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Troppo giovani per ritirarsi: Sebastian Deisler

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L’ex centrocampista del Bayern Monaco dei primi anni 2000, è solo uno dei tanti -forse- troppi giovani che hanno lasciato il calcio troppo presto.

Giovane dal talento spropositato, che piano piano è andato sgretolandosi per via di problemi prima fisici -e poi psicologi- di un giocatore che avrebbe potuto essere protagonista assoluto del Mondiale casalingo del 2006.

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Giovani rimpianti

Il 4 luglio 2006 per i nostri colori è una data che si ricorda con moltissimo piacere. Per i colori tedeschi invece segna una delle giornate storicamente più tristi e scure del loro calcio. Si sta parlando, ovviamente, dell’eliminazione in semifinale dal Mondiale casalingo per mano della nostra Nazionale. Davanti a ottantamila, o forse più, del Westfalenstadion di Dortmund, Del Piero e Grosso condannavano Jurgen Klinssman e co. Un pomeriggio di rimpianti per tutta la Germania.

Ma c’è chi ha sofferto più di tutti. Uno che quel Mondiale lo avrebbe potuto giocarlo, non solo come uno dei tanti ma sicuramente come un protagonista assoluto. Eppure, Sebastian Deisler -di lui si sta parlando- quella sera non c’era. Tutta la Germania, da tempo, aspettava un talento cristallino come il suo. Il 26enne di Lorrach si trovava, invece che sul campo, era in una fase di riabilitazione dopo l’ennesimo, drammatico infortunio e l’ennesima operazione che hanno frenato la sua ascesa. Fino a stroncarla definitivamente un giorno di gennaio, nel pieno di una stagione, con l’ufficialità del suo addio al calcio. Fermato sul più bello. Ancora una volta. Ma andiamo per gradi.

I giovani inizi

Se sotto alla definizione della parola rimpianto, sul dizionario, ci fosse una fotografia, sarebbe di sicuro quella del tedesco. Per quello che poteva essere ma non è stato. Sin dal principio. Sebastian nasce sul confine tra Germania, Francia e Svizzera. All’età di quindici anni viene notato dal Borussia Mönchengladbach, che lo fa entrare nel proprio settore giovanile.

Il perchè è presto detto: in una stagione aveva segnato 215 goal con la D-Jugend, a soli 9 anni. Come se non fosse bastato, il suo cognome era già noto. Infatti, sia il nonno che il papà erano stati nel calcio anche loro. Il nonno aveva condiviso il campo con Ottmar Hitzfeld. Crescendo, Basti aveva sviluppato dribbling, tecnica e visione. Gli piaceva giocare sulla trequarti, partendo spesso dalla destra. Aveva colpito tutti al Borussia. E in generale anche in Germania. Le sue generalità, ormai, erno già note alla Federazione già dall’Under 15.

Sul finire degli anni ’90 qualunque calciofilo tedesco conosceva Sebastian Deisler e ne pronosticava un futuro tra i grandissimi. Sembrava il suo destino. Franz Beckenbauer, non il primo venuto, lo aveva definito il migliore in Germania. E se parla il ‘Kaiser’ le aspettative si alzano. Alle volte troppo.

L’esordio col Gladbach, e l’Herta…

Nella stagione 1998/99 Deisler fa il proprio esordio tra i professionisti con il Gladbach, in una stagione terminata però con la retrocessione.

Subito dopo viene acquistato dall’ Hertha Berlino. In quegli anni la squadra della Capitale tedesca viaggiava in Champions League e quindi nell’élite della Bundesliga. Al contrario del Borussia, in un momento buio della propria storia.

Sulle sue tracce si era palesato anche il Bayern Monaco. Ma il ragazzo voleva giocare. Matrimonio non sfumato, ma soltanto rimandato. L’Olympiastadion sembrava l’anticamera perfetta dell’esordio nella Mannschaft, il passaggio obbligato per dimostrare maturità e meritare la Nazionale. E così è stato.

Nel febbraio del 2000,  all’Amsterdam Arena, prima presenza. Sei mesi dopo, complice il destino, sarebbe dovuto tornare in Olanda con la Germania, ma per giocare l’Europeo. Tre le presenze che hanno subito fatto intendere le grandissime qualità del ragazzo. La spedizione in generale non andò benissimo, con l’eliminazione ai gironi. Ma per Deisler era solo l’inizio.

Il Bayern Monaco e l’inizio dei problemi

L’estate del 2002 sembrava quella destinata a cambiare vita e carriera. E lo avrebbe fatto, ma purtroppo non in meglio. Doveva essere il primo violino della Germania al Mondiale. Invece si infortuna in un’amichevole poche settimane prima e non viene convocato.

Doveva essere il protagonista del nuovo Bayern Monaco di Ottmar Hitzfeld, l’ex compagno del nonno, che lo aveva finalmente acquistato dopo aver perso il Meisterschale l’anno prima per mano del Borussia Dortmund. I titoli arriveranno, ma non solo loro. Deisler ha iniziato a convivere con gli infortuni. E con una malattia ancora più grave: la depressione. Da lì in avanti, la carriera del tedesco sarebbe stata un loop. Cinque operazioni al ginocchio e due ricoveri in clinica per combattere con i suoi fantasmi. Non sempre vincendo.

La struggente telefonata dell’ottobre 2003 a Uli Hoeneß, al tempo manager del Bayern, era una disperata richiesta di aiuto. Viene subito ricoverato a Monaco. La diagnosi: sindrome da burnoutcausata da un ambiente di lavoro stressante. Un problema comune tra gli sportivi, come spiegava il professor Florian Holsboer, direttore della clinica in cui era stato ricoverato Deisler.

“È in una fase depressiva: è in buone condizioni fisiche, la sua è una predisposizione alla depressione comune nel 10-15% della popolazione. La forma acuta capita almeno una volta nella vita. Dovrà stare fermo sei settimane, forse anche di più. La carriera non è comunque in pericolo”.

Una malattia dunque, sotto ogni aspetto. Che deve emergere. Uscire fuori. Come sostiene da dieci anni la fondazione che porta il nome di Robert Enke, il portiere dell’Hannover e della nazionale tedesca che si è suicidato nel 2009 proprio a causa della depressione.

Enke era stato compagno di Deisler nelle giovanili del Gladbach. Avevano iniziato insieme. Hanno affrontato lo stesso problema. Basti ha fatto dentro e fuori dalla clinica per due volte, l’ultima sul finire del 2004.

Un 2015 di rinascita?

Il 2005 sembrava finalmente l’anno della ripresa. ‘Basti Fantasti’, come veniva chiamato da giovane – nomignolo mai apprezzato dal diretto interessato – sembrava essere tornato. Dopo il secondo ricovero, il fisico sembra reggere. E anche la testa sembrava reagire, aiutata anche dalla paternità. La gravidanza della moglie era stata complicata e una delle cause che aveva portato alla depressione. La nascita del figlio era come una liberazione. Sul campo, finalmente, c’erano sensazioni positive.

Goal decisivo col Friburgo. Doppietta al Norimberga, alla penultima giornata. Finalmente Meisterschale. E in Nazionale: fiducia incondizionata.

Tutto questo però si rivelerà un lampo nel buio di una carriera che da li a poco si sarebbe avviata verso il tramonto. Tutto è iniziato con un’espulsione contro lo Stoccarda per un calcio a Magnin. Proseguita con l’ennesimo problema al ginocchio dopo uno scontro in allenamento con Hargreaves e l’ennesima operazione. Per questo, è stato costretto a saltare il Mondiale del 2006, in Germania. E così facendo, ha vissuto quel 4 luglio in maniera decisamente marginale. Decisamente il contrario di quello che tutti avrebbero voluto per un giocatore del genere.

2007: la fine

A gennaio 2007, poi, la decisione definitiva di dire basta. Stop con il calcio, con le pressioni, con il peso delle aspettative che gli venivano addossate da tutti. Con una conferenza stampa, annuncia che le cinque operazioni e i due ricoveri hanno pesato più di ogni soddisfazione tecnica ottenuta dal calcio. Che comunque sia non sono state poche. Il palmares del tedesco annovera: tre campionati tedeschi, tre coppe di Germania e due Coppe di Lega. Giocare, però, era diventata una tortura.

“Non ho più fiducia nel mio ginocchio, è stato un calvario. Non gioco più con allegria e non posso fare le cose a metà, è una cosa che non fa bene a nessuno. Giocare è una tortura”.

Hoeneß a caldo aveva parlato di decisione inspiegabile. Il Bayern lo ha voluto aspettare. Aveva anche congelato il suo contratto, con scadenza 2009, sperando in un cambiamento d’idea da parte del ragazzo. L’unica cosa che voleva Basti, però, era la serenità.

E’ dal 2013 che non rilascia più interviste. Adesso vive a Friburgo con la sua famiglia. E, sicuramente, del calcio non ne vuole più sapere. Per il resto, la vita di Deisler è finalmente tranquilla, senza i fantasmi di un tempo.

Sta di fatto che, un giocatore che, a detta dei media tedeschi, era a livello -se non superiore- di giovani come Ballack la dice lunga su come la vita abbia “abusato” della sua cattiveria nei confronti di un talento eccezionale.

Ma la cosa più importante non è il calcio, ma la salute.

Un saluto Sebastian.

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Milan, gerarchie ribaltate: Bartesaghi supera Estupiñán

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Il Milan prepara l’ultimo impegno del 2025 e Allegri punta sulle certezze: Bartesaghi ha superato Estupiñán e ora guida la corsia sinistra.

Dopo la delusione in Supercoppa Italiana, il Milan si prepara a chiudere il 2025 davanti al proprio pubblico. A San Siro arriverà un Hellas Verona in grande forma e con il morale alle stelle dopo due vittorie consecutive. 

Proprio per questo Massimiliano Allegri e i rossoneri sono chiamati a una risposta forte: servono i tre punti, soprattutto dopo i tanti passi falsi contro le piccole che stanno pesando sul cammino in campionato. La sensazione è che il tecnico punterà senza troppi esperimenti sull’undici titolare, affidandosi a chi in questo momento offre più garanzie.

Tra queste certezze c’è ormai, a tutti gli effetti, Davide Bartesaghi. Il giovane terzino è stato protagonista assoluto nel 2-2 contro il Sassuolo, con una doppietta che ha sorpreso tutti. Ma ridurre la sua crescita ai gol sarebbe un errore: Bartesaghi sta vivendo una stagione in costante ascesa, fatta di prestazioni solide, personalità e continuità, elementi che gli hanno permesso di guadagnarsi la fiducia piena di Allegri.

Milan

PERVIS ESTUPINAN ( FOTO SALVATORE FORNELLI )

Milan, Bartesaghi titolare: Estupiñán ora insegue

La sua ascesa è stata favorita anche dai problemi fisici e da un rendimento non esaltante di Pervis Estupiñán. L’esterno ecuadoriano, arrivato in estate dal Brighton per 17 milioni più 2 di bonus, sembrava destinato a raccogliere l’eredità di Theo Hernández sulla fascia sinistra. Finora, però, le sue prestazioni sono state ben lontane dai livelli mostrati in Premier League, e Bartesaghi ha saputo approfittarne con qualità e personalità.

Le gerarchie, al momento, appaiono ribaltate. Bartesaghi è davanti e parte con i favori del pronostico anche contro il Verona, ma la sfida resta aperta. Per mantenere il posto, il giovane rossonero dovrà continuare a tenere alta la concentrazione e confermare quanto di buono mostrato finora. 

Estupiñán, dal canto suo, resta un investimento importante del club e avrà occasioni per rilanciarsi. La concorrenza è aperta, ma oggi il Milan sa di poter contare su una nuova certezza: Bartesaghi non è più una sorpresa, ma una realtà.

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Alla scoperta di Alex Toth, il mediano sui radar della Juve

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Juventus

Uno dei talenti da seguire nel mercato 2026 è il centrocampista ungherese Alex Toth, classe 2005 del Ferencvaros, nel mirino della Juventus.

Uno dei nomi che potrebbe accendere le prossime finestre di mercato del 2026 è quello di Alex Toth, centrocampista ungherese classe 2005 del Ferencvaros, finito anche nel mirino della Juventus. I bianconeri guardano al futuro e, tra i profili monitorati per rinforzare la mediana, hanno individuato nel giovane talento magiaro uno dei prospetti più interessanti del panorama europeo, già protagonista in patria e pronto al salto in un campionato di alto livello.

Cresciuto nel vivaio del club ungherese e diventato titolare fisso in meno di un anno, Toth si è imposto come uno dei giovani più promettenti del calcio europeo, attirando l’attenzione di numerosi top club del continente.

Un centrocampista totale

Nato a Budapest il 23 ottobre 2005, alto 1,81 e destro naturale, è un giocatore estremamente duttile: nasce come centrocampista centrale ma può interpretare più ruoli in mediana. Ha i tempi e la visione del regista, gli inserimenti della mezz’ala e, all’occorrenza, può agire anche da trequartista. A soli vent’anni gioca con la tranquillità di un veterano: verticalizza con naturalezza, conduce palla con sicurezza ed è efficace nei duelli sia difensivi sia offensivi. Tecnico, dinamico e pulito nelle scelte, abbina intensità, personalità e intelligenza tattica, diventando un vero faro della mediana. In patria molti lo indicano come il talento più promettente della nuova generazione ungherese e c’è già chi lo paragona a Dominik Szoboszlai, anche se il suo percorso è ancora tutto da scrivere.

Mondiale

I numeri di Toth

La stagione 2025-2026 sta confermando il suo valore: finora Toth ha collezionato 25 presenze, 2 gol e 5 assist, per un totale di 1803 minuti tra campionato ungherese, preliminari di Champions League e fase iniziale di Europa League. A questi dati si aggiungono le 9 presenze con la Nazionale Maggiore guidata da Marco Rossi, ulteriore testimonianza di una crescita ormai sotto gli occhi di tutti.

Il suo contratto con il Ferencvaros è valido fino a giugno 2027 e la valutazione attuale oscilla tra i 10 e i 15 milioni di euro, cifra destinata a salire se continuerà su questi livelli. La Juventus lo segue con attenzione grazie al lavoro della propria rete scout, ma sul giocatore si registrano anche gli interessi di club di primissimo piano come Liverpool, Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Bayer Leverkusen e Red Bull Lipsia.

Le parole del presidente del Ferencvaros

Il prossimo mercato invernale potrebbe già portare novità: attorno a Toth sta nascendo una vera e propria corsa internazionale, con diversi club pronti a inserirsi. La sensazione è che il giovane centrocampista sia destinato, prima o poi, a lasciare l’Ungheria per confrontarsi con un campionato di livello superiore.

A confermare la centralità del suo profilo è stato anche il presidente del Ferencvaros, Gabor Kubatov, che ai microfoni di M4 Sport, il canale sportivo della televisione pubblica ungherese, ha dichiarato:
“Sono convinto che la cessione di Alex Toth sarà una delle più importanti della storia del calcio ungherese. Questo trasferimento darà impulso non solo al Ferencvaros, ma all’intero movimento calcistico nazionale. Se arriverà l’offerta giusta, bisognerà essere pronti a lasciarlo partire.”

La Juventus osserva, valuta e riflette. E se dovesse decidere di affondare il colpo, potrebbe assicurarsi uno dei talenti più intriganti del calcio europeo emergente.

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Sul filo del rasoio: il Frosinone e l’anno che ha ribaltato tutto

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Frosinone

Serie B, il caso Frosinone e la lezione del campionato: progettualità, identità e scelte che fanno la differenza.

La Serie B è un mondo a parte, ma questo lo sapevamo già. Un campionato dagli equilibri labili, mai definitivi, e dal finale quasi mai scontato. La stagione 2025 lo conferma ancora una volta spiattellandoci anc e la prova più evidente è rappresentata dal Frosinone.

La squadra ciociara è protagonista di una rinascita sorprendente, un vero e proprio ritorno di fiamma. Un percorso che dimostra come, nella vita come nel calcio – e forse ancor di più nella categoria cadetta – il fattore economico non sia sempre determinante. Non serve necessariamente investire cifre importanti per costruire un gruppo solido o trovare la giusta alchimia tra i giocatori.

Il confronto con il Palermo è emblematico. I rosanero hanno speso, anche in maniera significativa, senza però riuscire a dare continuità né a trovare una vera identità di squadra. Il Frosinone, al contrario, sta lavorando in silenzio, senza clamore, costruendo qualcosa di nuovo attraverso idee chiare, organizzazione e senso di appartenenza.

È la dimostrazione che in Serie B contano più di tutto la progettualità, la gestione quotidiana e la capacità di creare un gruppo che sappia riconoscersi in un’idea di calcio. Un campionato che non perdona l’improvvisazione e che premia chi riesce a dare stabilità anche nei momenti più complicati.

In questo contesto, il percorso del Frosinone rappresenta una lezione per molti: meno riflettori, meno proclami e più lavoro. Perché in Serie B, spesso, è proprio così che si costruiscono le storie migliori.

Il caso Calò

Tra i rimpianti recenti della Sampdoria c’è anche un certo Giacomo Calò. Cresciuto nel vivaio blucerchiato, oggi il centrocampista sta disputando un gran campionato di Serie B con il Frosinone. La scorsa estate il suo ritorno a Genova era stato più di una semplice idea: il giocatore aveva aperto alla cessione e le condizioni per chiudere sembravano favorevoli. Alla fine, però, la Samp ha scelto un’altra strada, puntando su Jordan Ferri.

Calò, lasciato andare in passato a parametro zero, ha continuato il suo percorso senza clamore, confermandosi uno dei centrocampisti più continui del campionato. Un rimpianto che oggi pesa.

Perché, soprattutto in Serie B, le scelte sbagliate prima o poi tornano sempre a chiedere il conto.

Frosinone, essere ciociari è un vanto

L’ESULTANZA DEL FROSINONE ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Il Frosinone di un anno fa oggi faticherebbe a riconoscersi allo specchio. Fanalino di coda della Serie B 2024-25, salvo soltanto grazie al fallimento del Brescia che evitò ai ciociari la disputa dei playout. Una stagione segnata da difficoltà evidenti, dentro e fuori dal campo.

In rosa c’erano già elementi come Chedjemis e Kvernadze, ma mancava qualcosa di più profondo. Forse lo spirito giusto, forse una mente ancora appesantita dalla retrocessione dalla Serie A dell’anno precedente. Di certo una squadra che faticava a creare gioco, schiacciata da una serie di sconfitte e da un contesto che sembrava andare sempre nella direzione sbagliata.

Dodici mesi dopo, lo scenario è completamente cambiato. Il Frosinone si ritrova a guardare verso l’alto, in mezzo a squadre costruite con nomi altisonanti e investimenti importanti. Eppure i canarini sognano, non per caso, ma grazie a un progetto preciso.

Un progetto che passa dalla continuità tecnica, dalla crescita dei singoli e da una società che ha investito sulle strutture: uno stadio di proprietà, con bar, ristorante e store interni, in pieno stile inglese. Ma soprattutto passa dalla propria gente. Sempre presente, in casa e in trasferta, compatta anche nei momenti più bui. Perché, come recita un coro storico della Curva Nord, “Sono ciociaro e me ne vanto”.

Il Frosinone dovrebbe essere un modello da osservare con attenzione in un’Italia calcistica spesso in ritardo sul piano della progettualità rispetto a realtà come Inghilterra o Spagna. Qui il calcio è appartenenza prima ancora che ambizione. Tradizione, identità e presenza non vengono mai meno.

Perché, nello sport come nella vita, restare uniti è spesso il segreto. Senza farsi condizionare troppo dal rumore esterno. A Frosinone questo lo sanno bene.

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