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Allegri smentisce Gramsci e avvisa Motta: a Torino non si fanno le rivoluzioni

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Milan

Massimiliano Allegri lascia da vincitore qual é, ma è la storia della Juventus. Giuntoli se ne ricordi e gli porti il dovuto rispetto.

Secondo Vittorio Gramsci, Torino era “il posto ideale per la Rivoluzione“. Apice del Biennio Rosso (1919-1920), arrivò a contare 200 mila operai su 500 mila abitanti: il 40% della popolazione. Nonostante questo, Torino non cadde. Forte della sua identità e della propria testa di ponte (la FIAT) non piegò il capo neppure dinanzi alla dittatura fascista, con Giovanni Agnelli che arrivò a stringere una sorta di tacito accordo con Benito Mussolini.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

Oggi più che allora, la FIAT (anche se non ha più nulla di italiano dal 2021) rappresenta l’identità torinese non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Un’identità di cui, inevitabilmente, fa parte anche la Juventus. E Allegri (nel pre-partita di Juventus-Roma) fa bene a ricordare l’esistenza del “DNA Juve.”

Alla Juventus c’è un modus operandi dalla stabilità comprovata e che rigetta i cambiamenti. In tanti, in quasi 130 anni di storia, hanno provato a cambiarlo, fallendo miseramente. Da Maifredi a Pirlo, passando attraverso Sarri e Ferrara. La vecchia dirigenza bianconera, abbagliata dalla propaganda giochista, s’invaghì di questo ideale rivoluzionario e abiurò il vecchio adagio del “vincere è l’unica cosa che conta” per aprire le porte all’utopia.

Salvo poi, resosi conto che la retorica vuota e stentorea non regge mai il confronto con la realtà dei fatti, tornare sui propri passi e affidarsi a colui che più di tutti (nell’ultimo periodo) ha rappresentato il “DNA Juve“. Allegri ha fatto ciò che gli riesce fare meglio, ovvero vincere, e se ne va da vincitore qual é. Senza rimpianti e con la piena consapevolezza non solo di aver fatto il massimo, ma che sarà quasi impossibile fare meglio di lui.

Allegri

CRISTIANO GIUNTOLI PREOCCUPATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Allegri è la storia della Juventus: Giuntoli lo rispetti

Allegri è stato sostituito da Giuntoli a Febbraio“, Sandro Sabatini ipse dixit. Non solo nel senso letterale del termine, poiché Giuntoli sostituirà l’allenatore attuale con uno nuovo, ma anche metaforico. Lo scorso anno, nel punto più basso della storia recente juventina, al tecnico labronico venne chiesto di fare il parafulmine.

Allenatore. Dirigente. Presidente. Addetto alla comunicazione. Con una società assente (quando non del tutto inesistente) e sul punto di essere esautorata, il livornese divenne il volto principale (forse l’unica) della Vecchia Signora. Tuttavia, adesso del ruolo di plenipotenziario è stato dichiaratamente insignito Giuntoli.

E Giuntoli, come prima cosa, ha scelto di tagliare i legami con il passato. Allegri è l’uomo della famiglia Agnelli, nonché (repetita iuvant) l’uomo che più di tutti alla Juventus incarna un certo modo di fare e di concepire il calcio. E Allegri, a modo suo, ha fatto ed è al tempo stesso la storia della Juventus.

Bologna

La missione di Motta è un compito ingrato

Una storia certamente gloriosa, ma che era stata bruscamente interrotta dalla scandalo Calciopoli. Prima la retrocessione, poi la lenta risalita e infine un prolungato periodo di mediocrità. Quindi il ritorno alla vittoria con Antonio Conte e infine la sublimazione di un lavoro decennale, grazie proprio all’avvento di Allegri.

Un allenatore fra i più vincenti della storia della Juventus (ma anche della storia del calcio italiano tutto) e che a Torino, negli ultimi otto anni, ha portato dodici trofei. Più due finali di Champions (in tre anni) nonché autore del record di vittorie consecutive in Serie A, da lui stabilito e che difficilmente sarà eguagliato.

Ora Giuntoli vuole cancellare tutto questo con un colpo di spugna, esemplificando il diktat di un board che sin qui ha dimostrato di sapere di macchine ma non (ancora) di calcio. Ed entrare in uno spogliatoio che per anni ha ricevuto un certo tipo di imprinting come un elefante in una cristalleria (come fece Claude Puel ai tempi del Leicester) è una terapia d’urto che può causare danni. Quello di Allegri è un avviso a Giuntoli ma anche un monito per Motta: a Torino non si fanno le rivoluzioni.

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Milan, poco importa della Coppetta Italia: più gravi i soliti problemi | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, una sconfitta in trasferta per 1-0 contro la Lazio non deve assolutamente preoccupare. Sì, perché i problemi in casa rossonera sono decisamente altri.

Il Milan esce sconfitto, ma non ridimensionato, in seguito all’1-0 rimediato in trasferta contro la Lazio. Una gara giocata probabilmente meglio rispetto a quella di campionato pochi giorni fa, ma la sconfitta non deve gridare vendetta. Primo perché si giocava una competizione di cui poco gliene fregava a Massimiliano Allegri il quale è impegnato per conseguire l’obiettivo minimo stagionale ossia la qualificazione Champions.

Un organico troppo corto per disperdere energie inutili, i soliti problemi che la dirigenza dovrà obbligatoriamente (si spera) risolvere a gennaio. Una coperta eccessivamente inadeguatae una squadra che va in affanno quando mancano i suoi big.

Sebbene ce ne fosse ancora il bisogno, abbiamo capito che Estupinan non è da Milan, probabilmente nemmeno da Serie A, Ricci non è una mezzala, senza Modric Rabiot è un altro Milan, Leao ed Nkunku non sono punte centrali. Prima si capisce quest’ultimo concetto e meglio è. Il francese ieri sera a tratti imbarazzante, Leao decisamente in giornata no, e comunque fuori ruolo.

Serve un attaccante centrale e questa volta la dirigenza dovrà ascoltare Allegri. Serve un centrale difensivo così come serve a mio avviso anche un terzino destro. L’invito è quello di aprire il portafoglio e spendere soldi che in casa già ci sono. Siamo primi in classifica, fino a prova contraria, adesso è il momento di osare. Senza gli alibi e le scuse della Coppetta Italia.

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Atalanta: Palladino, la rivincita del tecnico “incompreso”

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Champions League

Palladino: dal fischio della Curva Fiesole al trionfo con la Dea, la settimana da sogno di un tecnico che il destino ha voluto premiare.

Palladino-Pradè: accoppiata perdente, sparite per il bene della nostra gente. Lo striscione della Curva Fiesole pendeva dalle gradinate, una freccia diretta ai dirigenti, colpevoli agli occhi dei tifosi di una stagione che non aveva soddisfatto.

Ma dietro le quinte, Raffaele Palladino continuava a tessere la sua tela, senza clamore ma con risultati concreti. Chiudere al sesto posto in campionato non era solo un numero: era il segno di un lavoro paziente, fatto di scelte giuste al momento giusto e di talenti valorizzati, come Moise Kean, esubero diventato ben presto asso nella manica oltre che un vanto per chi finalmente gli aveva cambiato radicalmente la carriera. Destinato a diventare il gioiello della Fiorentina. Di lui, durante l’ultima finestra di mercato, si temeva addirittura la partenza per poco più di 50 milioni, mentre solo dodici mesi prima era stato acquistato solamente per 13 milioni, una cifra che al tempo aveva fatto storcere il naso a molti, ma che ora sembrava quasi un affare d’altri tempi.

Palladino

RAFFAELE PALLADINO E MOISE KEAN ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

E Palladino? Nonostante tutto aveva deciso di pagare il prezzo più alto. Lasciare il progetto, rinunciare a un contratto pesante fino al 2027, accettare di diventare il capro espiatorio di una stagione forse mai compresa fino in fondo. Un gesto che parlava di responsabilità, ma anche di coraggio: di chi mette il bene della squadra davanti al proprio orgoglio, e accetta di camminare tra applausi e fischi, consapevole che la storia non giudica subito chi lavora nell’ombra.

Una decisione che, se da una parte aveva dato ragione a Palladino — con una Fiorentina ai minimi storici in qualsiasi competizione — dall’altra sembrava poter mettere a rischio la sua carriera. Prima dell’Atalanta, infatti, nessuno aveva pensato al suo nome, preferendo tecnici che, al netto dei risultati, avevano accumulato numeri ben più bassi nelle stagioni precedenti.

Palladino, tra karma e destino

Eppure il destino aveva altri piani. L’Atalanta, dopo aver interrotto il rapporto con Juric, ha affidato la panchina proprio a lui, regalando al tecnico un’occasione che pareva scritta già a aprtire dal suo terzo impegno con la Dea. Nel basket d’oltreoceano esiste un termine che descrive eventi che sembrano accadere per ragioni karmiche, una sorta di “you get what you deserve”, che in italiano si traduce con “Ecco quello che ti meriti”.

E ieri, intorno alle 18, Palladino ha incarnato perfettamente questa espressione. Dopo la vittoria contro il Francoforte in quello che è stato il suo esordio in Champions League, il tecnico ha replicato anche contro il suo passato, infliggendo un amaro destino alla sua ex squadra. Sfogliando l’almanacco delle retrocessioni dalla Serie A alla Serie B, emerge un dato impietoso: mai una squadra incapace di ottenere almeno una vittoria nelle prime tredici giornate è riuscita a salvarsi. E così, tra applausi e rimpianti, Palladino ha scritto un nuovo capitolo della sua storia, dimostrando che a volte il destino sembra davvero fare giustizia da sé.

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Milan, deadline gennaio 2026: una volta per tutte capiremo le intenzioni della dirigenza | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, c’è la data entro la quale capiremo, probabilmente una volta per tutte, le reali intenzioni della dirigenza e del club in generale. Vediamo meglio qui di seguito in dettaglio.

Il mese di gennaio 2026 sarà cruciale. Ogni occasione di mercato è importante, ma ritengo che questa lo sia ancora di più. Mi spiego meglio, finora quello che è sempre emerso dalla proprietà Gerry Cardinale è l’esigenza di centrare la qualificazione in Champions

E chi se ne frega se si arriva primi, oppure secondi, oppure terzi, oppure quarti. Entro le prime quattro posizioni va tutto bene. Ma è così anche per i tifosi rossoneri? Sicuramente no.

I presupposti per fare bene in questa stagione ci sono tutti. A oggi il Milan è secondo in classifica a soli due punti dalla capolista Roma e sulla panchina siede un tecnico capace e che ha dimostrato ampiamente di sapere vincere che risponde al nome di Massimiliano Allegri.

Ora la domanda è: cosa farà la dirigenza a gennaio? Accontenterà il tecnico con almeno 3 innesti di qualità in difesa, centrocampo e attacco oppure giocherà al risparmio forte dell’attuale rosa? Questo è lo snodo principale in seguito al quale capiremo meglio le reali intenzioni della proprietà AC Milan.

Acquistare tre prospetti di esperienza significherebbe lottare per lo scudetto senza minimamente nascondersi. Attendiamo sviluppi.

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