Le bombe di Vlad
Alberto Malesani: dal calcio alla vigna
“Produrre vino è un’arte che permette all’uomo di vivere la terra in modo più diretto, più autentico. È un lavoro duro, che richiede grande attenzione, dal quale si ricavano molte soddisfazioni perché ogni vite è diversa dall’altra, è un essere umano con una sua storia da raccontare”.
Questo è un pensiero, profondo, di uno degli allenatori italiani più discussi della storia, Alberto Malesani, icona del nostro calcio.
Ma oggi, ‘Albertone’ dov’è finito?
Sicuramente, Mister Malesani non ha affatto perso la passione per il calcio né la voglia di tornare in panchina, ma oggi passa le giornate nelle campagne a dedicarsi alla sua grande passione: produrre il vino. “Non sputo nel piatto in cui ho mangiato ma oggi sono felice e sto meglio così”. “Il vino lo puoi fare pensando al business oppure per vivere assieme alla terra. Io l’ho fatto per questo motivo e sono contento”.
Questa, permettetecelo, ‘pazza idea’ gli venne durante una trasferta europea con la squadra emiliana, precisamente a Bordeaux; visitò una cantina e, assaporando del vino rosso con un po’ di ostriche, ne rimase perdutamente affascinato: “Pensai che mi sarebbe piaciuto averne una anch’io”.
Il vino nel bicchiere, girando, crea un piccolo vortice in senso orario. Questa importante pratica di roteare il calice prima di sorseggiare gliel’ha insegnata Lorenzo, l’enologo della sua casa vinicola, perché è solo in questo modo che “il vino sprigiona i suoi aromi”. Malesani però non ha mai smesso di credere di poter fare la differenza nel calcio, neanche ad alti livelli, anche ora che questo maledetto mondo sembra essersi dimenticato di lui.
Alberto è sempre stato un uomo deciso, modesto, ma che ha sempre creduto nelle proprie capacità, anche perché, in fondo, si reputa qualcosa in più di un semplice allenatore. Quando nel 1993 divenne tecnico del Chievo in C1 e poi in B, fu il primo manager all’inglese del calcio italiano. Oltre a guidare la squadra, infatti, stilava anche i contratti dei calciatori e gestiva gli acquisti: nessun allenatore in Italia lo faceva e, certamente, si è dimostrato un precursore anche per il modo di svolgere gli allenamenti o di mettere la squadra in campo.
È grazie a lui se il Chievo è diventato quello che è oggi. E poco importa se oggi è odiato dalla tifoseria clivense, poiché nel 2001 accettò la panchina dell’Hellas. Malesani, quell’anno, però, fallì miseramente l’obiettivo stagionale: la salvezza.
Verona in B. All’ultima giornata. Sarebbe bastato un semplice pareggio con il Piacenza, m arrivò la sconfitta per 3 a 0. Fu la sua prima retrocessione.
Le ombre sulle vigne al tramonto diventano prima gialle poi rosse, per poi sprofondare nell’oscurità della sera. Quest’ultimo è il momento preferito di Malesani, quando, sedendosi nel patio, osserva la calma della natura sprigionarsi in tutta la sua potenza e tranquillità.
Alla Fiorentina nel 1997 allenava Rui Costa, cercando letteralmente di inculcargli i tempi giusti per trasformarlo in un mediano tutto fare. Si, proprio Rui Costa. Mediano. Spesso litigava con Edmundo: ‘O’animal’ era stanco di sedere sempre in panchina.
Simon Bolivar diceva “l’arte di vincere si impara nelle sconfitte”.
Spesso, Mister Malesani, avrà certamente utilizzato questa frase nello spogliatoio, magari per risollevare il morale della squadra reduce da una partita persa. Anche se, nella sua carriera si ritrova maggiormente l’assioma contrario: l’arte di perdere si impara dalle vittorie.
Quando a Parma nel 1999 vinse Coppa Italia, Supercoppa Italiana e Coppa Uefa, si sentì contestare da parte della tifoseria la mancata conquista del campionato, chiuso al quarto posto. La squadra di quegli anni avrebbe oggettivamente potuto competere anche per la vittoria del tricolore; ma Malesani ritiene, ancora oggi, che l’astio nei suoi confronti fosse ingiustificato.
Forse furono i litigi con Asprilla e Veron o le sue esultanze spropositate a minare l’ambiente. In fondo dopo di lui il Parma ha vinto solo una Coppa Italia ed è pure fallito per la seconda volta in dieci anni.
Nonostante ciò, però, quegli ‘ingrati’ della curva celebrano ancora Prandelli e intonano cori contro di lui. “Ma cosa ha vinto Prandelli con il Parma? Confrontate i palmares, cazzo” dirà a bassa voce tra sé. I terreni collinari e ventilati, sui quali lui e le sue figlie hanno fondato l’azienda vinicola, La Giuva (acronimo dei nomi delle figlie di Alberto, Giulia e Valentina Malesani), sono perfetti per far maturare le uve autoctone.
È proprio in questo luogo che Alberto continua a immaginare come sarebbe andata se avesse fatto scelte diverse nella sua carriera.
Malesani ha sempre sofferto le critiche per il suo modo sopra le righe di vivere la partita. Ricordiamo i mesi infernali dopo la famosa conferenza stampa ai tempi del Panathinaikos: telefonate, polemiche, giornalisti impazziti.
Ma lui, che non è fatto di plastica, ha sempre detto in faccia quello che doveva dire, senza alcun filtro. Certo, il calcio è veramente strano: quando arrivò Mourinho, con modi e atteggiamenti simili ai suoi, era considerato un genio, tutti pendevano dalle sue labbra.
Malesani la vive, ancora ora, come una terribile ingiustizia. Lui si considera un precursore anche nel campo della comunicazione, il suo stile però non fu mai compreso fino in fondo.
Ammira con estremo orgoglio le bottiglie della sua azienda, disposte ordinatamente su una mensola sopra le botti:
Il Valpo, vino fruttato e fresco, è perfetto per l’aperitivo dei veronesi.
O il Rientro, un Valpolicella superiore: si chiama così in onore del termine calcistico che definisce una squadra compatta e armoniosa, caratteristiche proprie di questo vino.
Ancora e soprattutto, l’Amarone, il suo preferito e la varietà più pregiata.
Siam certi che mentre guarda estasiato le sue bottiglie, il Mister penserà: “Altro che Mourinho, cazzo! Vorrei vedere Mourinho a fare il vino, cazzo!”.
Dopo i due anni, tra pochi alti e molti bassi, passati in Grecia, la carriera di Malesani è scivolata via, senza un reale motivo, in un vortice di esoneri, retrocessioni e subentri a stagione iniziata. Da allenatore dinamico e innovativo ad uno dei tanti traghettatori. Lo hanno chiamato a salvare situazioni più o meno disperate: Udinese, Empoli, Siena, Palermo e Sassuolo. L’unica stagione portata a termine è stata quella con il Bologna nel 2010, classificandosi sedicesimo. Nel 2011 con il Genoa venne esonerato addirittura due volte nello stesso anno. Dopo essere stato sostituito in autunno da Pasquale Marino, è ritornato per poche partite in primavera, prima di essere rimpiazzato da Luigi De Canio.
Poi Palermo e Sassuolo, subentrato a campionato iniziato ed esonerato rispettivamente dopo sole tre e cinque partite. Insomma, un vero disastro.
Malesani ha dimostrato certamente di non essere un buon traghettatore. Ci sono professionisti ben più bravi in quella particolare arte. Lui è il primo a saperlo.
Le sue idee calcistiche sono come i semi d’uva e hanno bisogno di tempo per essere piantate nella testa dei giocatori. La squadra deve conoscerlo, capire i suoi schemi, fidarsi della sua mano e delle sue cure.
Ma, nonostante questo, siamo certi non ci siano rimpianti nel suo animo. Per amore del calcio si è buttato a capofitto in avventure che odoravano di fallimento prima ancora di cominciare, e spesso, quando ha ottenuto buoni risultati, non è riuscito a farsi amare dall’ambiente.
Nel salone buio, appoggiato ad una botte, aspetta che il chiaro di luna entri dalla finestra sopra la porta d’ingresso. Fare il vino gli piace. Se ne è, col tempo, innamorato. Lavorare fianco a fianco alle sue figlie gli riempie il cuore.
Ma Albertone aspetta ancora la sua ultima occasione. Perché, in fondo, non l’ha mai avuta.
(Foto: Depositphotos)
Calciomercato
Sassuolo, esplode Tarik Muharemovic: da promessa a titolare inamovibile
Una delle grandi rivelazioni di questo inizio di Serie A si chiama Tarik Muharemovic. Il centrale mancino del Sassuolo ha già lasciato il segno nel massimo campionato.
Uno dei segreti del grande avvio di stagione del Sassuolo è Tarik Muharemovic. Il bosniaco, cresciuto nella Juventus, sta avendo una costanza da veterano. Un talento puro che Fabio Grosso sta valorizzando partita dopo partita e che, inevitabilmente, è già diventato un nome caldo sul mercato.
Il club neroverde, però, non ha alcuna intenzione di lasciarselo scappare: l’obiettivo è blindarlo a gennaio per poi valutarne il futuro nella prossima sessione estiva.
Dai vivai sloveni alla Serie A: l’ascesa di Muharemovic

LA GRINTA DI FABIO GROSSO CHE FA IL SEGNO OK ( FOTO SALVATORE FORNELLI )
Cresciuto calcisticamente nei vivai locali sloveni, Muharemovic ha costruito le basi della sua carriera in Austria, all’interno dell’academy del Wolfsberger, con cui ha anche debuttato tra i professionisti contro il Red Bull Salisburgo.
Da lì il salto in Italia, con la firma alla Juventus, dove si impone nella Next Gen collezionando 47 presenze e 2 gol in campionato. Nell’estate del 2024 approda al Sassuolo, inizialmente in prestito. Il suo impatto è immediato: debutto contro il Cosenza in Serie B e subito un gol in Coppa Italia contro il Lecce.
Nonostante la giovane età, il messaggio è chiaro: Muharemovic è pronto. Il suo contributo è stato determinante nella cavalcata che ha riportato il Sassuolo in Serie A, convincendo il club a riscattarlo per circa 5 milioni di euro, un vero affare.
Il nuovo pilastro di Grosso
Oggi, il numero 80 sloveno è un titolare fisso nella formazione di Fabio Grosso. Le sue prestazioni sono da top di reparto e la società ha già deciso di premiarlo con un rinnovo di contratto fino al 2031.
Già nazionale bosniaco, Muharemovic rappresenta il presente e il futuro del Sassuolo. Ma se continuerà su questa strada, il suo nome tornerà sicuramente protagonista nel calciomercato estivo.
Un potenziale rimpianto per la Juventus, che non ha creduto fino in fondo in un difensore che oggi brilla nel massimo campionato.
(Foto: DepositPhotos)
Le bombe di Vlad
LBDV presenta: “Il portiere di Ceaușescu” e “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio”
Domenica 16 novembre, alle ore 18.00, il Punk Roma (Via dei Durantini 18, Roma) ospiterà un evento speciale dedicato alla letteratura sportiva e alla cultura calcistica.
Protagonisti della serata saranno due firme d’eccezione: Guy Chiappaventi, giornalista di La7, autore del libro “Il portiere di Ceaușescu” (Bibliotheka Edizioni), e Ciro Romano, caporedattore di LBDV, che presenterà “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio” (Garrincha Edizioni).
A dialogare con gli autori ci sarà Daniele Garbo, giornalista sportivo già volto di Mediaset e Direttore Editoriale di LBDV, mentre la presentazione sarà affidata al giornalista di Le Bombe di Vlad, Alberto Caccia.
L’incontro rappresenta un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di calcio, giornalismo e narrazione sportiva. Due libri diversi ma accomunati da una stessa passione: quella per il pallone e per le storie che lo rendono eterno.
Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe
Una storia lunga quasi quarant’anni e undici metri, la storia di quando una squadra di sconosciuti strappò il titolo più importante del calcio europeo – la Coppa dei Campioni – a una superpotenza, il Barcellona.
Era la notte magica del 7 maggio 1986 quando, nello stadio di Siviglia, Helmut Duckadam, allora ventisettenne, riuscì nell’impresa di parare tutti e quattro i rigori dei giocatori catalani consentendo alla Steaua Bucarest di laurearsi campione d’Europa, prima volta per una squadra dell’Est. Una notte di felicità per un popolo che viveva con le luci spente, senza riscaldamento e con il frigorifero vuoto.
Quando la Steaua rientrò in Romania, all’aeroporto 15 mila persone accolsero i giocatori e almeno altrettante scesero in strada per seguire il tragitto del pullman fino a Bucarest. Fu un fatto insolito per la Romania comunista, dove le manifestazioni spontanee di piazza erano vietate, ma il regime volle capitalizzare la vittoria. Il presidente Ceaușescu invitò la squadra a palazzo e Duckadam diventò per sempre l’eroe di Siviglia.
L’autore
Giornalista, inviato del tg La7. Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise. Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.
Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio
Ciro Romano ci racconta le gesta dello storico portiere olandese Jongbloed, eroe dell’arancia meccanica di sua maestà Cruijff . Un viaggio dentro la vita di uno dei calciatori più importanti della sua era. Non una monografia, dimenticate i tabellini, quello che troverete in queste pagine è l’atmosfera, è l’uomo prima del calciatore, è la storia prima dei gol, è il lato nascosto del pallone. Preparatevi, riavvolgete il nastro, premete play e godetevi questa partita di carta e inchiostri, inseguendo in campo un calciatore indimenticabile. Una nuova figurina letteraria da collezionare, una nuova figurina per completare lo scaffale dei campioni.
L’autore
Ciro Romano vive a Salerno è avvocato, abilitato alle Magistrature Superiori. Guarda il calcio dall’età di tre anni, e ne scrive per testate giornalistiche e pagine social. Prima per passione, poi per motivi professionali, diventa esperto di tifo radicale. Tiene conferenze e partecipa a dibattiti pubblici per l’abolizione alle limitazioni di legge al tifo e agli spostamenti delle tifoserie.
Ha pubblicato “Volevo solo giocare a ping pong” (Caffèorchidea).
(Foto: DepositPhotos)
Le bombe di Vlad
Napoli, allarme Lobotka: rischio stiramento e fino a 7 gare di stop. La sosta aiuta Conte
La sosta arriva nel momento giusto per il Napoli. L’infermeria azzurra è piena e le due settimane di pausa saranno fondamentali per Antonio Conte, che potrà sfruttare il tempo per recuperare alcuni uomini chiave e ricaricare una squadra apparsa stanca dopo il primo tour de force stagionale.
A Castel Volturno si lavora per rivedere in campo Alessandro Buongiorno, accelerare il rientro di Amir Rrahmani e gestire i giocatori arrivati col “serbatoio vuoto”. Ma a preoccupare di più sono gli ultimi problemi muscolari che hanno colpito due titolari, tra cui Stanislav Lobotka.
Allarme Lobotka: rischio stiramento e stop prolungato
Dalla Slovacchia sono arrivate conferme: il regista azzurro avrebbe accusato un fastidio muscolare che, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe rivelarsi uno stiramento. Gli esami strumentali in programma oggi chiariranno l’entità dell’infortunio e i tempi di recupero, ma le prime indiscrezioni non lasciano tranquilli.
In caso di conferma, Lobotka rischierebbe di restare fuori per fino a sette partite, saltando quindi in Serie A, i match contro Torino, Inter, Lecce, Como e forse Bologna. In Champions League, le sfide con PSV Eindhoven ed Eintracht Francoforte.
Ovviamente, in casa Napoli si spera in uno stop più breve, con la sosta che potrebbe dimezzare i tempi di recupero.
Come cambia il centrocampo di Conte
In attesa di notizie ufficiali, Conte si prepara a riorganizzare il centrocampo. Il sostituto naturale di Lobotka è Billy Gilmour, protagonista di una buona prova nell’ultimo match contro il Genoa. Tuttavia, con sette gare ravvicinate, sarà difficile affidarsi solo allo scozzese.
Una delle alternative è Kevin De Bruyne, che già in alcune fasi arretra il suo raggio d’azione per impostare il gioco. In caso di rotazioni, potrebbe trovare spazio anche Eljif Elmas, soprattutto se Conte decidesse di confermare il 4-1-4-1.
In alternativa, il tecnico potrebbe optare per un 4-3-3 più tradizionale, sacrificando un centrocampista e inserendo un esterno sinistro puro per dare maggiore ampiezza.
Situazione infermeria Napoli
Oltre a Lobotka, si attendono aggiornamenti anche su Matteo Politano, mentre Buongiorno e Rrahmani puntano al pieno recupero entro la ripresa del campionato. La sosta, mai come stavolta, arriva nel momento perfetto per un Napoli che ha bisogno di ritrovare energie, lucidità e uomini.
(Foto: DepositPhotos)
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