editoriale
Conte-Champions, un rapporto stonato: col City è il 14° ko
Antonio Conte continua a inseguire l’Europa che conta con un bilancio quasi in equilibrio tra vittorie, pareggi e sconfitte, ma nessuna semifinale raggiunta
La Champions League si conferma la competizione più amara per il tecnico salentino. La sconfitta per 2-0 maturata ieri sera sul campo del Manchester City – avversario di per sé proibitivo, reso ancor più complicato dall’inferiorità numerica per oltre 70 minuti – ha portato a 14 il numero dei ko del tecnico salentino nella massima competizione europea per club. Un dato che stride con la sua brillante carriera nei campionati nazionali, dove ha vinto in Italia e in Inghilterra lasciando ovunque un segno tangibile.
Il bilancio di Conte in Champions parla chiaro: 15 vittorie, 15 pareggi e 14 sconfitte. Un equilibrio che fotografa bene la difficoltà di un allenatore capace di dominare in patria, ma che non è ancora riuscito a trovare la chiave giusta in Europa. Per un tecnico che in Serie A vanta una media di 2,40 punti a partita e che ha messo in bacheca scudetti e una Premier League, il rendimento europeo rappresenta un’anomalia evidente.
Le campagne europee di Antonio Conte
Dalla Juventus al Chelsea, passando per Inter e Tottenham fino al presente a Napoli, le avventure di Conte in Champions hanno seguito quasi sempre lo stesso copione. Sei campagne disputate, con tre eliminazioni ai gironi (due con l’Inter, una con la Juve), due stop agli ottavi (Chelsea e Tottenham) e una sola apparizione ai quarti di finale, nel 2012/13 con i bianconeri al debutto assoluto del tecnico nella competizione.
Ironia della sorte, al primo tentativo arrivò più lontano di quanto non gli sia mai più riuscito in seguito.
Quell’eliminazione con il Bayern Monaco aprì la lunga serie di rimpianti europei, tra cui la celebre frase del “ristorante da 100 euro con soli 10 euro in tasca”, con la quale Conte denunciava la differenza di mezzi rispetto alle big continentali. Dichiarazione che a distanza di anni continua a tornargli contro, specie dopo esperienze come quelle londinesi, dove le risorse economiche di certo non mancavano.

ANTONIO CONTE RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il presente a Napoli
Col Napoli, Conte è soltanto all’inizio del suo percorso, ma la trasferta all’Etihad ha già riproposto vecchi fantasmi. I tifosi, oltre che per la sostituzione improvvisa di De Bruyne, hanno storto il naso per l’atteggiamento rinunciatario della squadra, incapace di reagire e di costruire anche solo una manovra offensiva degna di nota. Giocare in dieci contro il City è al limite dell’impossibile, ma la passività mostrata ha alimentato nuove critiche a un allenatore che, in Champions, sembra incapace di liberarsi dalle proprie paure tattiche.
Antonio Conte non ha infatti mai raggiunto una semifinale di Champions League. Nessuna finale, nessuna notte tra le grandi d’Europa. Un paradosso per un allenatore capace di vincere ovunque in campionato, ma che in coppa non è ancora riuscito a imporsi.
Il suo percorso al Napoli potrebbe offrire un’occasione di riscatto – anche perché siamo solo all’inizio – ma la strada resta lunga e tortuosa. Di certo, al momento, la Champions continua a essere la nota stonata della sinfonia di Conte.
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Milan, poco importa della Coppetta Italia: più gravi i soliti problemi | L’editoriale di Mauro Vigna
Milan, una sconfitta in trasferta per 1-0 contro la Lazio non deve assolutamente preoccupare. Sì, perché i problemi in casa rossonera sono decisamente altri.
Il Milan esce sconfitto, ma non ridimensionato, in seguito all’1-0 rimediato in trasferta contro la Lazio. Una gara giocata probabilmente meglio rispetto a quella di campionato pochi giorni fa, ma la sconfitta non deve gridare vendetta. Primo perché si giocava una competizione di cui poco gliene fregava a Massimiliano Allegri il quale è impegnato per conseguire l’obiettivo minimo stagionale ossia la qualificazione Champions.
Un organico troppo corto per disperdere energie inutili, i soliti problemi che la dirigenza dovrà obbligatoriamente (si spera) risolvere a gennaio. Una coperta eccessivamente inadeguatae una squadra che va in affanno quando mancano i suoi big.
Sebbene ce ne fosse ancora il bisogno, abbiamo capito che Estupinan non è da Milan, probabilmente nemmeno da Serie A, Ricci non è una mezzala, senza Modric e Rabiot è un altro Milan, Leao ed Nkunku non sono punte centrali. Prima si capisce quest’ultimo concetto e meglio è. Il francese ieri sera a tratti imbarazzante, Leao decisamente in giornata no, e comunque fuori ruolo.
Serve un attaccante centrale e questa volta la dirigenza dovrà ascoltare Allegri. Serve un centrale difensivo così come serve a mio avviso anche un terzino destro. L’invito è quello di aprire il portafoglio e spendere soldi che in casa già ci sono. Siamo primi in classifica, fino a prova contraria, adesso è il momento di osare. Senza gli alibi e le scuse della Coppetta Italia.
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Atalanta: Palladino, la rivincita del tecnico “incompreso”
Palladino: dal fischio della Curva Fiesole al trionfo con la Dea, la settimana da sogno di un tecnico che il destino ha voluto premiare.
Palladino-Pradè: accoppiata perdente, sparite per il bene della nostra gente. Lo striscione della Curva Fiesole pendeva dalle gradinate, una freccia diretta ai dirigenti, colpevoli agli occhi dei tifosi di una stagione che non aveva soddisfatto.
Ma dietro le quinte, Raffaele Palladino continuava a tessere la sua tela, senza clamore ma con risultati concreti. Chiudere al sesto posto in campionato non era solo un numero: era il segno di un lavoro paziente, fatto di scelte giuste al momento giusto e di talenti valorizzati, come Moise Kean, esubero diventato ben presto asso nella manica oltre che un vanto per chi finalmente gli aveva cambiato radicalmente la carriera. Destinato a diventare il gioiello della Fiorentina. Di lui, durante l’ultima finestra di mercato, si temeva addirittura la partenza per poco più di 50 milioni, mentre solo dodici mesi prima era stato acquistato solamente per 13 milioni, una cifra che al tempo aveva fatto storcere il naso a molti, ma che ora sembrava quasi un affare d’altri tempi.

RAFFAELE PALLADINO E MOISE KEAN ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
E Palladino? Nonostante tutto aveva deciso di pagare il prezzo più alto. Lasciare il progetto, rinunciare a un contratto pesante fino al 2027, accettare di diventare il capro espiatorio di una stagione forse mai compresa fino in fondo. Un gesto che parlava di responsabilità, ma anche di coraggio: di chi mette il bene della squadra davanti al proprio orgoglio, e accetta di camminare tra applausi e fischi, consapevole che la storia non giudica subito chi lavora nell’ombra.
Una decisione che, se da una parte aveva dato ragione a Palladino — con una Fiorentina ai minimi storici in qualsiasi competizione — dall’altra sembrava poter mettere a rischio la sua carriera. Prima dell’Atalanta, infatti, nessuno aveva pensato al suo nome, preferendo tecnici che, al netto dei risultati, avevano accumulato numeri ben più bassi nelle stagioni precedenti.
Palladino, tra karma e destino
Eppure il destino aveva altri piani. L’Atalanta, dopo aver interrotto il rapporto con Juric, ha affidato la panchina proprio a lui, regalando al tecnico un’occasione che pareva scritta già a aprtire dal suo terzo impegno con la Dea. Nel basket d’oltreoceano esiste un termine che descrive eventi che sembrano accadere per ragioni karmiche, una sorta di “you get what you deserve”, che in italiano si traduce con “Ecco quello che ti meriti”.
E ieri, intorno alle 18, Palladino ha incarnato perfettamente questa espressione. Dopo la vittoria contro il Francoforte in quello che è stato il suo esordio in Champions League, il tecnico ha replicato anche contro il suo passato, infliggendo un amaro destino alla sua ex squadra. Sfogliando l’almanacco delle retrocessioni dalla Serie A alla Serie B, emerge un dato impietoso: mai una squadra incapace di ottenere almeno una vittoria nelle prime tredici giornate è riuscita a salvarsi. E così, tra applausi e rimpianti, Palladino ha scritto un nuovo capitolo della sua storia, dimostrando che a volte il destino sembra davvero fare giustizia da sé.
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Milan, deadline gennaio 2026: una volta per tutte capiremo le intenzioni della dirigenza | L’editoriale di Mauro Vigna
Milan, c’è la data entro la quale capiremo, probabilmente una volta per tutte, le reali intenzioni della dirigenza e del club in generale. Vediamo meglio qui di seguito in dettaglio.
Il mese di gennaio 2026 sarà cruciale. Ogni occasione di mercato è importante, ma ritengo che questa lo sia ancora di più. Mi spiego meglio, finora quello che è sempre emerso dalla proprietà Gerry Cardinale è l’esigenza di centrare la qualificazione in Champions.
E chi se ne frega se si arriva primi, oppure secondi, oppure terzi, oppure quarti. Entro le prime quattro posizioni va tutto bene. Ma è così anche per i tifosi rossoneri? Sicuramente no.
I presupposti per fare bene in questa stagione ci sono tutti. A oggi il Milan è secondo in classifica a soli due punti dalla capolista Roma e sulla panchina siede un tecnico capace e che ha dimostrato ampiamente di sapere vincere che risponde al nome di Massimiliano Allegri.
Ora la domanda è: cosa farà la dirigenza a gennaio? Accontenterà il tecnico con almeno 3 innesti di qualità in difesa, centrocampo e attacco oppure giocherà al risparmio forte dell’attuale rosa? Questo è lo snodo principale in seguito al quale capiremo meglio le reali intenzioni della proprietà AC Milan.
Acquistare tre prospetti di esperienza significherebbe lottare per lo scudetto senza minimamente nascondersi. Attendiamo sviluppi.
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