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Racconti di un campione senza tempo: Paolo Rossi, per tutti Pablito!
Ad un anno dalla scomparsa di uno dei giocatori italiani più amati di sempre, Paolo Rossi; dall’esordio con la maglia del Como all’ultima stagione con il Verona. Nel mezzo il dramma “Totonero” e la mitica vittoria nel “Mundial” a Spagna’82.
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Esattamente un anno fa ci lasciava uno dei giocatori e sportivi italiani di maggior prestigio del panorama mondiale, Paolo Rossi, per tutti Pablito. Ecco, un soprannome che ai più fa venire in mente le gesta compiute dal compianto ex bomber della Nazionale Italiana in terra iberica, ma che invece ha connotazioni leggermente più lontane, giusto 4 anni prima, nel Campionato del Mondo 1978 in Argentina.
Ma andiamo per gradi, anche se non basterebbero fiumi di parole per spiegare ciò che è stato per l’Italia intera del pallone e non, così come non ne basterebbero per spiegare quello che è sempre stato Paolo nel sociale, quando girava i reparti di oncologia pediatrica degli ospedali italiani per aiutare tutti quei bambini che hanno dovuto affrontare ben altre battaglie, e non sul prato verde di un campo da calcio, ma da un lettino d’ospedale con la speranza di poter vedere ancora molto della Vita terrena. Un uomo semplice, umile, rispettoso, con sani valori, un campione totale, anzi, Campione, con la C maiuscola.
“Quel ramo de lago di Como…”

Inizia proprio da Como la sua avventura professionistica nel mondo del calcio, in realtà il cartellino è di proprietà della Juventus, che lo acquista praticamente a casa Rossi grazie alla mediazione di Italo Allodi, all’epoca direttore sportivo dei bianconeri; la famiglia di Paolo non è contenta di questo interesse per il proprio figlio, perché pochi mesi prima la stessa dirigenza juventina aveva portato nel proprio settore giovanile il fratello, Rossano, il quale dopo un anno torna mestamente a casa sua, a Prato, città natia del Pablito nazionale.
Molti infortuni purtroppo non danno la possibilità a Rossi di mettersi in mostra nei vari settori giovanili ma riesce comunque ad esordire tra i professionisti per 3 volte ma in Coppa Italia. Si allena ormai con i grandi viste le sue più che ottime qualità, tant’è che per la stagione 1975-1976 la Juve lo manda in prestito a Como che in quelle stagioni giocava in massima serie, e il 9 Novembre 1975 arriva finalmente l’esordio in Serie A contro il Perugia. Purtroppo anche a Como è tormentato dagli infortuni, infatti riuscirà a collezionare solo 6 presenze, senza peraltro timbrare.
Campione Berico e il primo Pablito!

Nel 1976 arriva la svolta calcistica per Rossi, che abbraccia la causa del LaneRossi Vicenza…quasi un segno del destino, quella squadra veneta che “porta” anche il suo cognome come denominazione societaria. E così, sotto lo sguardo severo dei Monti Berici, parte la meravigliosa storia di Paolo con i biancorossi.
La Juventus trova la disponibilità dell’allora Presidente Giuseppe “Giussy” Farina per acquistarlo in comproprietà, ma Paolo è costretto a scendere di categoria, in B; la fortuna del giovane Rossi è l’incontro con l’allora allenatore Giovan Battista Fabbri, che lo reinventa n°9; secondo il mister, non ha il fisico per poter giocare da esterno, ma intuisce in lui innate doti da bomber e non sbaglia. 21 gol in 36 partite nella serie cadetta valgono la storica promozione in A dei veneti e il titolo di capocannoniere.
A fine stagione rimane a Vicenza e torna in A da protagonista, trascinando i berici ad un incredibile 2° posto, nonostante la partenza non ottimale dei veneti, grazie anche ai 24 gol in 30 partite, numeri mostruosi per un ragazzo di 22 anni che fino a due anni prima affondava sulla corsia di destra del rettangolo verde, rivincendo il titolo di capocannoniere, ma della Serie A.

E come ogni bambino che sogna di diventare calciatore, ha, tra quelli nascosti nel cassetto, quello di voler giocare in Nazionale. L’allenatore di quella Selezione era il “Vecio“, Enzo Bearzot, il friulano che si innamora subito del bomber del Vicenza. E lo porta con sé nella spedizione azzurra in Argentina, per il Campionato del Mondo 1978. E Paolino, anzi, proprio da questo momento in poi Pablito, lo ripaga portandolo fino alla finalina 3° – 4° posto contro il Brasile, mettendo a referto 3 gol in 7 partite.
Il soprannome Pablito arriva dal giornalista e poi futuro direttore de “Il Gazzettino“, testata giornalistica veneta, Giorgio Lago, che tesseva le lodi del giovane Paolo prima nelle fila del LaneRossi e poi in quelle della Nazionale Italiana in Argentina ’78, ed essendo un Paese ispanofono, venne facile tradurre al buon Lago, Paolino in Pablito.
Gli anni bui

Tornato da un eccellente mondiale, Rossi è pronto a disputare un’altra stagione al Vicenza che lo riscatta per la cifra monstre di 2 miliardi e 600 milioni delle vecchie lire. Purtroppo un brutto infortunio in Coppa Uefa lo tiene fuori dalla lotta salvezza del Vicenza, e nonostante i 15 gol in 28 partite, incredibilmente i biancorossi retrocedono in B.
Ma la serie B è ormai diventata stretta per Pablito. Così il Perugia, matricola terribile di quegli anni, riesce a prenderlo in prestito per due stagioni, ma la prima delle due coincide con lo scandalo del calcio italiano, denominato “Totonero“.
Anche Rossi rimane coinvolto in questa vicenda, mentre camionette della Polizia imperversavano in una domenica di Marzo su molti campi da Calcio. Secondo la ricostruzione dello stesso Pablito, è stato avvicinato da due persone tramite un suo ex compagno di squadra, Mauro Della Martira. L’errore di Rossi, proprio come spiegato dalla CAF, è stata l’omessa denuncia, per il quale arrivano due anni di squalifica.
“E uscimmo a riveder le stelle”…Campioniiiiiiiiiiii!

Dopo i due anni più brutti della sua vita, a fine Aprile termina l’agonia di Rossi e torna a giocare ancora per la Juve…La Juve? Ma come? Qualche anno prima gli preferì Pietro Paolo Virdis…ebbene sì, il Presidente Boniperti lo convince a tornare, le sue parole fanno sentire Paolo di nuovo un calciatore. Si allena per tutta la stagione 1981-1982, e quando termina la squalifica, riesce a dare una mano ai bianconeri nella conquista dello scudetto, segnando anche un gol nelle tre partite disputate.
Non fu solo Boniperti a dare fiducia a Pablito, ma anche il Vecio, sì, di nuovo lui, Enzo Bearzot, che lo porta al Mundial ’82 in Spagna al posto di Pruzzo, capocannoniere dell’ultima stagione in A, mettendosi contro tutta i media.
La Selezione italiana fa quadrato, si chiude in silenzio stampa e l’unico a parlare sarà il Capitano, uno sicuramente di pochissime parole, Dino Zoff. Pablito gioca tutte le partite del primo girone senza mai mettere la firma, l’Italia si qualifica comunque nonostante i 3 pareggi, con la stampa che non le manda a dire, e giù di critiche.
Ma è nel 3-2 della seconda partita del secondo girone contro il Brasile che arriva la svolta per Rossi: la sua tripletta dà alla Nazionale il pass per le semifinali contro la Polonia, ma anche contro i polacchi si abbatte l’uragano Pablito con una doppietta, e sulle ali dell’entusiasmo, mette la griffe anche sulla finale contro la Germania Ovest: CAMPIONI DEL MONDOOOOOOOOOOO!!!
Ebbero ragione le due B (Boniperti e Bearzot), grazie a Pablito l’Italia è campione del Mondo per la terza volta dopo quasi 50 anni, la Juve grazie ai suoi gol vince la Coppa delle Coppe, la Supercoppa Uefa e la Coppa dei Campioni. E dopo Rivera e Sivori, un italiano torna a vincere il Pallone d’Oro. Come è strana la vita…6 mesi prima era senza squadra, poi scudetto con la Juve, Mondiale con la Nazionale e Pallone d’Oro!
Ma il rapporto tra Rossi e la Juve si rovina e decidono di separarsi.
Ultime due tappe: Milan e Verona. Per sempre Pablito.

Ultime due stagioni in A con pochissimi sussulti, ormai sembra che Pablito abbia dato il meglio di sé in termini di realizzazioni, e infatti, due gol con la maglia del Milan, entrambi nel derby contro l’Inter, e 4 con il Verona nell’ultima stagione da giocatore; ancora una volta gli infortuni lo penalizzano e a 31 anni decide di ritirarsi.
Pablito lascia la sua vita terrena all’età di 64 anni, oggi sarebbe stato il suo 65°, ma per tutti, Pablito vivrà sempre nei nostri cuori. Pablito, Campione con la C maiuscola.
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Fiorentina, il rigore della discordia: parla Gudmundsson
La Fiorentina è in una crisi sempre più nera, che si esprime anche attraverso i rifiuti da parte dei giocatori a calciare i rigori. Almeno secondo Vanoli.
Fiorentina-Sassuolo, cosa è successo?
Nella partita tra Fiorentina e Sassuolo, persa dai Viola, c’è stato un calcio di rigore trasformato da Rolando Mandragora. Ma subito era nata una discussione tra Mandragora e Moise Kean su chi dovesse tirarlo.
Dopo la partita, l’allenatore viola Paolo Vanoli in conferenza ha dichiarato che il rigorista ufficiale era Gudmundsson, ma che secondo lui l’islandese “non ha voluto calciare”.
Fiorentina, la risposta di Gudmundsson
Gudmundsson ha smentito categoricamente la versione di Vanoli. In un commento sotto un post social ha detto che “non ha mai rifiutato un rigore” e che “non litigherebbe mai con un compagno davanti a uno stadio pieno”.
In pratica: un altro giocatore, secondo lui, ha preso spontaneamente la palla per calciare, e lui non ha opposto resistenza, per evitare tensioni davanti ai tifosi.
Una Viola in crisi profonda
La sconfitta contro il Sassuolo peggiora una situazione già drammatica: la Fiorentina ricopre l’ultimo posto in classifica.
Per Vanoli, il problema è soprattutto mentale: nella sua conferenza ha denunciato una mancanza di spirito di squadra, troppi alibi, poca “forza da uomini”.
Cosa significa per la squadra?
Il dissidio pubblico tra allenatore e giocatore, anche se mediato via social, svela molte delle tensioni e della sfiducia che aleggiano nello spogliatoio. Se da un lato Vanoli tenta di rimettere ordine e responsabilizzare la squadra, dall’altro Gudmundsson cerca di difendere la sua immagine e il rapporto con i compagni.
In ogni caso, l’episodio del rigore evidenzia come la crisi della Fiorentina non sia solo tecnica, ma anche (forse soprattutto) psicologica e relazionale.
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Cagliari-Roma, le ultimissime dall’Unipol Domus: Borrelli e Ferguson guidano gli attacchi di Pisacane e Gasperini
Alle ore 15:00 andrà in scena la sfida pomeridiana tra Cagliari e Roma all’Unipol Domus. Un incrocio tra ambizioni salvezza e vertice della classifica.
Cagliari–Roma sarà il match del pomeriggio di questa domenica di serie A, che sta vivendo un turno suddiviso su tre giorni e che si concluderà domani.
I padroni di casa hanno raccolto finora 11 punti, e per ora sono fuori dalla zona retrocessione, e ambiscono a tenere a distanza le inseguitrici.
Dal lato capitolino, invece, attualmente la classifica dice quarto posto con 27 punti, frutto di nove vittorie e quattro sconfitte.
Ultime Cagliari
Dopo la parentesi Coppa Italia, Pisacane torna a puntare sui titolarissimi.
Perciò Caprile difenderà i pali, con Zappa, Deiola e Luperto in difesa.
A centrocampo agiranno Palestra, Adopo, Liteta, Folorunsho e Obert, mentre in attacco Esposito affiancherà Borrelli.
Ultime Roma
Gasperini non può concedere cali di tensione ai suoi, soprattutto alla luce del risultato di ieri dell’Inter, che è scattato a +3 sui giallorossi, in attesa degli impegni di Napoli e Milan.
La settimana che va ad iniziare sarà caratterizzata dall’impegno in Europa League contro il Celtic, ma all’Unipol Domus sarà schierata la formazione migliore, senza calcoli.
L’unico dubbio riguarda l’attacco, con Ferguson che dovrebbe partire dal 1′, ma occhio a Dybala e Baldanzi, nel caso si dovesse puntare sull’attacco leggero.
Probabili formazioni
Cagliari (3-5-2): Caprile; Zappa, Deiola, Luperto; Palestra, Adopo, Liteta, Folorunsho, Obert; S.Esposito, Borrelli. Allenatore: Fabio Pisacane
Roma (3-4-2-1): Svilar; Mancini, N’Dicka, Hermoso; Celik, Cristante, Kone, Tsimikas; Soule, Pellegrini; Ferguson. Allenatore: Gian Piero Gasperini
La squadra arbitrale
Arbitro: Zufferli
Assistenti: Tegoni – Fontemurato
Quarto ufficiale: Di Marco
Var: Guida
AVar: Pezzuto
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Fiorentina, Goretti: “Non siamo squadra. I tifosi sono venuti a Reggio Emilia, noi no”
Roberto Goretti commenta a DAZN e in conferenza stampa la sconfitta della Fiorentina contro il Sassuolo, analizzando uno dei momenti più difficili della storia recente viola.
Roberto Goretti ha parlato ai microfoni di DAZN dopo Sassuolo-Fiorentina, analizzando uno dei momenti più bui e delicati della squadra viola nelle ultime settimane.
Sul momento buio:
“C’è una presa di coscienza ancora più forte della situazione – ha spiegato Vanoli –. Dopo Bergamo la società ha chiamato i nostri tifosi, ma noi no. Abbiamo dimenticato di venire in Reggio Emilia e dimostrato che non siamo squadra. Ci sono aspetti positivi, ma oggi questo non è successo. Se non si trova la chiave emotiva per risolvere il blackout, continueremo a partire male, e questo non va bene”.
Sulla partenza positiva e la mancanza di fiducia:
“Se non c’è fiducia tra compagni, collaborazione e aiuto reciproco, diventa chiaramente una situazione difficile. Bisogna ritrovare le piccole cose che, messe tutte insieme, sono determinanti. E’ ora passata di farlo”.
Fiorentina, le parole di Goretti in conferenza stampa

Momento della squadra.
“Nelle ultime partite credo di aver visto dei passi in avanti, oggi siamo tornati indietro. ogni palla buttata in area di rigore dimostrano che non c’è una sufficiente connessione e un grado di fiducia tra i giocatori, e questo dimostra che siamo obbligati a trovarla in una situazione che è difficile, molto difficile, ma è vietato mollare, è vietato cedere terreno, ma è vietato retrocedere”.
Vanoli.
“Chi fa un’analisi con un giusto spirito critico è ben accetto sempre. Più volte bisogna prendere decisioni anche drastiche, a volte decise, bisogna capire la situazione, , bisogna essere realisti e bisogna agire”.
Rigore contestato da Kean e Mandragora.
“Questa è una cosa che non mi piace e non è neanche la prima volta che la facciamo, quindi non mi piace doppiamente”.
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