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Il ciclo di Mourinho a Roma è finito: avrebbe dovuto lasciare dopo Budapest

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Mourinho

La Roma di Mourinho che perde il derby (l’ennesimo) è nervosa, con poche idee e per lo più confuse: esattamente come il suo allenatore.

Le sfide fra Sarri e Mourinho sono tutte uguali. Sembrano quelle fra lo stesso Sarri e Allegri. Il primo mette sistematicamente sotto scacco il secondo giocando sempre allo stesso, e quest’ultimo non fa nulla per ovviare. Riproponendo lo stesso canovaccio derby (perso) dopo derby.

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Sarri la criptonite di Mourinho

Sei derby giocati. Uno solo vinto. Un altro pareggiato e addirittura quattro persi. Tutti allo stesso modo. Tolti i primi due, i derby di Roma fra Sarri e Mourinho sono stati tutti orribili. Specchio della mediocrità in cui le due compagini annaspano. E soprattutto sono stati tutti uguali.

Dalla follia di Ibanez in poi, ogni volta che Lazio e Roma si sfidano sembra andare in onda un replay di quella stessa partita. Partite brutte e bloccate. Uno zero a zero scolpito nella pietra, a meno ché non arrivi un episodio a sbloccarle. E quando non è arrivato, vedasi l’ultimo derby giocato in campionato, non c’è nulla che possa scalfire il duplice zero inciso sul tabellone.

Tuttavia, se gli episodi nei derby girano sempre a favore della Lazio un motivo ci sarà. E il motivo è che Sarri prepara i derby meglio di Mourinho. Il portoghese, le cui squadre spesso vengono accusate di essere troppo remissive e di lasciare troppo spesso il pallone agli avversari, quando vede il bianco e il celeste diviene vittima di un’attrazione fatale verso la sfera.

Oramai anche i muri hanno capito che la Roma quando ha il pallone fra i piedi non sa che farsene. Ma Sarri lo aveva capito per primo, quando ancora la difesa della Roma sembrava una fortezza inespugnabile. E soprattutto è stato sempre capace di costringere la Roma a tenersi il pallone per sé.

Da Special One a Normal One

Ottavi in campionato. Fuori dalla Coppa Italia ai quarti di finale (con l’aggravante dell’ennesimo derby non giocato, prima che perso) e incapace di vincere uno dei gironi dal coefficiente di difficoltà più risibile dell’Europa League.

Per uno come Mourinho, che si è sempre fatto fregio dei risultati anteponendoli (giustamente) all’estetica della proposta calcistica, questi risultati gettano sul suo operato un’ombra difficile da ignorare e da allontanare.

Da Mourinhano semper fidelis continuo a ribadire la bontà del lavoro fatto dal portoghese nei suoi primi due anni nella Capitale. Tuttavia, rimango anche convinto che il suo lavoro fosse finito dopo la sconfitta di Budapest.

Mourinho, grave errore non aver rassegnato le dimissioni

A prescindere da come sarebbe andata quella partita, Mourinho avrebbe dovuto riconoscere che il suo ciclo era concluso. Che più di così, in una simile situazione societaria ed economica, non avrebbe potuto fare e avrebbe dovuto avere l’ardire che ha avuto Spalletti nel rassegnare le dimissioni.

Chiaro che è più facile (anche se non scontato, vedi Ranieri al Leicester) andare via da vincitori che non da sconfitti. Nella sconfitta c’è sempre quella voglia di rivalsa che ti porta a riprovare, ma spesso e volentieri è più una frustrante pulsazione infantile che non il frutto di un ragionamento lucido.

Sono abbastanza convinto che se la Roma avesse trionfato a Budapest allora Mou avrebbe fatto le valigie. Del resto lo aveva già fatto all’Inter dopo la finale di Madrid. Però per uno con l’ego di Mou, da sempre abituato a vincere e quindi refrattario alla sconfitta, andarsene da sconfitto sarebbe stato moralmente inaccettabile.

Difficilmente con questa squadra, costruita (come ho sempre sottolineato) senza un briciolo di programmazione da quell’incapace di Tiago Pinto, un altro allenatore starebbe facendo meglio. E sicuramente nessuno avrebbe fatto come o addirittura meglio di Mou nei due anni precedenti.

Tuttavia, il compito di un grande allenatore (e José, checché se ne dica, lo è ancora) è quello di portare una squadra oltre i propri limiti. Perché per ottenere questi risultati con questa squadra basta un allenatore “normale. Da Mourinho ci si aspetta comprensibilmente di più e di questo passo il rischio è che una stagione totalmente negativa farebbe dimenticare alla piazza romana, che storicamente ha la memoria corta e la lingua lunga, quanto di buono fatto dal Vate di Setubal nell’interezza della sua esperienza romana.

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Serie D, Massimo Ferrero annuncia: “Voglio la Reggina!”

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A sorpresa l’ex presidente della Sampdoria Massimo Ferrero è tornato a parlare e lo ha fatto attraverso Radio Cusano. Pare intenzionato ad acquistare un marchio.

Ferrero vuole la Reggina, le dichiarazioni

Durante un intervento radiofonico, l’imprenditore romano ha espresso la volontà di investire a Reggio Calabria. Di seguito le sue dichiarazioni:

Mi candido ad acquistare il marchio della Reggina 1914, potrei farlo domani mattina con un versamento”. Parole inequivocabili che presagiscono il rientro dell’ex numero uno della Sampdoria nel mondo del calcio.

ferrero

Inoltre, proprio in queste ore la Corte di Appello di Reggio Calabria ha avviato la procedura fallimentare per la Reggina 1914 dopo il disastro combinato da Felice Saladini nel 2023. In parole povere, sta per essere posta la pietra tombale sulla società amaranto dalla storia ultracentenaria.

La rinascita, avvenuta la scorsa estate sotto il nome di La fenice Amaranto, ha contribuito a conservare la passione dei tifosi nonostante la Serie D ma ormai la fine è segnata. Il marchio dunque andrà all’asta e c’è già un’offerta pronta sul piatto.

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Caos in Argentina, 4 arresti in casa Velez: le accuse

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velez

Notizia che ha del clamoroso giunge dall’Argentina. Nella notte la polizia sudamericana ha arrestato 4 giocatori del Vèlez con l’accusa di abusi sessuali.

Argentina, 4 giocatori del Velez arrestati

I calciatori sono stati sorpresi dalle forze dell’ordine nelle loro abitazioni dopo che una giornalista di 24 anni ha confessato gli abusi.

Nella denuncia presentata dalla ragazza, circa due settimane fa, sono riportate le seguenti dichiarazioni:

“Abbiamo bevuto alcune birre e poi loro mi hanno offerto un liquore che mi ha provocato uno stato di stordimento, malessere e sonnolenza, al punto di dovermi sdraiare su un letto in stato di torpore. È stato allora che senza alcun consenso i quattro hanno abusato sessualmente di me“.

velez argentina

Parole inequivocabili che hanno dato il via all’effetto domino in cui c’è stata anche la presa di posizione del club argentino:

Nel comunicato si legge, oltre che la condanna dei fatti, anche la sospensione dei contratti dei 4 giocatori coinvolti.

Si tratta nel dettaglio di Sosa, Florentín, Cufré e Osorio. I 4 avrebbero attirato la giovane in Hotel con l’inganno per poi commettere abusi come riportato dalla ragazza stessa.

Nelle prossime settimane i giocatori saranno sottoposti a processo.

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L’involuzione di Locatelli: non è un regista, ad Allegri serve Kroos

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Manuel Locatelli, che giocherà la finale di Coppa Italia con la Juventus

Da centrocampista “dezerbiano” e dell’Italia campione d’Europa a giocatore fischiato nella Juventus. Che succede a Locatelli?

Cominciamo con una verità scomoda. La Juventus ha un centrocampo mediocre (il peggiore delle prime dieci della classifica) e un attacco che non segna. Partendo da questo assunto fondamentale, Allegri ha fatto l’unica cosa che poteva fare: ovvero puntare a non prendere gol.

Se non si prende gol le partite non si perdono. Al massimo si pareggiano e, se tutto va bene, magari le vinci pure. Per una situazione episodica o anche solo per l’inerzia tipica delle grandi squadre. Questa blindatura difensiva, unita alla ritrovata verve di Vlahovic e all’esplosione di Yildiz, ha permesso di tenere il passo dell’Inter senza dover sempre ricorrere al “corto muso“.

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Allegri più di così non può fare: alla Juve serve uno sforzo della società

Tuttavia, come abbiamo visto nelle ultime uscite, non può bastare. Il punto è che più di così con questa squadra non si può fare. Allegri ha ideato una strategia che calzasse perfettamente indosso alla rosa a sua disposizione e non può ripensarla, perché banalmente con questi giocatori questo puoi fare.

A tagliare la testa al sogno scudetto sono state le partite contro Empoli e Udinese, oltre alla sconfitta nello scontro diretto con l’Inter che però è già più facile da accettare. Due partite in cui la difficoltà cronica della Juventus nel costruire il gioco è stata più evidente che in altre occasioni.

Questo progetto di gioco è a breve (anzi, brevissimo) termine e Allegri lo sa bene. Per questo motivo glissa sempre sul suo futuro. Una volta raggiunto l’obiettivo della qualificazione in Champions League, conditio sine qua non per la sopravvivenza delle casse bianconere, Allegri avrà un incontro con la nuova dirigenza per capire le loro intenzioni in fase di mercato.

Locatelli

Locatelli, i numeri della “crisi”

La differenza più marcata fra Inter e Juventus è a centrocampo. I nerazzurri hanno il miglior centrocampo d’Italia, forse uno dei migliori d’Europa, mentre Allegri è stato “costretto” a riesumare McKennie.

Ad adattare Cambiaso a mezz’ala. A forzare la conversione di Locatelli nel ruolo di regista. E proprio quest’ultimo sembra essere lo specchio dei problemi della Juventus. Giocatore applicato. Focalizzato. Volenteroso, ma che non può fisicamente andare oltre i limiti tecnici imposti da madre natura.

Una situazione che lo accomuna a tanti componenti della rosa bianconera, ma la centralità del ruolo che ricopre (quello di play davanti alla difesa) nel gioco del calcio fa sì che i suoi limiti vengano evidenziati ancor di più di quelli degli altri. Vi consiglio di dare un’occhiata alla splendida analisi statistica dell’involuzione di Manuel Locatelli fatta da “Il Bianconero.

Locatelli

Allegri sogna Kroos, ma la Juve…

Alla Juventus si mangiano le mani per quel Nicolò Rovella che sarebbe stato la panacea a (quasi) tutti i limiti tecnici della Signora e che ora sta facendo le fortune di Sarri e della Lazio. Tuttavia, differentemente da quanto dicono i suoi detrattori, la sua cessione non è stata una scelta tecnica di Allegri.

Un sacrificio doloroso, sull’altare del bilancio, ma necessario. Quella cessione ha però lasciato un vuoto che l’abnegazione di Locatelli non può colmare. Allegri ha bisogno di un aiuto dal mercato ed è arcinoto come il nome di Toni Kroos sia in cima alla lista dei desideri del tecnico labronico.

Il dubbio amletico si pone nel momento in cui ti interroghi su quanto la Juventus sia effettivamente disposta a investire su un 34enne a cui andrebbe riconosciuto anche un più che lauto stipendio.

Allegri ha sposato in toto la nuova “linea verde” della dirigenza. Lo dimostra la cieca fiducia che Max ripone nella Next Gen bianconera e il drastico abbassamento dell’età media della squadra. La Juve sembra aver abbandonato la via dell’instant team, che aveva caratterizzato i primi vagiti dell’Allegri-bis.

Pogba e Di Maria, campioni a fine carriera che nel calcio moderno sono quasi un investimento a fondo perduto, appartengono a un modus operandi che non fa più parte della forma mentis bianconera oppure la linea verde è stata soltanto una scelta dettata dalle attuali contingenze di bilancio?

Di certo, con il ritorno in Champions ci sarebbero sia la forza economica che mediatica per convincere uno come Kroos a sposare la causa bianconera. E non è escluso che una scelta tanto forte sul mercato potrebbe convincere Rabiot a recedere dai suoi intenti e legarsi nuovamente alla Vecchia Signora, stavolta in maniera più longeva e duratura.

Locatelli, riportato nel ruolo che aveva con De Zerbi al Sassuolo e con Mancini in Nazionale, e Rabiot ai lati di Kroos (con Allegri in panchina) renderebbero nuovamente la Juventus una squadra da scudetto. Tutto sta nel vedere quanto la dirigenza bianconera sia disposta ad accontentare il suo condottiero, dal quale passano tutte le speranze di tornare grandi.

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