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Vlahovic e Theo Hernandez: destini simili, gestioni opposte

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Milan

Vlahovic e Theo Hernandez: due destini assai simili. L’attaccante serbo è sempre più ai margini della Juventus, mentre il terzino francese resta centrale nel Milan

La stagione in corso sta evidenziando una netta divergenza nel modo in cui Juventus e Milan stanno gestendo due dei loro giocatori più importanti, ma ormai destinati a lasciare il club in estate: Dusan Vlahovic e Theo Hernandez. Entrambi sono arrivati a un punto di rottura con le rispettive società, ma mentre il Milan sta cercando di valorizzare fino all’ultimo il laterale francese, la Juventus sembra aver già messo da parte il suo centravanti serbo.

Vlahovic, un corpo estraneo alla Juventus

Dusan Vlahovic non è più parte centrale del progetto tecnico della Juventus. La scelta dell’allenatore Thiago Motta di puntare su Randal Kolo Muani come riferimento offensivo è ormai consolidata. Nelle dieci gare di campionato del 2025, Vlahovic è stato schierato titolare solo in una circostanza, contro il Cagliari. Per il resto, è sempre subentrato a gara in corso e, in un paio di occasioni, è rimasto addirittura in panchina per tutta la partita.

Vlahovic e Theo Hernandez

RANDAL KOLO MUANI FA IL SEGNO OK ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

L’episodio più emblematico del suo progressivo accantonamento è arrivato nelle recenti sfide contro Atalanta ed Hellas Verona. Nella sfida di ieri sera contro la Dea, l’attaccante serbo è stato mandato in campo solo quando la partita era già compromessa, mentre contro gli scaligeri è entrato solo dopo il gol di Thuram, segno che la fiducia nei suoi confronti è ormai ridotta ai minimi termini.

A un anno dalla scadenza del contratto e con nessuna prospettiva di rinnovo, la Juventus attende solo la fine della stagione per cederlo al miglior offerente. Un epilogo amaro per un giocatore che nel gennaio 2022 fu acquistato per una cifra vicina agli 80 milioni di euro, ma che oggi appare un elemento estraneo alla squadra. La società bianconera sembra aver già deciso di privarsene, senza cercare di valorizzarlo per massimizzarne la cessione.

Theo Hernandez, un addio gestito con intelligenza

Situazione simile ma gestione completamente diversa per il Milan e Theo Hernandez. Il terzino francese ha il contratto in scadenza nel 2026, e il suo addio in estate appare sempre più probabile. Nonostante ciò, il club rossonero non ha deciso di relegarlo ai margini, bensì continua a considerarlo una pedina fondamentale.

Vlahovic e Theo Hernandez

DELUSIONE THEO HERNANDEZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Il miglior esempio di questa strategia si è visto nella sfida contro il Lecce, in cui Theo ha indossato la fascia da capitano. Un segnale forte da parte della società, che dimostra come, pur consapevole dell’addio imminente, voglia mantenere il rapporto con il giocatore il più positivo possibile. L’obiettivo è quello di evitare fratture che potrebbero compromettere il valore di mercato del giocatore e creare un clima di tensione nello spogliatoio.

Vlahovic e The Hernandez: due filosofie opposte

La gestione di Vlahovic e Theo Hernandez evidenzia due strategie societarie molto diverse. La Juventus ha scelto una linea dura, mettendo il giocatore da parte e riducendo al minimo il suo utilizzo, con il rischio di svalutarlo ulteriormente. Il Milan, al contrario, sta cercando di mantenere un rapporto costruttivo con Theo, rendendolo ancora protagonista per poi massimizzare la sua cessione in estate.

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Mourinho, Conte e l’impietoso confronto dell’Estadio da Luz

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José Mourinho torna un gigante d’Europa nella serata del da Luz. Antonio Conte e il Napoli ridimensionati, al netto delle pesanti assenze.

Tutto José Mourinho, quello dei bei vecchi tempi andati, nella serata dell’Estadio da Luz. La preparazione alla gara contro il Napoli di Antonio Conte è stata impeccabile, sia dal punto di vista comunicativo che da quello tecnico-tattico. Lo Special One si conferma un gigante d’Europa, mentre il salentino è rimandato.

Mourinho-Conte, amici mai: il confronto in tre immagini

Torna Sun Tzu, con un pizzico di Coser e una spruzzata di Dahrendorf

“Conte si lamenta delle assenze? Non fatemi ridere, perché io potrei piangere. Se a lui manca Lobotka può mettere McTominay e se gli manca De Bruyne può mettere Neres“. Per una sera, lo stile comunicativo del tecnico lusitano è tornato affilato e contundente come quello dei tempi migliori. L’invettiva del Profeta di Setubal sembrava annacquata da troppi anni, incapace di raccapezzarsi con il moderno flusso tecnologico.

Però, anche se solo per una sera, stavolta ha funzionato alla perfezione. Ha spostato tutta la pressione sui propri avversari, tecnicamente superiori e con una maggiore spesa sul mercato alle spalle. E le assenze, seppur pesanti, di Bah e Lukebakio appaiono come un Everest impossibile da scalare, mentre i partenopei vengono resi “schiavi” della vittoria a tutti i costi nonostante una lista di defezioni quasi impossibile da enumerare.

Ma Mou è così. Distorce la realtà, la plasma a suo piacimento con la propria narrazione orwelliana. La sua è una neo-lingua, che però ti arriva alle orecchie quasi come fosse il tuo dialetto madre. L’evergreen di Sun Tzu, su cui il tecnico portoghese ha costruito le sue fortune dialettiche, appare meno vetusto. Quasi “modernizzato”, con il rebranding, dovuto all’implementazione di concetti propri dei sociologi Coser e Dahrendorf, che lo fan sembrare “fresco”. E’ quella che nelle scienze sociali si chiama “teoria del conflitto esterno“, ovvero l’individuazione di un nemico esterno che serve a solidificare il proprio gruppo e a rafforzarne l’identità.

Come un “6-3-1” in fase di non possesso può apparire lo zenit del modernismo

Dal punto di vista tattico, è stato lo stesso Mourinho di sempre. “Vecchio” per alcuni, estremamente piazzato nella modernità per altri. Il Benfica, in fase di non possesso, si è trincerato in difesa con il più “mourinhano” dei 6-3-1. Taluni lo chiamerebbero “catenaccio”, ma è una parola desueta. Siamo nell’epoca dei neologismi e a Coverciano preferiscono “blocco basso”, così come il deprecabile “contropiede” è stato sostituito dal più politicamente corretto “transizioni negative”. A suo modo, anche questa è una sorta di neo-lingua orwelliana.

Sono però analisi superficiali, poiché i lusitani, almeno ieri sera, sono stati il connubio perfetto di modernità e pragmatismo. Mourinho, nel presentare la partita, era stato schietto come sempre. “Non possiamo accettare il loro uno contro uno a tutto campo, altrimenti ci ammazzano”. Detto, fatto. Ed ecco che allora il suo Benfica applica un altro dei concetti tipici della linguistica moderna applicata al pallone, ovvero la “riaggressione“.

La fase di non possesso ormai si articola in due momenti diversi: quando l’avversario è nel proprio terzo difensivo e quando salta la prima pressione. Nel primo caso, i portoghesi sono aggressivi. Alti e corti, quasi a soffocare la prima costruzione del Napoli. Che infatti è farraginosa, lenta e prevedibile. Il trio difensivo azzurro non riesce quasi mai a far uscire il pallone in maniera pulita da dietro. Milinkovic-Savic è spesso costretto a lanci lunghi e idem dicasi per i tre centrali, che non riescono a scivolare sulla linea laterale.

Ma quale “catenaccio”: il calcio di Mourinho è qualità allo stato puro

Peccato che quel tipo di situazione Mou l’abbia preparata alla perfezione. Hojlund non è Lukaku e lo si è lapalissianamente capito (qualora servisse un’ulteriore dimostrazione) nella serata di Lisbona. Forzare la palla diretta equivale, nella maggior parte dei casi, a restituire la sfera ai padroni di casa. Otamendi e Araujo hanno anticipato in maniera sistematica il centravanti danese, spegnendo le velleità offensive azzurre che peccavano della qualità tecnica necessaria per scardinare centralmente l’area di rigore militarizzata dai lusitani.

Rimaneva solo la via degli esterni, ma Lang e Neres venivano sistematicamente raddoppiati (da qui il “6-3-1” in fase difensiva) perdendo la propria peculiarità nell’1 vs 1. E anche se crossi, dato che in mezzo hai comunque Hojlund e McTominay, la prendono sempre loro: del resto l’avevano preparata così. Solo tattica, quindi? Macché! Il brio alla manovra offensiva la danno i giocatori, mica gli allenatori, e il Benfica di qualità nei piedi ne ha. Basti vedere l’illuminante tacco di Aursnes nel primo tempo, sull’ennesimo errore di Ivanovic.

Il Benfica questa partita l’ha dominata, soprattutto nel primo tempo, e il passivo sarebbe potuto essere anche più ampio, se Mourinho non avesse scelto di far riposare il suo bomber. Con Pavlidis al posto di un Ivanovic impresentabile, che ha fallito almeno due occasioni nitide, l’umiliazione (tattica) subita dal Napoli avrebbe assunto i connotati tennistici di quella di Eindovhen. E allora cosa resta? Al netto delle attenuanti, legate agli infortuni e al calendario, che Mourinho, checché se ne dica, resta un gigante d’Europa, a differenza di (questo) Conte. Portare questa squadra, con queste assenze e con questo calendario, ai playoff sarebbe un’impresa che solo a lui può riuscire. Ora bisogna andare allo Stadium (dove Mou in Champions League ha già vinto, quando allenava il Manchester United) contro una Juventus mediocre e poi al da Luz arriverà il Real Madrid di uno Xabi Alonso quasi esonerato. Impossible is nothing, per il Re delle notti magiche in Europa.

Mourinho

SCOTT MCTOMINAY RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

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Milan, il corto muso funziona ancora: ora date due giocatori ad Allegri! L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, la squadra di Allegri si sbarazza a fatica del Torino e riconquista la vetta della classifica. Un primo posto in comproprietà col Napoli e l’esigenza di mettere mano al portafoglio a gennaio.

Il corto muso funziona ancora, Massimiliano Allegri mette un gol davanti a quelli del Torino e vince una partita che dopo i minuti iniziali sembrava già sentenziata. Un gol in più dell’avversario, semplice per il tecnico livornese il quale magari non sempre fa giocare bene le sue squadre, ma le rende dannatamente efficaci. Ed è questo che serve, il bel gioco è fine a sè stesso se poi alla fine si stringe poco.

Alzi ora la mano chi reclama il bel gioco, in fondo a noi interessa essere lì davanti a tutti e per farlo serviranno almeno due colpi a gennaio. La fotografia del Milan attuale parla di un attacco sterile, eccezion fatta per il cecchino Pulisic, capocannoniere della Serie A. Gimenez ed Nkunku non stanno ripagando la fiducia di tecnico e dirigenza e in difesa la necessità è regalare un rinforzo al tecnico livornese il quale prega per la lunga vita di Gabbia, Pavlovic Tomori.

Essere primi comporta onori e oneri, ma anche la dirigenza ora dovrà fare la sua parte. Si è detto che non ci saranno soldi a gennaio. A parte crederci poco, comunque se così fosse, basterà mettere sul mercato l’attaccante messicano il quale ha mercato. Per poi fiondarsi magari su un usato sicuro nell’attesa di Vlahovic in estate. Oppure dirottare tutto e subito su Mauro Icardi, uno che la porta la vede, eccome se la vede.

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Juventus, continua il caso David–Openda: pochi minuti e Mondiali a rischio

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Juventus

Juventus – gli acquisti di punta dell’estate faticano a trovare spazio. Spalletti continua a preferire altre soluzioni, mentre gennaio si avvicina e si valutano scenari inattesi.

La Juventus arriva alla metà del campionato con problemi ancora irrisolti. Il cambio Tudor–Spalletti non ha cancellato gli squilibri di una rosa costruita con fragilità strutturali, e i due investimenti più importanti dell’estate, Jonathan David e Lois Openda, restano ai margini. Anche nel ko di Napoli, nonostante l’assenza di Vlahovic, entrambi sono partiti dalla panchina, mentre Spalletti ha scelto Yildiz come falso nove.

Il rendimento dei due attaccanti è deludente. David, arrivato a parametro zero ma costato oltre 12 milioni di commissioni e con un ingaggio pesantissimo, ha segnato appena due gol in quasi venti partite e ha perso continuità in campionato e Champions. Openda, preso in prestito con obbligo di riscatto dal Lipsia per circa 45 milioni complessivi, ha raccolto finora pochissimi minuti in Serie A e un unico guizzo europeo. Il belga ha anche ammesso pubblicamente le difficoltà di adattamento.

 

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Juventus, il tempo stringe per andare al Mondiale…

Il club chiede un cambio di passo immediato. L’infortunio di Vlahovic, che potrebbe restare fuori a lungo, sembrava poter aprire spazi ai due attaccanti, ma le scelte dell’allenatore raccontano altro. Chiellini ha provato a smorzare i toni, parlando di “opportunità” per entrambi, ma le decisioni tecniche continuano a penalizzarli.

Il tempo stringe anche in ottica Mondiali. David punta a essere protagonista con il Canada nella rassegna “di casa”, mentre Openda teme la concorrenza feroce nella nazionale belga. Per entrambi diventa indispensabile giocare con continuità nella seconda parte della stagione.

Juventus

KENAN YILDIZ, DUSAN VLAHOVIC E LOIS OPENDA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Il mercato di gennaio potrebbe offrire soluzioni, ma non senza ostacoli. David, con un ingaggio elevato, sarebbe accessibile quasi solo ai club di Premier League. La posizione di Openda è ancora più intricata per via degli accordi con il Lipsia e dell’obbligo di riscatto già fissato. In un mercato invernale di opportunità più che di investimenti, servirà creatività.

La Juventus, intanto, non può più permettersi rallentamenti: fuori dalla lotta scudetto e obbligata a lottare per il piazzamento Champions, ha urgente bisogno di certezze. E il tempo delle attese sta per scadere per tutti, David e Openda compresi.

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