Le interviste
Esclusiva CS, Sergio Pirozzi (ex Sindaco Amatrice): “L’Amatrice Calcio torni in mano alla comunità, vigilerò affinché la società torni a esserlo. Sul mio futuro…”
Sergio Pirozzi, ex sindaco di Amatrice nonché allenatore di calcio, ha concesso un’intervista esclusiva ai microfoni di Calcio Style.
Sergio Pirozzi nella sua carriera è stato tante cose. Giocatore e allenatore per quanto concerne il calcio, ma anche Sindaco di Amatrice (dal 2009) durante quel terribile terremoto che ha sconvolto le vite di tutti. Un’esperienza che lo ha segnato profondamente, a tal punto da scrivervi un libro (“La scossa dello scarpone, anatomia di una passione sociale“) e da renderlo il main topic della sua forma mentis politica.
Ha rimesso il mandato nel 2018, per candidarsi alle Regionali del Lazio. Da indipendente prenderà poco meno del 5% delle preferenze e verrà eletto Consigliere Regionale. Nel 2019 entrerà in Fratelli d’Italia, attuale partito di governo, che poi lascerà nel 2022 per entrare nella Lega. Nel 2023, in concomitanza con il suo incarico sportivo più prestigioso ovvero la panchina dell’Alessandria in Serie C, dichiara terminata la sua esperienza politica.

Le parole di Sergio Pirozzi a CS
Nonostante avesse maturato sul campo il diritto a prendere parte al campionato di Serie D, l’Amatrice Calcio non ha effettuato l’iscrizione al campionato: decisione che la farà ripartire dalla Promozione. L’ex presidente sabino, Tito Capriccioli, ha specificato come la scelta sia stata presa in seguito a problemi legati allo stadio.
L’ex patron ha negato che alla base della decisione ci siano ragioni economiche, ma le voci su un’imminente cessione del titolo societario (poi rivelatesi fondate) hanno rapidamente preso corpo. Il nostro direttore Francesco Tripodi ha intercettato proprio Sergio Pirozzi, per ascoltare il suo punto di vista sulla questione.
“La società di Amatrice si è sempre basata su una campagna soci, una sorta di azionariato popolare, non come una Srl ma come una ASD: ricalcando il modello spagnolo. Merito a chi ha creduto nel progetto nel 2016, riformando la squadra dopo il terremoto, ma l’anno scorso è stato deciso di renderla una Srl: trasformandola nella Società Sportiva Amatrice Rieti. Per questo motivo ha disputato tutto lo scorso campionato con indosso una maglia amaranto e celeste (i colori sociali del Football Club Rieti 1936, n.d.r.), che è come se la Roma giocasse con una maglia bianco e celeste o la Lazio con una maglia gialla e rossa, facendo di fatto scomparire quell’identità che rappresentava dal 1965. Il calcio di una piccola cittadina, anzi di un piccolo comune, è fatto di alti e bassi. Io ovviamente sono orgoglioso di aver allenato (dal 1995 al 1998, n.d.r.) una squadra con solo giocatori del posto, ma era un’altra epoca. Facemmo la scalata dalla Seconda Categoria alla Promozione e poi ci salvammo. Non so cosa sia successo quest’anno e nemmeno il perché, poi sinceramente mi interessa anche poco, ma di fatto l’Amatrice Calcio che conoscevo io è scomparsa. Mi auguro che questa Srl venga chiusa al più presto e che la società torni in mano alla comunità, com’è giusto che sia. Alla gente del posto interessa poco la categoria, è un discorso di identità e di sentirsi parte di qualcosa.”
Non si tratta, quindi, di una questione legata alla categoria o ai risultati. E’ una questione legata all’identità territoriale di una squadra e al modo in cui la sua gente si riflette in essa. Valori che nel calcio ad alti livelli non esistono più e che, almeno a livello semi-dilettantistico, Sergio Pirozzi vorrebbe mantenere inalterati. L’augurio è stato condiviso attraverso i suoi profili social, in particolare mediante la sua pagina Facebook nella quale l’ex-allenatore ha affidato le sue emozioni a un post sentito e accorato.
“Come ho detto sono cambiati i tempi. Ora dico una bestialità, ma tu potresti anche puntare alla scalata sino all’Eccellenza o alla Serie D senza calciatori del posto. L’importante è che la società torni in mano alla sua gente e che i dirigenti siano tutti del posto. Io sono sempre stato a disposizione della gente di Amatrice, anche quando è sembrato che non ci fossi io ci sono sempre stato, ma a un certo punto scatta un meccanismo perverso per il quale cominci a ‘mettere paura’. Non so per quale motivo, ma io non sono mai stato coinvolto in questi anni nelle scelte che sono state prese a livello sportivo e questo secondo me denota una mancanza di intelligenza. Al di là dei meriti sportivi, ma sul territorio sono l’unico ad aver conseguito un patentino UEFA Pro. A me non servono ruoli, io sarei sempre stato a disposizione qualora fossero stati chiesti i miei consigli. Però i personaggi liberi ‘mettono paura’, questo vale nello sport ma anche nella vita. Con questo non voglio dire che io sia migliore degli altri, solo che la mia esperienza professionale potesse rappresentare una risorsa per questa terra. Io spero che questa società torni a essere di proprietà della comunità e non di tre o quattro persone, che fanno il bello e il cattivo tempo.”
Negli scorsi giorni è stato ufficializzato il passaggio della società dall’oramai ex-proprietario Tito Capriccioli a Daniele Bulzoni. Un passaggio di consegne che ha fatto cambiare anche il nome della società, da SSA Rieti a SSD Amatrice. Abbiamo chiesto a Sergio Pirozzi se, con il cambio in seno alla società, si aspettasse una chiamata.
“A livello societario c’è Bulzoni, mentre dal punto di vista tecnico è giusto che si riparta da Romeo Bucci: che è un mister storico per questa società. Se mi verrà chiesto un consiglio io lo fornirò volentieri, mettendo a disposizione magari anche degli accordi con FIGC e CONI, e vigilerò affinché la società torni a essere patrimonio dell’intera comunità. Comunità che dovrà delegare coloro che avranno il compito di guidarla, con assemblee ogni anno per dimostrare quello che si fa. Questa è una società che è sempre stata così. Con una campagna soci, in cui si eleggevano dieci persone e queste dieci persone decidevano chi faceva il presidente, chi era il vice presidente e così via. Ogni anno si rendevano pubblici i bilanci e li si portavano all’evidenza della popolazione. Certo quelli erano altri tempi, dove si andava in giro a fare la questua per le 50 mila lire, mentre oggi (essendoci in ballo la ricostruzione) è più facile trovare sponsor.”
Nonostante ci siano dubbi sul fatto che il fattore campo sia stata davvero la causa principale della mancata iscrizione al campionato dell’Amatrice, i lavori per l’ammodernamento dell’impianto vanno avanti da anni senza però far registrare passi avanti significativi. Sergio Pirozzi ha condiviso con noi la sua esperienza.
“Se l’Amatrice, per problemi legati al campo, avesse giocato a Rieti ma mantenendo la classica divisa rossa e blu, a me sarebbe andato bene. Rimaneva il fatto della trasformazione della società in una Srl, senza preavviso e senza un’evidenza pubblica. Poi chiaramente questa è una comunità che ha un po’ perso quel senso di appartenenza e quindi la situazione è passata un po’ sotto banco, ma il Comune l’anno scorso ha appoggiato il progetto SSA Rieti. Perché, alla conferenza stampa di presentazione, il Sindaco era presente. Non voglio non pensare che lui non sapesse che questa società era diventata una Srl. Per quanto concerne il campo, lì è stato fatto un progetto totalmente sbagliato. Io so che l’hanno modificato e io spero che sia pronto per la prossima stagione, perché sin qui è stato fatto soltanto leva la rete e metti la rete. (ride, n.d.r.) Quel campo ce lo hanno donato nel 2018, due anni dopo il terremoto, da alcune società di Serie A (l’Atalanta, il Torino e la Fondazione Milan) in collaborazione con il Ministero dello Sport. Poi è chiaro che in determinate situazioni ti prendi quello che ti danno e stai zitto, ma evidentemente si sbagliarono. Io mi incazzai come una bestia perché era troppo stretto e per riportarlo a 60 metri sarebbe stato sufficiente riportare le panchine nella posizione in cui stavano prima del terremoto. Bastava fare uno spostamento di recensione e riportare le dimensioni dove stavano prima. Tra l’altro la precedente giunta aveva trovato un accordo con il Ministero Sport & Salute per un finanziamento, ma poi è stata indetta una gara al termine della quale si era capito che non si sarebbe fatto nulla. Adesso pare che si farà come ti dicevo io, ma i lavori vanno avanti da due anni e spero che questa sia la volta buona. Perché due anni per spostare una recensione mi sembrano eccessivi.”
Dopo la fugace esperienza con l’Alessandria, Sergio Pirozzi è attualmente senza squadra. Il richiamo della Serie C era suadente come il canto di un’avvenente sirena e non poteva certo essere rifiutato, ma il tecnico italiano è ora pronto a ripartire per una nuova avventura. A dimostrazione di quanto l’ultima panchina lo abbia scottato, si è detto anche disposto a scendere di categoria: anteponendo la bontà del progetto al lussurioso richiamo della categoria.
“A me interessa soltanto tornare a fare l’allenatore, perché è quello il mio lavoro. Con l’Alessandria è andata male, ma per responsabilità mia. Fu una decisione sbagliata, perché arrivai e dopo un mese la società fallì. Adesso sono fermo da un paio di mesi e spero di trovare una panchina al più presto. Non ho ancora ricevuto offerte, perché ormai la stagione è partita. Resterò vigile e monitorerò l’andamento di promozioni e retrocessioni. Non metto l’asticella sulla Serie C, mi va bene anche una squadra di Serie D. L’importante è che la società sia solida e che il progetto sia serio. I risultati che ho ottenuto non li ho ottenuti perché ero bravo io, ma perché avevo alle spalle una realtà stabile. In queste situazioni è certamente più facile lavorare. Certo è che non farò più salti nel buio, come invece ho fatto l’anno scorso.”

Le interviste
ESCLUSIVA CS – Carlo Nervo: “Il Bologna può arrivare in Europa quest’anno ha una rosa molto competitiva. Nazionale? Ci sono troppi…”
L’ex centrocampista del Bologna Carlo Nervo (1994-2005, 2006-2007) ha parlato ai nostri microfoni della’attuale situazione dei rossoblù, sulla lotta Scudetto in Serie A e molto altro.
In un’intervista di 5 minuti, Carlo Nervo ha detto la sua su come può andare il Bologna questa stagione, parlando anche di giocatori come Bernardeschi e Orsolini, e anche dell’allenatore dei rossoblù Vincenzo Italiano.
Inoltre ha analizzato anche la situazione della Nazionale Italiana e del motivo per cui, secondo lui, gli Azzurri stanno vivendo un momento così complicato.
Di seguito, l’intervista di Carlo Nervo.
Le parole di Carlo Nervo
Dove può arrivare questo Bologna in campionato e in coppa?
“Vista espressione di gioco e i risultati, può arrivare in alto. Secondo me l’Europa dovrebbe essere la giusta posizione, però sognare non costa niente. Le altre squadre sono forti, però il Bologna li ha messi sotto”.
Secondo lei il Bologna ha bisogno di rinforzarsi nel mercato di gennaio, visti alcuni infortuni sulle fasce?
” A mio avviso, a parte gli infortuni, la rosa é completa. Immobile, al momento, é fuori ma é un giocatore forte che segna molti gol: inoltre la crescita di Bernardeschi é stata importante. Secondo me la rosa é molto competitiva, io non toccherei niente”.
Chi vince il campionato?
“Bella domanda, magari il Bologna. No, io vedo il Milan che può insidiarsi”.
Quindi Allegri con il suo Corto Muso?
“Secondo me hanno una bella rosa e un allenatore che sa vincere”.
Italiano é un pò sottovalutato come allenatore?
“No, non é sottovalutato, nel senso che lui é già in una grande squadra, perché il Bologna é una grande squadra”.

VINCENZO ITALIANO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Un aggettivo per l’allenatore e per quello che sta facendo?
“Consapevole: lui é consapevole di essere in una grande piazza”.
Orsolini? E’ un Nervo 2.0
“No, secondo me è più forte. Vede molto la porta, ma soprattutto é un ragazzo per bene che é legato alla città e alla maglia. Quindi deve continuare come sta facendo”.
Adesso nella Nazionale Italiana c’é meno abbondanza di grandi giocatori. Come si può risolvere questa cosa?
“Ai miei tempi per andare in Nazionale dovevi essere forte. Adesso fai dieci partite bene in Serie A e ti chiamano in Nazionale. Non ci sono i campioni come Del Piero e Totti: bisognerà analizzare perché non vengono fuori questi talenti qui in Italia, e valutare tutti i settori giovanili.
Poi, troppi stranieri: quando c’ero io arrivavano i top player stranieri, ora ci sono giocatori che trovi anche in Serie B, in Serie C. Hanno un cognome difficile, quindi impattano sul pubblico. E poi un’altra cosa, meno potere e procuratori”.
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Giulio Scarpati: “La Roma non ha l’obbligo di vincere, per questo oggi vola. Gasperini ha cambiato tutto: ora la squadra corre fino al 90°”
Lo storico volto di Un Medico in Famiglia e romanista dichiarato, Giulio Scarpati ha raccontato ai nostri microfoni una vita intrecciata al giallorosso: dagli anni dell’alzabandiera sempre ammainato alle domeniche allo stadio con il fratello, fino allo sguardo lucido sulla Roma di oggi.
In una lunga intervista, Scarpati ha condiviso le sue opinioni sul lavoro di Gasperini, il momento della squadra, gli obiettivi stagionali e la crisi della Nazionale. Un dialogo sincero, appassionato, a tratti critico, che ci rivelato l’anima di un tifoso autentico, oltre che di un grande attore.
Di seguito, l’intervista di Giulio Scarpati.
Le parole di Giulio Scarpati
Ci vuole parlare del suo legame con la Roma?
“Essere tifoso della Roma significa, prima di tutto, accettare una certa dose di sofferenza. Negli anni ’60 la squadra non era certo tra le grandi. La Juventus ci passava spesso i suoi “bidoni”, giocatori ormai a fine carriera. Per fortuna, con il tempo, la società è cresciuta e si è strutturata molto meglio. La mia passione è nata grazie a mio fratello maggiore, romanista sfegatato. A casa avevamo l’alzabandiera da issare quando la Roma vinceva, ma non lo usavamo quasi mai… le vittorie erano rare, così la bandiera rimaneva per lo più ammainata. Ricordo anche che quando la Roma vinceva, ritagliavamo i titoli di giornale e li attaccavamo in camera. Da bambino andavo anche tanto spesso allo stadio con la tessera dello Junior Club, sempre assieme a mio fratello.
Da attore, poi, mi è capitato di giocare più volte con la Nazionale degli Attori, allenata da Giacomo Losi: una persona straordinaria. Mi dava ottimi consigli su come migliorare in difesa, il ruolo in cui giocavo. Io e mio fratello abbiamo sempre seguito la Roma, nel bene e nel male. Forse avremmo potuto vincere qualcosa di più, ma proprio perché si vince poco, quando succede la gioia è enorme. I festeggiamenti per uno Scudetto a Roma…a Torino se li sognano!”
Mettiamo da parte il passato e guardiamo al presente: avrebbe mai immaginato a inizio stagione questa Roma capolista?
“Assolutamente no, devo essere sincero. Però riponevo molta fiducia in Gasperini, che sa fare benissimo il suo lavoro. Si è integrato in modo sorprendente e credo che anche il lavoro miracoloso fatto da Ranieri l’anno scorso lo abbia agevolato. Peccato per quella Champions sfiorata di un punto. Chissà, magari con altre due partite ci saremmo qualificati noi al posto della Juventus… Da tifoso, comunque, sono felicissimo del percorso che stiamo facendo.”
È davvero soddisfatto in tutto?
“Beh, l’unica ombra, finora, è l’Europa League. Non stiamo brillando e migliorare la classifica sarà complicato, soprattutto con tutte le partite ravvicinate. L’obiettivo sarebbe entrare tra le prime otto, ma la vedo dura. Detto ciò, resto ottimista: per me è già molto ciò che la squadra ha fatto finora.”
Dove si nota maggiormente la mano di Gasperini?
“Ha ridato motivazione a tanti giocatori. Penso a Pellegrini, che sta vivendo una vera e propria rinascita. Anche il gioco è cambiato. Oggi le partite sono più dinamiche, divertenti, c’è una chiara volontà di dominare l’avversario – una sensazione che, con tutto il rispetto, si percepiva meno nell’era Mourinho. Gasperini è l’allenatore ideale per questo gruppo, e lo dimostra la condizione atletica: la Roma corre e pressa fino al 90°, è un miglioramento enorme. Serve però che gli attaccanti inizino a segnare con più continuità, quello resta un problema.”

GIAN PIERO GASPERINI DA INDICAZIONI AI SUOI RAGAZZI. IN EVIDENZA EL AYNAOUI E TSIMIKAS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
La Roma ha subito solo cinque gol diventando così la miglior difesa del campionato. Come se lo spiega?
“Molto merito va a Svilar, che sta facendo miracoli. Negli ultimi anni abbiamo avuto portieri straordinari – da Alisson a Szczęsny – e lui sta seguendo quella scia. C’è poi la crescita di Mancini e, più in generale, l’organizzazione difensiva plasmata da Gasp. Non c’è un singolo leader: la forza è il gruppo. Ed è bello vedere che l’allenatore coinvolga tutti, soprattutto i giovani come Pisilli.”
Si può dire allora che Gasperini sia un allenatore che sposta gli equilibri? Guardando l’Atalanta con Juric verrebbe da pensarlo…
“Al di là del valore di Gasperini, credo che Juric abbia limiti nella gestione del gruppo. È suscettibile e comunica poco coi giocatori. Gasperini, anche quando si arrabbia, lo fa per stimolare. Juric non mi è sembrato ancora abbastanza maturo per allenare una grande squadra.”
Non teme un calo di rendimento della rosa?
“La vera incognita restano gli infortuni. Dybala è un valore assoluto, ma purtroppo non garantisce continuità. A questo si aggiunge il vincolo del fair play finanziario, che ha limitato la possibilità di intervenire sul mercato con innesti mirati. Detto ciò, apprezzo molto il lavoro della società e, in particolare, l’impronta lasciata da Ranieri: si sarà capito che ho un debole per lui! Lo stimo profondamente per come l’anno scorso è riuscito a risollevare la squadra.”
C’è qualcosa che la Roma ha più degli altri top club?
“Sì, ha un vantaggio psicologico enorme. Non ha l’obbligo di vincere sempre e comunque, come accade invece a Inter o Napoli. E questo, in campo, pesa eccome.”
Eppure, negli scontri diretti la squadra fatica…
“Diciamo che molti avversari contro cui abbiamo perso erano più attrezzati. Col Milan abbiamo sbagliato l’approccio perché siamo sì partiti fortissimo, ma non siamo mai riusciti a concretizzare. Con l’Inter il divario tecnico si è visto. Non credo ci sia un problema strutturale negli scontri diretti; piuttosto dobbiamo essere più cinici quando le occasioni capitano, perché in partite del genere non sono mai tante.”
Che idea si è fatto delle altre big del campionato?
“Sono certo che la Juventus con Spalletti adesso crescerà moltissimo. L’Inter è fortissima ma talvolta vince anche con un po’ di fortuna, ed è quella che temo di più. Il Milan mi sembra più solido dello scorso anno. Il Napoli con Conte non mollerà un centimetro: è tignoso e combatterà fino alla fine anche se ora è in difficoltà.”

L’ESULTANZA URLO DI ANTONIO CONTE DOPO IL GOL DI SPINAZZOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Qual è l’obiettivo minimo della Roma?
“La Coppa Italia.”
Perché proprio la Coppa Italia?
“Perché sarebbe fantastico vincere la decima.”
E l’obiettivo più grande, invece?
“Tornare a giocare in Champions. È un qualcosa di fondamentale anche a livello economico.”
Passiamo alla Nazionale. Cosa ne pensa della disfatta contro la Norvegia?
“È stata una partita strana. Nel primo tempo abbiamo fatto meglio noi, loro sembravano quasi in vacanza. Poi, quando la Norvegia ha iniziato a far valere la sua qualità, l’Italia ha perso ritmo ed è andata in blackout. Purtroppo, in Nazionale il problema è molto più profondo di quanto sembri…”
A cosa si riferisce?
“Al fatto che da anni la Nazionale non esprime un gioco convincente. I club hanno ormai un peso enorme e i raduni non sono più quelli di una volta. Spalletti, secondo me, ha fallito proprio per questo: non ha avuto il tempo necessario per costruire un’identità di gruppo.”
Che ne pensa invece di Gattuso?
“È un allenatore onesto, diretto, che dice ai giocatori ciò che pensa. Lo apprezzo molto.”
Ora che i playoff sono una realtà, ritiene che l’Italia riuscirà a supererli?
“Se incroceremo squadre meno attrezzate di noi, credo proprio di sì. E speriamo anche in un pizzico di fortuna, che non guasta mai.”

MATEO RETEGUI RAMMARICATO ( FOTO KEYPRESS )
Le bombe di Vlad
LBDV presenta: “Il portiere di Ceaușescu” e “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio”
Domenica 16 novembre, alle ore 18.00, il Punk Roma (Via dei Durantini 18, Roma) ospiterà un evento speciale dedicato alla letteratura sportiva e alla cultura calcistica.
Protagonisti della serata saranno due firme d’eccezione: Guy Chiappaventi, giornalista di La7, autore del libro “Il portiere di Ceaușescu” (Bibliotheka Edizioni), e Ciro Romano, caporedattore di LBDV, che presenterà “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio” (Garrincha Edizioni).
A dialogare con gli autori ci sarà Daniele Garbo, giornalista sportivo già volto di Mediaset e Direttore Editoriale di LBDV, mentre la presentazione sarà affidata al giornalista di Le Bombe di Vlad, Alberto Caccia.
L’incontro rappresenta un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di calcio, giornalismo e narrazione sportiva. Due libri diversi ma accomunati da una stessa passione: quella per il pallone e per le storie che lo rendono eterno.
Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe
Una storia lunga quasi quarant’anni e undici metri, la storia di quando una squadra di sconosciuti strappò il titolo più importante del calcio europeo – la Coppa dei Campioni – a una superpotenza, il Barcellona.
Era la notte magica del 7 maggio 1986 quando, nello stadio di Siviglia, Helmut Duckadam, allora ventisettenne, riuscì nell’impresa di parare tutti e quattro i rigori dei giocatori catalani consentendo alla Steaua Bucarest di laurearsi campione d’Europa, prima volta per una squadra dell’Est. Una notte di felicità per un popolo che viveva con le luci spente, senza riscaldamento e con il frigorifero vuoto.
Quando la Steaua rientrò in Romania, all’aeroporto 15 mila persone accolsero i giocatori e almeno altrettante scesero in strada per seguire il tragitto del pullman fino a Bucarest. Fu un fatto insolito per la Romania comunista, dove le manifestazioni spontanee di piazza erano vietate, ma il regime volle capitalizzare la vittoria. Il presidente Ceaușescu invitò la squadra a palazzo e Duckadam diventò per sempre l’eroe di Siviglia.
L’autore
Giornalista, inviato del tg La7. Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise. Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.
Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio
Ciro Romano ci racconta le gesta dello storico portiere olandese Jongbloed, eroe dell’arancia meccanica di sua maestà Cruijff . Un viaggio dentro la vita di uno dei calciatori più importanti della sua era. Non una monografia, dimenticate i tabellini, quello che troverete in queste pagine è l’atmosfera, è l’uomo prima del calciatore, è la storia prima dei gol, è il lato nascosto del pallone. Preparatevi, riavvolgete il nastro, premete play e godetevi questa partita di carta e inchiostri, inseguendo in campo un calciatore indimenticabile. Una nuova figurina letteraria da collezionare, una nuova figurina per completare lo scaffale dei campioni.
L’autore
Ciro Romano vive a Salerno è avvocato, abilitato alle Magistrature Superiori. Guarda il calcio dall’età di tre anni, e ne scrive per testate giornalistiche e pagine social. Prima per passione, poi per motivi professionali, diventa esperto di tifo radicale. Tiene conferenze e partecipa a dibattiti pubblici per l’abolizione alle limitazioni di legge al tifo e agli spostamenti delle tifoserie.
Ha pubblicato “Volevo solo giocare a ping pong” (Caffèorchidea).
(Foto: DepositPhotos)
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