Le interviste
Esclusiva CS, Giovanni Toschi:” Da bambino tifavo Fiorentina. Con Reggina e Mantova anni fantastici. Sul Toro…”
Sono passati diversi mesi da quel 2 Gennaio 2023, il giorno in cui, per la prima volta, mi son sentito veramente un giornalista sportivo.
Ma facciamo un passo indietro. A Settembre 2022 sbarco all’Academy Porcari e, ad allenare con me, vengono messi un ragazzo della mia età ed un signore di una settantina di anni abbondanti.
Di quest’ultimo mi colpiscono subito la disponibilità, la simpatia e l’umiltà. La mia curiosità mi spinge ad informarmi su di lui e, dopo aver scoperto la sua storia, non posso che volerne sapere di più.
In una fredda serata di inizio Dicembre, sento che potrei farmi avanti. Gli chiedo se potessi avere l’onore di intervistarlo, ma non per rubagli qualche spoglio e passeggero parere da consumismo mediatico.
Io voglio conoscere quanto più possibile della sua carriera: i retroscena, le emozioni, le particolarità che solo chi ha vissuto la Serie A può raccontare. Un sorriso gli si stampa in faccia e, dopo avermi ringraziato per l’idea, si dice felice di accettarla.
Dunque, secondo giorno del nuovo anno, in centro, con un caffè a fare compagnia, mi trovo seduto a registrare una conversazione con un ex calciatore professionista.
Quel calciatore è il protagonista di questa intervista, colui che mi ha permesso di essere qui a scrivere: Giovanni Toschi.
Ecco, allora, la mia intervista a Giovanni, piccolo, grande, uomo.
Per rompere il ghiaccio, volevo chiederti che squadra tifassi da bambino e se tu avessi un idolo calcistico
Da ragazzino ero tifoso della Fiorentina. Quando iniziai a giocare nel piazzale della chiesa vicino casa mia, la Viola aveva una grande squadra, con un’ala destra svedese chi mi entusiasmava: Kurt Hamrin. Purtroppo, però, dal vivo non ho mai assistito ad una partita della società, poiché non vi era la possibilità economica di farlo. Le seguivo tra televisione e radio, per lo più.
Come ti sei approcciato al calcio giocato?
Prima non si aveva una squadra a 5 o 6 anni. Non esisteva la scuola calcio, solo il giocare con altri ragazzi al collegio oppure all’oratorio. Giocavo ed imparavo. La mia prima società arrivò a 12 anni con la Farfalla Sport di Lammari, in cui rimasi per due anni, prima di passare al San Pietro a Vico. Più competitiva, lì arrivarono le prime vittorie di campionati e tornei.
Quando è arrivato il primo, vero, campionato?
Da San Pietro a Vico, passai ad Altopascio, in 2ª Categoria. Ho seguito, insieme ad altri 5 compagni, il nostro allenatore. Due anni di 2ª Categoria , dove sono rimasto fino a 20 anni. Adesso, a quella età, se non sei ancora arrivato…
Il grande salto, invece, quando avvenne?
Ebbi la grande fortuna che la Lucchese mi vide e si interessò. Andai lì a fare una prova, che andò bene e fui preso. In un anno, collezionai 34 partite con 10 gol. Fu buono come primo impatto, visto che erano retrocessi dalla C alla 4ª serie, in cui vi erano tante squadre importanti. La Reggina, in B, venne a vedermi diverse volte e mi prese. Ero al settimo cielo: dalla 2ª Categoria alla B in poco tempo. A Reggio, ricordo un pubblico meraviglioso. Tre anni bellissimi, il cui secondo giocai in coppia con Causio, grande campione. Io a sinistra e lui a destra. Arrivai lì a 22 anni.

Fonte: Pinterest
Il passaggio, a quella età, volle dire anche cambiare totalmente vita?
Certamente. Io non ero mai uscito dalla regione. Per andare a quella età a Reggio Calabria, dovevo essere veramente innamorato di questo pallone. Avevo tanta malinconia, ma la superavo costantemente con gli allenamenti e le partite. Dopo il primo anno, tra l’altro, il Palermo versò tanti milioni per portarmi in Sicilia, in A, oltre che dare in cambio un’ala destra al posto mio. Presero me, Liguori dalla Ternana e due dalla Juve. Io feci la preparazione e le amichevoli con loro, ma poi tornai alla Reggina, perché i rosanero non davano garanzie di pagamento dei debiti. Mi trovai a fare altri due anni di B prima di conquistarmi la massima serie.
Arriviamo ora all’ultima tappa prima della Serie A: il Mantova
Il Mantova, sempre in B, puntò su di me. Una squadra molto competitiva! Non che la Reggio non lo fosse, ma si arrivava sempre a ridosso di altri. Con il Mantova, vinsi il campionato e conquistammo la A. Da lì, il nostro allenatore, Gustavo Giannioni, mi portò con sé al Toro. Mi seguiva anche il Bologna di Mondino Fabbri, grandissimo allenatore e persona.

fonte: Pinterest
Il biennio al Toro, dunque, con l’esordio in massima serie. Come fu l’impatto?
Furono due anni fantastici, di cui uno purtroppo segnato dall’infortunio in Coppa delle Coppe. Ero partito fortissimo: Mantova-Torino, esordio assoluto e contro la mia ex squadra. Segnai e poi raddoppiò Sala, con un mio assist. Poi segnai 3 gol in Coppa delle Coppe ad una squadra irlandese e poi un gol in Svizzera sempre in coppa. 5 gol in 3 partite. Sempre lì, contro l’Austria di Vienna, uno stiramento. Purtroppo fu curato male, rientrai subito dopo 7 giorni e mi strappai, stando fuori 4 mesi. Questo mi precluse la Nazionale.

Fonte: Wikipedia
La Nazionale? Questa non la sapevo!
A quel tempo, il ct era Valcareggi e vi era la Nazionale A e quella Sperimentale, per vedere chi portare nella prima. Dovevo giocare, dopo la convocazione, in coppia con Chinaglia, ma persi il momento e finì lì, purtroppo. Uno dei pochi rimpianti che ho: successe al momento sbagliato.
Come rientrasti da quello stop così lungo?
Dopo l’infortunio, segnai il famoso gol al Napoli. Era il 90′, mancava un minuto alla fine e non c’era recupero, perché non era previsto. Aver perso tempo o no, non faceva differenza.
Fu una marcatura particolare, che permise al mio Toro di tornare primo in classifica dopo 23 anni. L’arbitro non dette un angolo ed il portiere ed il libero fecero “il giochino”: il portiere la passa al difensore al limite dell’area; lui la rende, con l’estremo difensore che poteva prenderla con le mani, visto che non vi era la regola contro il retropassaggio. Io mi girai e, con la coda dell’occhio, vidi e capii tutto.
Con uno scatto intercettai il passaggio di Zurlini, un po’ corto. Superai il portiere ed il difensore mi tirò a terra con uno strattone e, mentre cadevo, di sinistro, insaccai.
Rete, palla al centro e fischio finale. A rendere tutto più glorioso, vi fu la radiocronaca di Sandro Ciotti, oltre che la testa della classifica con la Juventus, a pari merito.
Detengo anche un altro record al Torino: unico calciatore ad aver fatto 3 gol in una partita di coppa europea. Dal ’73 regge ancora. I gol son sempre difficili da fare, contro ogni squadra.
Pensi che il fisico al giorno d’oggi conti più della tecnica?
Quando giocavo ad Altopascio, feci diverse prove: Fiorentina, Spal, Perugia. Tutti dicevano: “Il ragazzo è bravo, ma è piccolo”. Ho avuto difficoltà a superare questa cosa, ma ringrazio la Lucchese di avermi dato fiducia. Io penso che, anche se sei piccolo, se riesci a saltare l’uomo, sei un valore aggiunto. Una cosa importante è non mollare mai, credere nelle proprie qualità ed essere pronti. Tanti mollano e non hanno fiducia in sé stessi, cosa sbagliata.
Dopo il Toro?
Dopo il biennio granata, in cui collezionai 52 presenze e 12 gol, andai al Cesena, alla sua prima volta in A. Lì altri 2 anni buoni, in cui ho lasciato un altro record: primo giocatore della storia del Cesena a segnare in A. Era Ottobre ’73, contro il Verona, 1-0. Ogni tanto mi chiamano per invitarmi e ricordare quei giorni…bei ricordi! Da lì, Foggia in B, con Cesare Maldini allenatore. Feci una partita lì in A ed a Novembre andai a Novara, dato che avevo già passato i 30 anni. Chiusi, poi, con 2 anni a Viareggio in C2 e poi Porcari.
Quali erano le tue sensazioni a saper di dover difendere dei colori, una città?
Un onore ed un piacere, ogni maglia. Le ho amate tutte. Scendevo in campo e non pensavo a soldi o altro, volevo solo dare il massimo per compagni, società, tifosi. A Torino, ora, penso di aver avuto un privilegio unico vestendo quella divisa, storica e gloriosa. Anche a Porcari, a 35 anni, in 2ª Categoria, esultavo come i gol più importanti tra i professionisti. Ho cercato di dare l’esempio, sempre, di passione ed umiltà.
Chi è il giocatore più forte con cui hai giocato? E quello affrontato?
Assolutamente Gianni Rivera, a ruota subito Gigi Riva. Ma Rivera aveva un’intelligenza fuori dal comune. Con cui ho giocato, invece, direi Causio, campione del Mondo poi nell’82. Menziono anche Pulici, grande attaccante e pezzo di storia granata.
Quante volte hai affrontato Rivera?
Anche con il Mantova in coppa, con il Toro, col Cesena…lo ammiravo e un mio grande amico che ci ha giocato 12 anni, Lodetti, mi ha detto che come lui, in giornata, non c’era nessuno.
Invece un difensore che ti metteva in difficoltà, chi era?
Angelo Anquiletti del Milan, che vinse anche l’Europeo del 1968. Aveva un passo molto simile al mio. Era veloce, non facile da superare, a differenza di chi era più macchinoso.
Quando hai iniziato ad allenare?
Iniziai ad allenare al Porcari-Montecarlo, che all’epoca, ossia nel 1994, era una sola società. Sono sempre stato nel settore giovanile, rifiutando anche proposte importanti, ma non mi interessava più andare a giro. Una scelta di vita, per trasmettere ai bambini la mia passione.
Qualche aneddoto che vuoi raccontarci?
Quando andai in prova alla Lucchese, era un giovedì pomeriggio, e vi era una partita: titolari contro rincalzi. L’allenatore, Ruggero Sala, un bestione di 1.90, che aveva giocato a Roma ed alla Triestina, andò dal portiere Semenzin, veneto come lui, per dirgli: “Visto che roba mi hanno portato? Un calciatore da oratorio, la Lucchese ha una storia. Lo mando a casa!” Semenzin insistette: “Ma dai mister, vediamolo. Un attaccante, tra l’altro, ci serve anche”. Iniziai la partita contro la prima squadra ed il primo tempo finì 2-0 con una mia doppietta. Allora Sala andò da Semenzin e gli disse: “Questo me lo tengo e anche stretto” e difatti non mi ha mai levato, nemmeno quando avevo la febbre!
Un altro piacevole ricordo risale ad un derby, Toro-Juve. Noi eravamo tutti italiani e loro avevano Helmut Haller, un campione assoluto. Aveva un carattere molto umile, tant’è che, a fine partita, venne da me e mi disse: “Noi due li faremmo ammattire tutti quanti” e mi abbracciò. Un onore detto da lui.

Fonte: Luccaindiretta.it
Poi, con la Reggina, giocammo a Napoli, in campo neutro, contro la Lazio, una sfida di Coppa Italia. Sivori era a vedere la partita e, mentre andavo negli spogliatoi, mi fermò e mi disse: “Come ti chiami?” ed io, ingenuamente, dissi: “Giovanni” “No, il cognome mi serve!” Ero emozionato dinnanzi a lui e mi disse “Complimenti, stai facendo cose eccezionali”.
Non si può dimenticare il mio primo gol in B, contro il Catanzaro, ho ancora le foto. Dalla felicità feci il giro del campo!
Per chiudere: un giocatore in cui ti rivedi ed uno che ti piace particolarmente del calcio attuale?
Mi rivedo molto nel Papu Gomez, che ha fatto la storia recente dell’Atalanta. Sia fisicamente, ma anche nello stile di gioco simile: accelerazione e frenata, esattamente come facevo io. Un grande calciatore. Mentre, se devo scegliere qualcuno che mi interessa, dico Leao, ma forse ancora di più Chiesa. Anche Berardi, ma l’attaccante della Juventus, quando vuole, è devastante, tecnicamente e fisicamente. Ci sono tantissimi ragazzi interessanti nel nostro movimento. Serve solo un pochino più di pazienza e di fiducia, cose che a suo tempo mi furono offerte.
Non è possibile volere i giovani già pronti. O sono giovani o sono pronti. Difficilmente entrambi.
Edoardo Elia Sartini

fonte: Ntacalabria.it
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Carlo Nervo: “Il Bologna può arrivare in Europa quest’anno ha una rosa molto competitiva. Nazionale? Ci sono troppi…”
L’ex centrocampista del Bologna Carlo Nervo (1994-2005, 2006-2007) ha parlato ai nostri microfoni della’attuale situazione dei rossoblù, sulla lotta Scudetto in Serie A e molto altro.
In un’intervista di 5 minuti, Carlo Nervo ha detto la sua su come può andare il Bologna questa stagione, parlando anche di giocatori come Bernardeschi e Orsolini, e anche dell’allenatore dei rossoblù Vincenzo Italiano.
Inoltre ha analizzato anche la situazione della Nazionale Italiana e del motivo per cui, secondo lui, gli Azzurri stanno vivendo un momento così complicato.
Di seguito, l’intervista di Carlo Nervo.
Le parole di Carlo Nervo
Dove può arrivare questo Bologna in campionato e in coppa?
“Vista espressione di gioco e i risultati, può arrivare in alto. Secondo me l’Europa dovrebbe essere la giusta posizione, però sognare non costa niente. Le altre squadre sono forti, però il Bologna li ha messi sotto”.
Secondo lei il Bologna ha bisogno di rinforzarsi nel mercato di gennaio, visti alcuni infortuni sulle fasce?
” A mio avviso, a parte gli infortuni, la rosa é completa. Immobile, al momento, é fuori ma é un giocatore forte che segna molti gol: inoltre la crescita di Bernardeschi é stata importante. Secondo me la rosa é molto competitiva, io non toccherei niente”.
Chi vince il campionato?
“Bella domanda, magari il Bologna. No, io vedo il Milan che può insidiarsi”.
Quindi Allegri con il suo Corto Muso?
“Secondo me hanno una bella rosa e un allenatore che sa vincere”.
Italiano é un pò sottovalutato come allenatore?
“No, non é sottovalutato, nel senso che lui é già in una grande squadra, perché il Bologna é una grande squadra”.

VINCENZO ITALIANO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Un aggettivo per l’allenatore e per quello che sta facendo?
“Consapevole: lui é consapevole di essere in una grande piazza”.
Orsolini? E’ un Nervo 2.0
“No, secondo me è più forte. Vede molto la porta, ma soprattutto é un ragazzo per bene che é legato alla città e alla maglia. Quindi deve continuare come sta facendo”.
Adesso nella Nazionale Italiana c’é meno abbondanza di grandi giocatori. Come si può risolvere questa cosa?
“Ai miei tempi per andare in Nazionale dovevi essere forte. Adesso fai dieci partite bene in Serie A e ti chiamano in Nazionale. Non ci sono i campioni come Del Piero e Totti: bisognerà analizzare perché non vengono fuori questi talenti qui in Italia, e valutare tutti i settori giovanili.
Poi, troppi stranieri: quando c’ero io arrivavano i top player stranieri, ora ci sono giocatori che trovi anche in Serie B, in Serie C. Hanno un cognome difficile, quindi impattano sul pubblico. E poi un’altra cosa, meno potere e procuratori”.
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Giulio Scarpati: “La Roma non ha l’obbligo di vincere, per questo oggi vola. Gasperini ha cambiato tutto: ora la squadra corre fino al 90°”
Lo storico volto di Un Medico in Famiglia e romanista dichiarato, Giulio Scarpati ha raccontato ai nostri microfoni una vita intrecciata al giallorosso: dagli anni dell’alzabandiera sempre ammainato alle domeniche allo stadio con il fratello, fino allo sguardo lucido sulla Roma di oggi.
In una lunga intervista, Scarpati ha condiviso le sue opinioni sul lavoro di Gasperini, il momento della squadra, gli obiettivi stagionali e la crisi della Nazionale. Un dialogo sincero, appassionato, a tratti critico, che ci rivelato l’anima di un tifoso autentico, oltre che di un grande attore.
Di seguito, l’intervista di Giulio Scarpati.
Le parole di Giulio Scarpati
Ci vuole parlare del suo legame con la Roma?
“Essere tifoso della Roma significa, prima di tutto, accettare una certa dose di sofferenza. Negli anni ’60 la squadra non era certo tra le grandi. La Juventus ci passava spesso i suoi “bidoni”, giocatori ormai a fine carriera. Per fortuna, con il tempo, la società è cresciuta e si è strutturata molto meglio. La mia passione è nata grazie a mio fratello maggiore, romanista sfegatato. A casa avevamo l’alzabandiera da issare quando la Roma vinceva, ma non lo usavamo quasi mai… le vittorie erano rare, così la bandiera rimaneva per lo più ammainata. Ricordo anche che quando la Roma vinceva, ritagliavamo i titoli di giornale e li attaccavamo in camera. Da bambino andavo anche tanto spesso allo stadio con la tessera dello Junior Club, sempre assieme a mio fratello.
Da attore, poi, mi è capitato di giocare più volte con la Nazionale degli Attori, allenata da Giacomo Losi: una persona straordinaria. Mi dava ottimi consigli su come migliorare in difesa, il ruolo in cui giocavo. Io e mio fratello abbiamo sempre seguito la Roma, nel bene e nel male. Forse avremmo potuto vincere qualcosa di più, ma proprio perché si vince poco, quando succede la gioia è enorme. I festeggiamenti per uno Scudetto a Roma…a Torino se li sognano!”
Mettiamo da parte il passato e guardiamo al presente: avrebbe mai immaginato a inizio stagione questa Roma capolista?
“Assolutamente no, devo essere sincero. Però riponevo molta fiducia in Gasperini, che sa fare benissimo il suo lavoro. Si è integrato in modo sorprendente e credo che anche il lavoro miracoloso fatto da Ranieri l’anno scorso lo abbia agevolato. Peccato per quella Champions sfiorata di un punto. Chissà, magari con altre due partite ci saremmo qualificati noi al posto della Juventus… Da tifoso, comunque, sono felicissimo del percorso che stiamo facendo.”
È davvero soddisfatto in tutto?
“Beh, l’unica ombra, finora, è l’Europa League. Non stiamo brillando e migliorare la classifica sarà complicato, soprattutto con tutte le partite ravvicinate. L’obiettivo sarebbe entrare tra le prime otto, ma la vedo dura. Detto ciò, resto ottimista: per me è già molto ciò che la squadra ha fatto finora.”
Dove si nota maggiormente la mano di Gasperini?
“Ha ridato motivazione a tanti giocatori. Penso a Pellegrini, che sta vivendo una vera e propria rinascita. Anche il gioco è cambiato. Oggi le partite sono più dinamiche, divertenti, c’è una chiara volontà di dominare l’avversario – una sensazione che, con tutto il rispetto, si percepiva meno nell’era Mourinho. Gasperini è l’allenatore ideale per questo gruppo, e lo dimostra la condizione atletica: la Roma corre e pressa fino al 90°, è un miglioramento enorme. Serve però che gli attaccanti inizino a segnare con più continuità, quello resta un problema.”

GIAN PIERO GASPERINI DA INDICAZIONI AI SUOI RAGAZZI. IN EVIDENZA EL AYNAOUI E TSIMIKAS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
La Roma ha subito solo cinque gol diventando così la miglior difesa del campionato. Come se lo spiega?
“Molto merito va a Svilar, che sta facendo miracoli. Negli ultimi anni abbiamo avuto portieri straordinari – da Alisson a Szczęsny – e lui sta seguendo quella scia. C’è poi la crescita di Mancini e, più in generale, l’organizzazione difensiva plasmata da Gasp. Non c’è un singolo leader: la forza è il gruppo. Ed è bello vedere che l’allenatore coinvolga tutti, soprattutto i giovani come Pisilli.”
Si può dire allora che Gasperini sia un allenatore che sposta gli equilibri? Guardando l’Atalanta con Juric verrebbe da pensarlo…
“Al di là del valore di Gasperini, credo che Juric abbia limiti nella gestione del gruppo. È suscettibile e comunica poco coi giocatori. Gasperini, anche quando si arrabbia, lo fa per stimolare. Juric non mi è sembrato ancora abbastanza maturo per allenare una grande squadra.”
Non teme un calo di rendimento della rosa?
“La vera incognita restano gli infortuni. Dybala è un valore assoluto, ma purtroppo non garantisce continuità. A questo si aggiunge il vincolo del fair play finanziario, che ha limitato la possibilità di intervenire sul mercato con innesti mirati. Detto ciò, apprezzo molto il lavoro della società e, in particolare, l’impronta lasciata da Ranieri: si sarà capito che ho un debole per lui! Lo stimo profondamente per come l’anno scorso è riuscito a risollevare la squadra.”
C’è qualcosa che la Roma ha più degli altri top club?
“Sì, ha un vantaggio psicologico enorme. Non ha l’obbligo di vincere sempre e comunque, come accade invece a Inter o Napoli. E questo, in campo, pesa eccome.”
Eppure, negli scontri diretti la squadra fatica…
“Diciamo che molti avversari contro cui abbiamo perso erano più attrezzati. Col Milan abbiamo sbagliato l’approccio perché siamo sì partiti fortissimo, ma non siamo mai riusciti a concretizzare. Con l’Inter il divario tecnico si è visto. Non credo ci sia un problema strutturale negli scontri diretti; piuttosto dobbiamo essere più cinici quando le occasioni capitano, perché in partite del genere non sono mai tante.”
Che idea si è fatto delle altre big del campionato?
“Sono certo che la Juventus con Spalletti adesso crescerà moltissimo. L’Inter è fortissima ma talvolta vince anche con un po’ di fortuna, ed è quella che temo di più. Il Milan mi sembra più solido dello scorso anno. Il Napoli con Conte non mollerà un centimetro: è tignoso e combatterà fino alla fine anche se ora è in difficoltà.”

L’ESULTANZA URLO DI ANTONIO CONTE DOPO IL GOL DI SPINAZZOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Qual è l’obiettivo minimo della Roma?
“La Coppa Italia.”
Perché proprio la Coppa Italia?
“Perché sarebbe fantastico vincere la decima.”
E l’obiettivo più grande, invece?
“Tornare a giocare in Champions. È un qualcosa di fondamentale anche a livello economico.”
Passiamo alla Nazionale. Cosa ne pensa della disfatta contro la Norvegia?
“È stata una partita strana. Nel primo tempo abbiamo fatto meglio noi, loro sembravano quasi in vacanza. Poi, quando la Norvegia ha iniziato a far valere la sua qualità, l’Italia ha perso ritmo ed è andata in blackout. Purtroppo, in Nazionale il problema è molto più profondo di quanto sembri…”
A cosa si riferisce?
“Al fatto che da anni la Nazionale non esprime un gioco convincente. I club hanno ormai un peso enorme e i raduni non sono più quelli di una volta. Spalletti, secondo me, ha fallito proprio per questo: non ha avuto il tempo necessario per costruire un’identità di gruppo.”
Che ne pensa invece di Gattuso?
“È un allenatore onesto, diretto, che dice ai giocatori ciò che pensa. Lo apprezzo molto.”
Ora che i playoff sono una realtà, ritiene che l’Italia riuscirà a supererli?
“Se incroceremo squadre meno attrezzate di noi, credo proprio di sì. E speriamo anche in un pizzico di fortuna, che non guasta mai.”

MATEO RETEGUI RAMMARICATO ( FOTO KEYPRESS )
Le bombe di Vlad
LBDV presenta: “Il portiere di Ceaușescu” e “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio”
Domenica 16 novembre, alle ore 18.00, il Punk Roma (Via dei Durantini 18, Roma) ospiterà un evento speciale dedicato alla letteratura sportiva e alla cultura calcistica.
Protagonisti della serata saranno due firme d’eccezione: Guy Chiappaventi, giornalista di La7, autore del libro “Il portiere di Ceaușescu” (Bibliotheka Edizioni), e Ciro Romano, caporedattore di LBDV, che presenterà “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio” (Garrincha Edizioni).
A dialogare con gli autori ci sarà Daniele Garbo, giornalista sportivo già volto di Mediaset e Direttore Editoriale di LBDV, mentre la presentazione sarà affidata al giornalista di Le Bombe di Vlad, Alberto Caccia.
L’incontro rappresenta un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di calcio, giornalismo e narrazione sportiva. Due libri diversi ma accomunati da una stessa passione: quella per il pallone e per le storie che lo rendono eterno.
Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe
Una storia lunga quasi quarant’anni e undici metri, la storia di quando una squadra di sconosciuti strappò il titolo più importante del calcio europeo – la Coppa dei Campioni – a una superpotenza, il Barcellona.
Era la notte magica del 7 maggio 1986 quando, nello stadio di Siviglia, Helmut Duckadam, allora ventisettenne, riuscì nell’impresa di parare tutti e quattro i rigori dei giocatori catalani consentendo alla Steaua Bucarest di laurearsi campione d’Europa, prima volta per una squadra dell’Est. Una notte di felicità per un popolo che viveva con le luci spente, senza riscaldamento e con il frigorifero vuoto.
Quando la Steaua rientrò in Romania, all’aeroporto 15 mila persone accolsero i giocatori e almeno altrettante scesero in strada per seguire il tragitto del pullman fino a Bucarest. Fu un fatto insolito per la Romania comunista, dove le manifestazioni spontanee di piazza erano vietate, ma il regime volle capitalizzare la vittoria. Il presidente Ceaușescu invitò la squadra a palazzo e Duckadam diventò per sempre l’eroe di Siviglia.
L’autore
Giornalista, inviato del tg La7. Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise. Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.
Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio
Ciro Romano ci racconta le gesta dello storico portiere olandese Jongbloed, eroe dell’arancia meccanica di sua maestà Cruijff . Un viaggio dentro la vita di uno dei calciatori più importanti della sua era. Non una monografia, dimenticate i tabellini, quello che troverete in queste pagine è l’atmosfera, è l’uomo prima del calciatore, è la storia prima dei gol, è il lato nascosto del pallone. Preparatevi, riavvolgete il nastro, premete play e godetevi questa partita di carta e inchiostri, inseguendo in campo un calciatore indimenticabile. Una nuova figurina letteraria da collezionare, una nuova figurina per completare lo scaffale dei campioni.
L’autore
Ciro Romano vive a Salerno è avvocato, abilitato alle Magistrature Superiori. Guarda il calcio dall’età di tre anni, e ne scrive per testate giornalistiche e pagine social. Prima per passione, poi per motivi professionali, diventa esperto di tifo radicale. Tiene conferenze e partecipa a dibattiti pubblici per l’abolizione alle limitazioni di legge al tifo e agli spostamenti delle tifoserie.
Ha pubblicato “Volevo solo giocare a ping pong” (Caffèorchidea).
(Foto: DepositPhotos)
-
Notizie6 giorni faMilan, i tempi sono maturi: ARAMCO detta le sue condizioni (sempre le stesse)
-
Calciomercato5 giorni faMilan, dirigenza spaccata su Thiago Silva: sorpasso della cordata Ibrahimovic
-
Notizie4 giorni faRinnovo Maignan, ora è più sì che no: bonus alla firma e ritrovata serenità
-
Notizie4 giorni faMilan, Allegri difende Nkunku: arriva un’importante offerta dall’estero
-
Calciomercato3 giorni faMilan, problema Nkunku: offerta araba o cessione in prestito?
-
Notizie4 giorni faMilan, ancora out Gimenez: non verrà forzato il rientro | I dettagli
-
Calciomercato3 giorni faFiorentina, colpo in Premier per rilanciarsi?
-
Calciomercato2 giorni faMilan: contatto con gli agenti di Giacomo Raspadori
