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Mondiale per Club, kefiah e bandiere pro-Gaza negli USA

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FIFA

L’invito a tenere gli occhi aperti sul genocidio in corso a Gaza non si ferma e la protesta arriva anche negli stadi che ospitano il Mondiale per Club.

A combattere l’omertà e il vile doppio-standard occidentale non ci pensa la Juventus, taciturna di fronte a Trump nello Studio Ovale, ma per fortuna per noi lo fanno altre tifoserie: ovviamente non europee.

La protesta per Gaza arriva al Mondiale per Club

PSG

Durante la partita persa 2-0 contro il PSG, i tifosi dei Seattle Sounders (formazione locale, che milita nella MLS) hanno esposto diversi striscioni pro-Gaza e intonato cori attraverso i quali si chiedeva di estromettere Israele dalle competizioni FIFA e UEFA. I loro avversari di giornata, vale a dire la formazione di Luis Enrique, aveva fatto altrettanto nella gara d’esordio: vinta 4-0 contro l’Atletico Madrid.

Una protesta che ha fatto seguito a quella nella finale di Champions League a Monaco di Baviera, vinto per 5-0 contro l’Inter, in cui il tifo organizzato parigino aveva esposto striscioni raffigurante l’eloquente scritta “Stop Gaza Genocide. Quella protesta era stata accolta tiepidamente in Francia, nonostante quello transalpino sia uno dei paesi europei in cui l’islamofobia e la sudditanza nei confronti del regime sionista sia agli apici.

Invece, per quanto concerne la protesta andata in scena contro l’Atletico Madrid, il ministro dell’interno francese Bruno Retailleau ha condannato fermamente il gesto: affermando che “la politica non dovrebbe danneggiare lo sport“, definito da lui come “uno strumento per unire e non per dividere“. E infatti il popolo calcistico non si sta affatto dividendo sulla questione palestinese, anzi: si sta unendo (a differenza di quanto accade a Bruxelles) in un coro di deplorazione che non può più essere ignorato.

Seattle Sounders

Non è la prima volta che i tifosi dei Seattle si fanno apprezzare in tutto il mondo per le loro manifestazioni di progressismo, come, per esempio, facendo sfoggio di bandiere antifasciste. Il gruppo Emerald City Supporters, nel quale confluisce il tifo organizzato della squadra di Seattle, è stato uno dei primi gruppi ad aderire alla campagna “Show Israele the Red Card“. Una protesta pacifica, nella quale si chiedeva agli organi competenti del pallone di riservare al regime sionista lo stesso trattamento riservato alla Russia di Putin.

Durante la partita con l’Antigua, disputatasi lo scorso 27 Febbraio, gli ECS avevano diffuso un durissimo comunicato nei confronti del Regime di Tel Aviv. “Il futuro di Israele è legato alla pulizia etnica del popolo palestinese e alla colonizzazione forzata della loro terra, attraverso espulsioni forzate ed insediamenti illegali” si legge nella nota. E ancora: “Ricordiamo il ruolo di Israele nel genocidio dei Maya indigeni in Guatemala negli anni ’80“. Il riferimento è al cosiddetto “Genocidio Guatemalteco“, iniziato durante la “Guerra civile guatemalteca” e che ha toccato il proprio picco di orrore proprio all’inizio degli anni ’80.

Tutto iniziò con il solito colpo di stato made in USA, che nel 1954 rovesciò il presidente democraticamente eletto Jacobo Árbenz (reo di aver ridistribuito ai contadini alcune terre controllate indebitamente dall’allora United Fruit Company, l’attuale Chiquita) per sostituirlo con un regime militare di estrema destra, sostenuto e finanziato direttamente da Stati Uniti e Israele. Fu l’inizio di un 40ennio di persecuzioni, torture, sparizioni e uccisioni ai danni dei simpatizzanti comunisti: sarà poi ribattezzato “The Silent Olocaust”.

Mondiale per Club, Palmeiras-Al Ahly

Espérance

Sabato 21 Giugno, in occasione della vittoria per 1-0 contro il LAFC, i sostenitori dell’Espérance (club militante nella massima serie tunisina) si sono recati al Geodis Park di Nashville indossando la kefiah (copricapo tradizionale della cultura araba e mediorientale), sventolando bandiere palestinesi e indossando magliette a tema. Toccante è stata poi l’immagine dell’abbraccio fra questi supporters e l’attaccante algerino Youcef Belaili, grande protagonista della vittoria in Coppa d’Africa del 2019 e autore del gol vittoria.

In uno scenario geopolitico sedato dall’ipocrisia e legato da interessi contingentati, il popolo del pallone ci tiene a ricordare che i loro valori non sono negoziabili. A differenza di chi predica una presunta superiorità morale nei confronti del resto del mondo, e poi gioca a calcio (come se nulla fosse) sul suolo di un paese che ha aggredito uno stato sovrano. Il Maccabi Haifa ha giocato due volte contro la Fiorentina, negli ottavi di finale della scorsa edizione della  Conference League.

La nazionale israeliana ha giocato due volte contro quella italiana nella scorsa Nations League e farà altrettanto nelle qualificazioni ai prossimi Mondiali, mentre le formazioni affiliate alla Federazione Russa sono sparite da tutto: anche dai videogiochi. Il calcio può essere anche uno strumento per dare voce a chi non ce l’ha, un mezzo come un altro per veicolare messaggi di protesta. Perché, cara Juventus, a casa di Trump non si è per forza obbligati a stare in silenzio.

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Milan, poco importa della Coppetta Italia: più gravi i soliti problemi | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, una sconfitta in trasferta per 1-0 contro la Lazio non deve assolutamente preoccupare. Sì, perché i problemi in casa rossonera sono decisamente altri.

Il Milan esce sconfitto, ma non ridimensionato, in seguito all’1-0 rimediato in trasferta contro la Lazio. Una gara giocata probabilmente meglio rispetto a quella di campionato pochi giorni fa, ma la sconfitta non deve gridare vendetta. Primo perché si giocava una competizione di cui poco gliene fregava a Massimiliano Allegri il quale è impegnato per conseguire l’obiettivo minimo stagionale ossia la qualificazione Champions.

Un organico troppo corto per disperdere energie inutili, i soliti problemi che la dirigenza dovrà obbligatoriamente (si spera) risolvere a gennaio. Una coperta eccessivamente inadeguatae una squadra che va in affanno quando mancano i suoi big.

Sebbene ce ne fosse ancora il bisogno, abbiamo capito che Estupinan non è da Milan, probabilmente nemmeno da Serie A, Ricci non è una mezzala, senza Modric Rabiot è un altro Milan, Leao ed Nkunku non sono punte centrali. Prima si capisce quest’ultimo concetto e meglio è. Il francese ieri sera a tratti imbarazzante, Leao decisamente in giornata no, e comunque fuori ruolo.

Serve un attaccante centrale e questa volta la dirigenza dovrà ascoltare Allegri. Serve un centrale difensivo così come serve a mio avviso anche un terzino destro. L’invito è quello di aprire il portafoglio e spendere soldi che in casa già ci sono. Siamo primi in classifica, fino a prova contraria, adesso è il momento di osare. Senza gli alibi e le scuse della Coppetta Italia.

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Atalanta: Palladino, la rivincita del tecnico “incompreso”

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Champions League

Palladino: dal fischio della Curva Fiesole al trionfo con la Dea, la settimana da sogno di un tecnico che il destino ha voluto premiare.

Palladino-Pradè: accoppiata perdente, sparite per il bene della nostra gente. Lo striscione della Curva Fiesole pendeva dalle gradinate, una freccia diretta ai dirigenti, colpevoli agli occhi dei tifosi di una stagione che non aveva soddisfatto.

Ma dietro le quinte, Raffaele Palladino continuava a tessere la sua tela, senza clamore ma con risultati concreti. Chiudere al sesto posto in campionato non era solo un numero: era il segno di un lavoro paziente, fatto di scelte giuste al momento giusto e di talenti valorizzati, come Moise Kean, esubero diventato ben presto asso nella manica oltre che un vanto per chi finalmente gli aveva cambiato radicalmente la carriera. Destinato a diventare il gioiello della Fiorentina. Di lui, durante l’ultima finestra di mercato, si temeva addirittura la partenza per poco più di 50 milioni, mentre solo dodici mesi prima era stato acquistato solamente per 13 milioni, una cifra che al tempo aveva fatto storcere il naso a molti, ma che ora sembrava quasi un affare d’altri tempi.

Palladino

RAFFAELE PALLADINO E MOISE KEAN ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

E Palladino? Nonostante tutto aveva deciso di pagare il prezzo più alto. Lasciare il progetto, rinunciare a un contratto pesante fino al 2027, accettare di diventare il capro espiatorio di una stagione forse mai compresa fino in fondo. Un gesto che parlava di responsabilità, ma anche di coraggio: di chi mette il bene della squadra davanti al proprio orgoglio, e accetta di camminare tra applausi e fischi, consapevole che la storia non giudica subito chi lavora nell’ombra.

Una decisione che, se da una parte aveva dato ragione a Palladino — con una Fiorentina ai minimi storici in qualsiasi competizione — dall’altra sembrava poter mettere a rischio la sua carriera. Prima dell’Atalanta, infatti, nessuno aveva pensato al suo nome, preferendo tecnici che, al netto dei risultati, avevano accumulato numeri ben più bassi nelle stagioni precedenti.

Palladino, tra karma e destino

Eppure il destino aveva altri piani. L’Atalanta, dopo aver interrotto il rapporto con Juric, ha affidato la panchina proprio a lui, regalando al tecnico un’occasione che pareva scritta già a aprtire dal suo terzo impegno con la Dea. Nel basket d’oltreoceano esiste un termine che descrive eventi che sembrano accadere per ragioni karmiche, una sorta di “you get what you deserve”, che in italiano si traduce con “Ecco quello che ti meriti”.

E ieri, intorno alle 18, Palladino ha incarnato perfettamente questa espressione. Dopo la vittoria contro il Francoforte in quello che è stato il suo esordio in Champions League, il tecnico ha replicato anche contro il suo passato, infliggendo un amaro destino alla sua ex squadra. Sfogliando l’almanacco delle retrocessioni dalla Serie A alla Serie B, emerge un dato impietoso: mai una squadra incapace di ottenere almeno una vittoria nelle prime tredici giornate è riuscita a salvarsi. E così, tra applausi e rimpianti, Palladino ha scritto un nuovo capitolo della sua storia, dimostrando che a volte il destino sembra davvero fare giustizia da sé.

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Milan, deadline gennaio 2026: una volta per tutte capiremo le intenzioni della dirigenza | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, c’è la data entro la quale capiremo, probabilmente una volta per tutte, le reali intenzioni della dirigenza e del club in generale. Vediamo meglio qui di seguito in dettaglio.

Il mese di gennaio 2026 sarà cruciale. Ogni occasione di mercato è importante, ma ritengo che questa lo sia ancora di più. Mi spiego meglio, finora quello che è sempre emerso dalla proprietà Gerry Cardinale è l’esigenza di centrare la qualificazione in Champions

E chi se ne frega se si arriva primi, oppure secondi, oppure terzi, oppure quarti. Entro le prime quattro posizioni va tutto bene. Ma è così anche per i tifosi rossoneri? Sicuramente no.

I presupposti per fare bene in questa stagione ci sono tutti. A oggi il Milan è secondo in classifica a soli due punti dalla capolista Roma e sulla panchina siede un tecnico capace e che ha dimostrato ampiamente di sapere vincere che risponde al nome di Massimiliano Allegri.

Ora la domanda è: cosa farà la dirigenza a gennaio? Accontenterà il tecnico con almeno 3 innesti di qualità in difesa, centrocampo e attacco oppure giocherà al risparmio forte dell’attuale rosa? Questo è lo snodo principale in seguito al quale capiremo meglio le reali intenzioni della proprietà AC Milan.

Acquistare tre prospetti di esperienza significherebbe lottare per lo scudetto senza minimamente nascondersi. Attendiamo sviluppi.

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