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L’arroganza di Stefano Pioli
Stefano Pioli ha parlato nella conferenza stampa della vigilia di Napoli – Milan. Ecco una analisi delle parole del tecnico e sul momento dei rossoneri.
Potrebbe essere riassunta con questa locuzione latina la strenua difesa dei propri principi di gioco da parte di Stefano Pioli. Questa è particolarmente cangiante come citazione. Dato che l’allenatore del Milan, nella conferenza stampa che precede la sfida con il Napoli, ha ribadito l’assoluta non negoziabilità dei principi di gioco che caratterizzano la forma della squadra.
Indice
Prefazione
Errare humanum est. Perseverare autem diabolicum.
Il gergo calcistico, nell’ultima decade, è stato impreziosito da termini che con il pallone hanno poco a che fare. Possedere un lessico ricco è sempre una cosa positiva. Chi ha letto 1984 di George Orwell conosce bene il potere delle parole. Sa bene che conoscenza e cultura sono i capisaldi della libertà.
Sono però diversi anni che la comunicazione calcistica ha assunto l’abitudine di romanzare il calcio, anziché raccontarlo. Fra tutti questi neologismi ce n’è uno che più degli altri sta contribuendo a rovinare il dibattito calcistico. Una parola storpiata e privata del proprio significato intrinseco.
Una parola che ha perso il proprio potere. Diventando semplice strumento di propaganda. Acritico servitore di una narrativa ideologica. Questa parola, che andrebbe eliminata dal dizionario calcistico, è: “coraggio“.
Le parole di Pioli
❝Abbiamo il nostro modo di giocare e dobbiamo portarlo avanti. Sicuramente ci sono delle situazioni in cui avremmo dovuto essere più attenti. Più riflessivi. Sicuramente sono stati commessi degli errori in difesa, ma non per questo cambieremo il nostro stile di gioco.❞
Leggi la conferenza stampa di Pioli in versione integrale su Milan News.
Zero punti dopo le prime tre partite di Champions League. Zero come i gol segnati dalla sua squadra nelle suddette partite. Se allarghiamo il confuto totale anche al campionato, conteggiando nel novero anche i cosiddetti “big match” contro Inter e Juventus, i numeri del Milan sono ancor più impietosi.
Un solo gol fatto, quello di Leao nel derby, e nove subiti. Cinque sconfitte in altrettante partite giocate. Quando la volatile teoria si schianta contro la concreta consistenza della pratica, come Icaro che si schiantò violentemente al suolo per aver volato troppo vicino al sole, qualunque allenatore farebbe un passo indietro. Chiunque. Tranne Stefano Pioli.
Questo perché Pioli rientra nel novero dei cosiddetti “integralisti“. Quelli che non derogano mai dalle proprie idee. Quelli convinti che il risultato sia solo un qualcosa di puramente secondario. Eppure, ironia della sorte, sono proprio i risultati il termometro del suo lavoro al Milan. I risultati saranno ciò che determinerà se Pioli continuerà a essere l’allenatore del Milan oppure no.
Milan, numeri impietosi contro le big
“La definizione di follia è fare sempre le stesse cose aspettandosi però risultati diversi” (Albert Einstein).
Zero punti e zero gol fatti in cinque partite, dicevo. Eppure Pioli non cambia idea. C’è quindi da scommettere che contro il Napoli vedremo lo stesso Milan di sempre. In una partita che assume sempre più i contorni del dentro o fuori per un allenatore oramai sfiduciato dalla piazza e (forse) persino dai suoi stessi giocatori.
Il botta e risposta a favore di camera fra Pioli e Calabria ha fatto emergere dubbi legittimi su quanto effettivamente l’allenatore emiliano abbia ancora in mano lo spogliatoio rossonero. Se lo è chiesto anche Andrea Distaso, nel suo pezzo di opinione su Calciomercato.com.
E, per quello che può contare la mia opinione, me lo sto chiedendo anche io. Quanta credibilità può avere una figura manageriale che, nonostante l’evidente mancanza di riscontri tangibili, continua pervicacemente a utilizzare lo stesso metodo di lavoro? Ignorando l’insofferenza dei suoi giocatori?
L’ostracismo tattico di Pioli
Il Milan espone sistematicamente i propri centrali di difesa all’uno contro uno con gli attaccanti avversari. Li obbliga a difendere con porzioni enormi di campo alle loro spalle. Accetta i duelli individuali.
Lo fa se c’è da marcare Djuric. Lo fa se c’è da marcare Mbappe. Molti amano definirlo, per l’appunto, “coraggio”. Ma per me è masochismo.
Intendiamoci: se scoppia una rissa e vado a tirare un pugno in faccia a The Rock non sono coraggioso, sono un’idiota. E nella vita vera nessuno si sognerebbe di dare una lettura alla cosa diversa da questa. E allora perché nel calcio un concetto universalmente negativo (la hybris) deve avere connotati positivi?
Pioli non è coraggioso. Pioli è tracotante. Osservate il fermo immagino di cui sopra. Non siamo neppure al trentesimo del primo tempo e il Milan concede una transizione praticamente in parità numerica al Paris-Saint-Germain.
La retroguardia del Milan si trova poco più in basso del cerchio di centrocampo e libero di puntare la porta c’è un signore con il sette sulle spalle. Difendere a 60 metri dalla porta quando hai davanti Kylian Mbappe può essere definita una scelta coraggiosa? O, più semplicemente, è una scelta suicida?
Soltanto due squadre quest’anno sono andate in casa del PSG con l’assurda pretesa di giocarsela a viso aperto. Sono il Lens e, ovviamente, il Milan.
Entrambe le partite sono finite tanto a poco (3-1 e 3-0) per i parigini. Che pure tutto sono fuorché una corazzata quest’anno. Come testimoniano il terzo posto in Ligue 1 e le quattro sberle rimediate al St. James Park.
Poi però arriva il Milan e Parigi sembra una fortezza inaffondabile. Badate bene: non sto assolutamente dicendo che è uno scandalo che il Milan perda a Parigi. Nel calcio si può anche perdere, ma non così.
Altra situazione di gioco ricorrente nelle partite del Milan. Thiaw tenta uno sciagurato anticipo a metà campo su Marcus Thuram. L’orologio della partita non ha ancora ticchettato cinque volte.
Sembra quasi che sia il novantesimo minuto e che il Milan sia sotto nel punteggio. Ma la partita è zero a zero e siamo solo al quarto minuto di gioco. Non c’è nessun motivo di stare così alti.
Dall’anticipo di Thuram su Thiaw è nato il gol del vantaggio interista che ha indirizzato il derby in favore dei nerazzurri.
Un altro mancato anticipo di Thiaw, questa volta su Kean, è stato il motivo dell’espulsione del giovane centrale tedesco contro la Juventus. Fatto che ha inevitabilmente cambiato la partita, indirizzandola verso la squadra di Allegri.
Ci tengo a sottolineare che Thiaw è un buon giocatore. Anche se da queste immagini non si direbbe. Ma è proprio questo il problema. I principi del gioco di Pioli non sono negoziabili e finiscono sempre con l’esporre i propri giocatori a delle figuracce.
Derogando alla prima regola pubblicata sull’enciclica del buon allenatore. Ovvero, un bravo tecnico mette in risalto i pregi dei propri uomini e ne ottunde i difetti. Non il contrario.
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Serie D, Massimo Ferrero annuncia: “Voglio la Reggina!”
A sorpresa l’ex presidente della Sampdoria Massimo Ferrero è tornato a parlare e lo ha fatto attraverso Radio Cusano. Pare intenzionato ad acquistare un marchio.
Ferrero vuole la Reggina, le dichiarazioni
Durante un intervento radiofonico, l’imprenditore romano ha espresso la volontà di investire a Reggio Calabria. Di seguito le sue dichiarazioni:
“Mi candido ad acquistare il marchio della Reggina 1914, potrei farlo domani mattina con un versamento”. Parole inequivocabili che presagiscono il rientro dell’ex numero uno della Sampdoria nel mondo del calcio.
Inoltre, proprio in queste ore la Corte di Appello di Reggio Calabria ha avviato la procedura fallimentare per la Reggina 1914 dopo il disastro combinato da Felice Saladini nel 2023. In parole povere, sta per essere posta la pietra tombale sulla società amaranto dalla storia ultracentenaria.
La rinascita, avvenuta la scorsa estate sotto il nome di La fenice Amaranto, ha contribuito a conservare la passione dei tifosi nonostante la Serie D ma ormai la fine è segnata. Il marchio dunque andrà all’asta e c’è già un’offerta pronta sul piatto.
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Caos in Argentina, 4 arresti in casa Velez: le accuse
Notizia che ha del clamoroso giunge dall’Argentina. Nella notte la polizia sudamericana ha arrestato 4 giocatori del Vèlez con l’accusa di abusi sessuali.
Argentina, 4 giocatori del Velez arrestati
I calciatori sono stati sorpresi dalle forze dell’ordine nelle loro abitazioni dopo che una giornalista di 24 anni ha confessato gli abusi.
Nella denuncia presentata dalla ragazza, circa due settimane fa, sono riportate le seguenti dichiarazioni:
“Abbiamo bevuto alcune birre e poi loro mi hanno offerto un liquore che mi ha provocato uno stato di stordimento, malessere e sonnolenza, al punto di dovermi sdraiare su un letto in stato di torpore. È stato allora che senza alcun consenso i quattro hanno abusato sessualmente di me“.
Parole inequivocabili che hanno dato il via all’effetto domino in cui c’è stata anche la presa di posizione del club argentino:
🔵 Comunicado oficial sobre la actual situación de Sosa, Florentín, Cufré y Osorio.
👩🏻💻 https://t.co/yGchhPh09u pic.twitter.com/E0u5OQoyyx
— Vélez Sarsfield (@Velez) March 18, 2024
Nel comunicato si legge, oltre che la condanna dei fatti, anche la sospensione dei contratti dei 4 giocatori coinvolti.
Si tratta nel dettaglio di Sosa, Florentín, Cufré e Osorio. I 4 avrebbero attirato la giovane in Hotel con l’inganno per poi commettere abusi come riportato dalla ragazza stessa.
Nelle prossime settimane i giocatori saranno sottoposti a processo.
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L’involuzione di Locatelli: non è un regista, ad Allegri serve Kroos
Da centrocampista “dezerbiano” e dell’Italia campione d’Europa a giocatore fischiato nella Juventus. Che succede a Locatelli?
Cominciamo con una verità scomoda. La Juventus ha un centrocampo mediocre (il peggiore delle prime dieci della classifica) e un attacco che non segna. Partendo da questo assunto fondamentale, Allegri ha fatto l’unica cosa che poteva fare: ovvero puntare a non prendere gol.
Se non si prende gol le partite non si perdono. Al massimo si pareggiano e, se tutto va bene, magari le vinci pure. Per una situazione episodica o anche solo per l’inerzia tipica delle grandi squadre. Questa blindatura difensiva, unita alla ritrovata verve di Vlahovic e all’esplosione di Yildiz, ha permesso di tenere il passo dell’Inter senza dover sempre ricorrere al “corto muso“.
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Allegri più di così non può fare: alla Juve serve uno sforzo della società
Tuttavia, come abbiamo visto nelle ultime uscite, non può bastare. Il punto è che più di così con questa squadra non si può fare. Allegri ha ideato una strategia che calzasse perfettamente indosso alla rosa a sua disposizione e non può ripensarla, perché banalmente con questi giocatori questo puoi fare.
A tagliare la testa al sogno scudetto sono state le partite contro Empoli e Udinese, oltre alla sconfitta nello scontro diretto con l’Inter che però è già più facile da accettare. Due partite in cui la difficoltà cronica della Juventus nel costruire il gioco è stata più evidente che in altre occasioni.
Questo progetto di gioco è a breve (anzi, brevissimo) termine e Allegri lo sa bene. Per questo motivo glissa sempre sul suo futuro. Una volta raggiunto l’obiettivo della qualificazione in Champions League, conditio sine qua non per la sopravvivenza delle casse bianconere, Allegri avrà un incontro con la nuova dirigenza per capire le loro intenzioni in fase di mercato.
Locatelli, i numeri della “crisi”
La differenza più marcata fra Inter e Juventus è a centrocampo. I nerazzurri hanno il miglior centrocampo d’Italia, forse uno dei migliori d’Europa, mentre Allegri è stato “costretto” a riesumare McKennie.
Ad adattare Cambiaso a mezz’ala. A forzare la conversione di Locatelli nel ruolo di regista. E proprio quest’ultimo sembra essere lo specchio dei problemi della Juventus. Giocatore applicato. Focalizzato. Volenteroso, ma che non può fisicamente andare oltre i limiti tecnici imposti da madre natura.
Una situazione che lo accomuna a tanti componenti della rosa bianconera, ma la centralità del ruolo che ricopre (quello di play davanti alla difesa) nel gioco del calcio fa sì che i suoi limiti vengano evidenziati ancor di più di quelli degli altri. Vi consiglio di dare un’occhiata alla splendida analisi statistica dell’involuzione di Manuel Locatelli fatta da “Il Bianconero“.
Allegri sogna Kroos, ma la Juve…
Alla Juventus si mangiano le mani per quel Nicolò Rovella che sarebbe stato la panacea a (quasi) tutti i limiti tecnici della Signora e che ora sta facendo le fortune di Sarri e della Lazio. Tuttavia, differentemente da quanto dicono i suoi detrattori, la sua cessione non è stata una scelta tecnica di Allegri.
Un sacrificio doloroso, sull’altare del bilancio, ma necessario. Quella cessione ha però lasciato un vuoto che l’abnegazione di Locatelli non può colmare. Allegri ha bisogno di un aiuto dal mercato ed è arcinoto come il nome di Toni Kroos sia in cima alla lista dei desideri del tecnico labronico.
Il dubbio amletico si pone nel momento in cui ti interroghi su quanto la Juventus sia effettivamente disposta a investire su un 34enne a cui andrebbe riconosciuto anche un più che lauto stipendio.
Allegri ha sposato in toto la nuova “linea verde” della dirigenza. Lo dimostra la cieca fiducia che Max ripone nella Next Gen bianconera e il drastico abbassamento dell’età media della squadra. La Juve sembra aver abbandonato la via dell’instant team, che aveva caratterizzato i primi vagiti dell’Allegri-bis.
Pogba e Di Maria, campioni a fine carriera che nel calcio moderno sono quasi un investimento a fondo perduto, appartengono a un modus operandi che non fa più parte della forma mentis bianconera oppure la linea verde è stata soltanto una scelta dettata dalle attuali contingenze di bilancio?
Di certo, con il ritorno in Champions ci sarebbero sia la forza economica che mediatica per convincere uno come Kroos a sposare la causa bianconera. E non è escluso che una scelta tanto forte sul mercato potrebbe convincere Rabiot a recedere dai suoi intenti e legarsi nuovamente alla Vecchia Signora, stavolta in maniera più longeva e duratura.
Locatelli, riportato nel ruolo che aveva con De Zerbi al Sassuolo e con Mancini in Nazionale, e Rabiot ai lati di Kroos (con Allegri in panchina) renderebbero nuovamente la Juventus una squadra da scudetto. Tutto sta nel vedere quanto la dirigenza bianconera sia disposta ad accontentare il suo condottiero, dal quale passano tutte le speranze di tornare grandi.
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