, Damien Comolli, che si è limitato a replicare che “la nostra squadra femminile (la Juventus Women, n.d.r.) è molto forte”. Meglio comunque il silenzio di un calciatore, ritrovatosi lì per caso come confermato dallo stesso Weah (“Siamo stati avvisati che saremmo stato ricevuti dal presidente all’ultimo momento”), che quello di un primo ministro europeo.
Il Tycoon ha poi rincarato la dose, aggiungendo un ulteriore stato d’incredulità all’ennesimo show (stile Trump Tower) a cui lo studio ovale sta iniziando ad abituarci, rispondendo ad un giornalista sulla guerra contro l’Iran: “Non so se attaccherò l’Iran, ma non possiamo permetterle di avere armi nucleari perché l’intero mondo rischierebbe di scoppiare. Che si debba combattere o meno, non è una cosa che possiamo permettere“.
Il tutto mentre alle sue spalle i calciatori bianconeri assistevano sgomenti. Il tutto mentre un loro collega, il centravanti dell’Inter Medhi Taremi, è stato costretto a rinunciare a quello stesso evento sportivo a cui loro si apprestavano a partecipare, dato che è rimasto bloccato in Iran a causa dell’aggressione sionista. Tra l’altro uno di loro, Weston McKennie, affrontò Taremi (prima ancora che arrivasse in Italia) ai Mondiali del 2022.
In quell’occasione Taremi diede sfoggio di grande coraggio, rifiutandosi di cantare l’inno nazionale e sfidando apertamente il regime teocratico. Un coraggio che è mancato ai suoi omologhi statunitensi, che dinanzi al loro despota hanno ignominiosamente chinato il capo. Chi tace ha comunque più dignità di chi parla recitando un copione, sia per lucida pazzia o per servilismo. Quell’edizione della rassegna iridata si giocò in Qatar, in stadi costruiti sui cadaveri di lavoratori o di civili trasformati in criminali a causa del loro orientamento sessuale.
Quelle stesse categorie che una parte ipocrita della nostra presunta “alternativa” finge di voler rappresentare. E allora non ci stupiamo se anziché escludere l’aggressore (come fatto con la Russia) dalle competizioni UEFA e FIFA ci organizziamo addirittura i tornei, mentre il loro braccio armato in Medio Oriente gioca contro l’Italia come se nulla fosse. Come se non si stesse consumando un genocidio su una sponda del nostro stesso mare.
editoriale
Hellas Verona, Coppola al Brighton: un veronese che spicca il volo

Ormai è tutto fatto per il passaggio di Diego Coppola al Brighton, in Inghilterra. La crescita esponenziale dimostrata recentemente ha permesso questo salto.
Un veronese, classe 2003, ha coronato il sogno di ogni ragazzino: indossare la maglia gialloblu, scendere in campo al Bentegodi e lasciare un segno nel cuore di tifosi e città. Adesso si apre un nuovo capitolo.
Hellas Verona, addio a Coppola: l’augurio di un tifoso
Quando un bambino entra a far parte del settore giovanile di una squadra professionista prova una sensazione nuova, che si riassume in un mix di eccitazione e timore. Indossare e rappresentare gli stessi colori che si vedono la domenica in televisione non è una cosa da tutti, specialmente se la passione è viva fin dai primi anni di vita.
Il caso di Diego Coppola è tra i pochi in Italia e quando un giocatore come lui decide di cambiare casacca, non si può augurare altro che il meglio per la propria carriera calcistica.
Una carriera il cui inizio, ormai a distanza ultra decennale da oggi, ha segnato una svolta nella vita del ragazzo, che col tempo ha imparato a esprimere sempre di più il suo modo di fare calcio, sia dentro che fuori dal campo, impressionando tutti gli allenatori che si sono susseguiti negli anni di giovanili. Ne è conseguita un’ascesa naturale verso la squadra Primavera, che l’ha portato sotto le luci dei primi riflettori e nel 2022, grazie a Igor Tudor, anche in Prima Squadra. Il riconoscimento più importante per il lavoro portato avanti negli anni e la dedizione verso il club della propria città.
La Serie A è il palcoscenico più ambito da tutti i calciatori italiani ma anche quello più complicato da raggiungere. Un percorso come quello di Coppola però non poteva che culminare con l’esordio ufficiale il 16 gennaio 2022 contro il Sassuolo in trasferta. L’emozione che può aver provato in quel momento ci è possibile forse solo immaginarla.
La piazza di Verona è sempre stata molto passionale, poco esigente nei risultati sportivi e abituata a soffrire, tuttavia pretenziosa di grinta e sudore ogni qualvolta c’è da scendere in campo. Se un veronese riesce a distinguersi e spiccare il volo in qualsiasi ambito, tutta la città ne è orgogliosa e spera che quel nome venga conosciuto il più possibile per farne un motivo di vanto.
Essere veronese e giocare nell’Hellas significa non solo indossare una maglia da calcio, ma soprattutto farsi carico delle emozioni e dei sogni di decine di migliaia di persone, che ogni partita riempiono lo stadio e incitano senza sosta la propria squadra, perchè è il massimo che possono fare e il sentimento di appagamento quando si rivede in campo lo stesso spirito è indescrivibile.
Come Shakespeare usò la frase “Non esiste mondo al di fuori delle mura di Verona” per descrivere il sentimento d’amore che provava Romeo nei confronti di Giulietta, anche in questo contesto il legame tra la squadra e la città è rappresentato da essa e va oltre ogni immaginazione. Così è per i tifosi come per i giocatori che nascono su queste terre e imparano da subito cosa significa rappresentare Verona e il Verona nel mondo.
Perciò buona fortuna Diego, un butel che ce l’ha fatta.

Rome, Italy 19.4.2025 : Diego Coppola of Verona during Italian football championship Serie A Enilive 2024-2025 match AS Roma vs Hellas Verona at Stadio Olimpico in Rome.
editoriale
PSG, contro l’Inter uno striscione per Gaza: “Stop Genocide”

Il tifo organizzato del PSG prende posizione contro gli intenti genocidari del regime sionista con un eloquente striscione, esposto contro l’Inter.
Nella finale di Champions League di sabato scorso fra PSG e Inter, conclusasi con il risultato di 5-0 in favore dei parigini, il tifo organizzato della squadra francese ha fatto comparire uno striscione nel settore a loro dedicato all’Allianz Arena in Monaco di Baviera. Uno striscione eloquente, con una forte presa di posizione.
PSG, lo striscione pro-gaza contro l’Inter
Lo striscione recitante “Stop Gaza Genocide“, con chiaro riferimento alle politiche di pulizia etnica e deportazione di massa attuate dal regime sionista nella Striscia di Gaza, è stato esposto in bella vista per tutta la partita, in modo tale che nessun mass media potesse sentirsi esentato dal parlarne.
Una presa di posizione che fa seguito a quella del presidente de la République Emmanuel Macron, tra l’altro noto tifoso del PSG, che recentemente ha dichiarato di voler riconoscere lo stato di Palestina. Gli hanno risposto, a stretto giro di posta, prima il ministero di Tel Aviv (accusandolo di star perorando una “crociato contro lo stato ebraico”) e poi personalmente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ma la risposta più lapidaria è arrivata dal Ministro della Difesa Benjamin Katz: “Macron i suoi amici creeranno uno stato palestinese solo sulla carta, noi invece costruiremo lo stato ebraico vero qui in Cisgiordania“. Parole pronunciate da Sa-Nur, in Samaria, dove recentemente il regime sionista ha appoggiato la costruzione di altri insediamenti illegali (21) nella Cisgiordania occupata.
“La Palestina di carta finirà fra i rifiuti” ha poi concluso Katz, giusto per rassicurare chiunque avesse ancora dei dubbi su quali siano le reali intenzioni del governo israeliano. Sfacciato, così come sfacciata è l’ostentazione del proprio sadismo e la malcelata intolleranza nei confronti di qualsiasi forma di dissenso. L’impenitente sguardo rivolto verso la telecamera era metaforicamente rivolto a tutta la comunità internazionale.
La Francia è stato uno dei paesi occidentali maggiormente repressivi nei confronti delle manifestazioni pro-Gaza, fioccate come focolai in tutta Europa. Tuttavia, la netta presa di posizione di una parte consistente dell’opinione pubblica, ivi incluso lo striscione esposto dai tifosi del PSG, è un ulteriore tentativo di abbattere il soffitto di cristallo dell’ipocrisia. Non può più starsene buono Macron, così come sempre più a fatica possono rimanere in silenzio il resto dei leader occidentale. Troppi, troppo evidenti e troppo gravi sono i crimini del governo israeliano. Troppo plateali le loro dichiarazioni d’intenti e troppo sfacciato il guanto di sfida lanciato al diritto internazionale. L’elettorato occidentale è stanco delle dichiarazioni, vuole delle azioni.
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