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De Rossi, imperativo Champions. Se una squadra del genere l’avessero fatta a Mourinho…

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In meno di sei mesi, Daniele De Rossi ha fatto spendere ai Friedkin più di quanto avesse fatto José Mourinho negli ultimi due anni.

Nonostante l’euforia iniziale, Daniele De Rossi non è riuscito a riportare la Roma a giocare la Champions League. L’esonero di colui che era stato accolto come il salvatore della patria è stato celebrato come una sorta di liberazione, ma nonostante ciò i giallorossi hanno inanellato una stagione in linea con il precedente passato.

Friedkin generosi con De Rossi, parsimoniosi con Mou

La qualificazione alla massima competizione europea per club sembrava la conditio sine qua non per rivedere una Roma in grado di spendere, non più soffocata dalla morsa dei debiti e del FFP. Eppure, i Friedkin il cordone ombelicale con il passato lo hanno reciso in maniera netta. Sebbene un cambio di modus agendi fosse prevedibile già con la scelta di passare da Mourinho a De Rossi, nessuno avrebbe potuto aspettarsi un mercato del genere.

La Roma, negli ultimi due anni, aveva speso sul mercato appena 30 milioni. 10 di questi sono arrivati lo scorso Gennaio, a esonero del portoghese già ufficializzato, per l’arrivo di Baldanzi dall’Empoli. Questa estate la voce “uscite” a Trigoria sfiora la triplice cifra e non é una questione meramente economica. Infatti, il livello dei giocatori arrivati alla corte di De Rossi è altissima: Le Fee, Soulé, Dovbyk, Dahl e il riscatto di Angelino.

Sembra passata una vita da quando la Roma si barcamenava fra prestiti e parametri zero, pregando che qualche buontempone (finito da tempo sotto l’ombre d’un cipresso) si risvegliasse improvvisamente come Lazzaro. La Roma sembra aver (ri)trovato una progettualità che, se l’avesse avuta anche con chi di dovere, forse a quest’ora staremmo raccontando un epilogo diverso. Ancor migliore di quanto non sia già stato.

De Rossi

Roma, la Champions è (quasi) un obbligo

Verrebbe da dire che il cambio di paradigma sia sopraggiunto con la persona sbagliata al momento giusto, ma sono punti di vista. Certo è che Mourinho mai aveva avuto a disposizione cinque slot per la qualificazione in Champions, mentre De Rossi si: eppure è riuscito a fallirla comunque. Però quella Roma non aveva una rosa che giustificasse un simile imperativo, come veniva (giustamente) ricordato a mo di attenuante per il portoghese e con altrettanta onestà intellettuale bisogna ribadirlo ora. Questa, invece, sì.

La Roma partiva da una buona base e ha iniziato a smussarne i bordi. Ha trovato un portiere valido; è riuscita nell’impresa di non abbassare il quantitativo di gol in avanti nonostante abbia perso uno come Lukaku; ma soprattutto ha messo un tampone all’atavico problema delle ultime due stagioni. Ovvero la cronica fragilità fisica di Dybala, che quest’anno avrà in Soulé un validissimo backup che gli consentirà di gestirsi con meno patemi.

La qualità a centrocampo è stata alzata con l’arrivo di un giocatore tecnicamente sublime come Le Petit Magicien Le Fee. Forse manca ancora qualcosa in difesa, soprattutto sull’out destro (se Celik va al Lille) e nel mezzo, ma De Rossi ha detto di esser stato rassicurato dalla proprietà circa il fatto che il mercato in entrata non sia finito qui. Dovesse effettivamente esser così, la prima campagna acquisti di De Rossi da allenatore in pectore della compagine giallorossa potrebbe avvicinarsi (o addirittura superare) la prima targata Mourinho.

Quella volta la Roma spese poco più di 130 milioni di euro, ma c’è modo e modo di spendere. A posteriori credo che i tifosi giallorossi convengano con me sul fatto che Vina, Reynolds, Kumbulla e Shomurodov non siano paragonabili ai giocatori appena sbarcati a Fiumicino. Se è vero che da grandi poteri derivano altrettanto grandi responsabilità, allora De Rossi ha una grande opportunità ma corre anche un grosso rischio. Se dovesse fallire nuovamente uno dei primi cinque posti, alla luce di quanto gli abbia fatto spendere, qualcuno nell’universo giallorosso avrebbe ancora il coraggio di tirar fuori il trito e ritrito refrain sullo stipendio del portoghese?

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Napoli, accadde oggi: vittoria amara contro l’Arsenal

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Napoli

Oggi, 12 anni fa, il Napoli ospitava l’Arsenal per la 6a giornata della Champions League 2013/14. Una delle più grandi beffe nella storia recente del club.

A una giornata dalla fine questa è la situazione nel Girone F della Champions League 2013/14: Arsenal 12, Borussia Dortmund 9, Napoli 9, Marsiglia 0. I Partenopei ospitano l’Arsenal all’ultima giornata, ma una vittoria potrebbe non bastare per il passaggio del turno: bisogna anche fare attenzione al risultato di Marsiglia-Borussia Dortmund.

Se il Dortmund vince, alla squadra di Benitez serve una vittoria con almeno tre gol di scarto. In caso di pareggio del Dortmund, i Partenopei devono vincere e basta, non con un numero particolare di gol. Infine, in caso di sconfitta del Dortmund, ai Partenopei basta un pareggio per accedere agli ottavi.

Napoli-Arsenal, 11 dicembre 2013

Napoli

 

Benitez è costretto a rinunciare a Reina e Hamsik infortunati: in porta gioca Rafael, mentre in attacco c’è il solito Higuain davanti a Callejon, Pandev e Mertens. Partono dalla panchina Inler, Insigne e Cannavaro.

I padroni di casa creano le loro occasioni da gol con Pandev, Callejon e Maggio, ma non si rendono particolarmente pericolosi. Dall’altro lato, Rafael respinge con i pugni un tiro centrale di Giroud. Il primo tempo si chiude, dunque, senza reti: intanto, tra Marsiglia e Borussia Dortmund è 1-1. In questo caso, ai Partenopei, basterebbe un solo gol per l’accesso agli ottavi.

Nel secondo tempo, Benitez fa entrare Insigne per Pandev, spostando Callejon al centro dell’attacco dietro a Higuain: la musica cambia. I padroni di casa attaccano con molta più convinzione, e cercano in tutti i modi di segnare il gol qualificazione. Dopo le occasioni per Armero, Callejon e Higuain, arriva il gol tanto atteso.

Cross di Armero, sponda di Higuain per Callejon che restituisce palla al numero 9 argentino che si gira, prima di battere Szczesny con una rasoiata di destro (73′). Il San Paolo è una bolgia: con il risultato a Marsiglia ancora sull’1-1, i Partenopei sarebbero agli ottavi. Pochi minuti dopo, l’Arsenal finisce anche in 10, espulso Arteta per doppia ammonizione.

Tuttavia, a tre minuti dal novantesimo, arriva la beffa: gol del Borussia Dortmund a Marsiglia, adesso ai Partenopei servono due gol per qualificarsi. Ne arriva solo 1 a 20 secondi dalla fine, con Callejon che batte Szczesny con un pallonetto (90+3).

La classifica finale del Girone F è: Borussia Dortmund 12, Arsenal 12, Napoli 12, Marsiglia 0. La banda Benitez, dunque, viene eliminata ai gironi di Champions per differenza reti. Non mancano, però, gli applausi del San Paolo per il cammino eroico della squadra Partenopea.

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Napoli, accadde oggi: l’ultima di Ancelotti con i Partenopei

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Ancelotti

Oggi, 6 anni fa, il Napoli ospitava il Genk per la 6a giornata della Champions League 2019/2020. Una partita decisiva per l’accesso agli ottavi e non solo.

Siamo al 10 dicembre 2019 e la squadra Partenopea allenata da Carlo Ancelotti è in crisi nerissima. Gli azzurri non vincono tra tutte le competizioni da ottobre, e sono settimi in campionato a -17 dall’Inter capolista.

In Champions, i Partenopei sono secondi nel girone dietro al Liverpool. Per la qualificazione agli ottavi basta un pareggio in casa contro il Genk. Tuttavia, la qualificazione agli ottavi potrebbe non bastare per salvare la panchina di Ancelotti, visti i problemi fuori dal campo.

Napoli-Genk, 10 dicembre 2019

Mertens, Napoli

Ancelotti recupera Allan e Milik, entrambi fuori da qualche partita per infortunio. L’attaccante polacco gioca in attacco affiancato da Mertens, mentre il centrocampista brasiliano gioca come centrocampista centrale insieme a Fabian Ruiz. Insigne e Lozano, invece, partono dalla panchina.

I Partenopei vanno vicini al gol dopo 2 minuti, con un colpo di testa di Koulibaly che colpisce la traversa. Pochi secondi dopo, Milik approfitta di una disattenzione del portiere Vandevoordt, e mette il pallone in rete.

Poco prima della mezz’ora, l’attaccante polacco si ripete: cross basso di Di Lorenzo dalla destra, e Milik arriva prima di tutti sul pallone, battendo Vandevoordt, 2-0 (26′). A 10 minuti dall’intervallo, Vandevoordt commette un fallo su Callejon in area, rigore e cartellino giallo per il portiere belga classe 2002: dal dischetto, Milik segna la sua tripletta (37′).

Intanto, il Genk sfiora diverse volte il 3-1, con Onuachu che si divora due gol da solo davanti a Meret: in entrambi le occasioni calcia fuori. Poche emozioni nel secondo tempo, visto che la qualificazione agli ottavi dei Partenopei è ormai archiviata. Ancelotti fa entrare dalla panchina Gaetano (esordio in Champions per lui), Llorente e Lozano, al posto di Zielinski, Callejon e Milik.

I padroni di casa guadagnano un altro rigore poco prima del quarto d’ora finale di gara, con un tiro al volo di Callejon respinto con il braccio da un giocatore avversario. Visto che Milik è uscito, il rigore lo batte Mertens: il belga segna il rigore, battendo Vandevoordt con un cucchiaio.

Milik e compagni, dunque, si qualificano agli ottavi da secondi nel girone. Tuttavia, il cambio in panchina avviene lo stesso: esonerato Ancelotti, al suo posto arriva Gennaro Gattuso.

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Napoli, Lukaku verso il rientro: come cambierà l’attacco?

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Napoli

Il Napoli ritrova Romelu Lukaku, ma ora resta da capire come Conte gestirà l’attacco con il belga e un Rasmus Højlund in grande forma.

Arrivano finalmente ottime notizie in casa Napoli sul fronte delle indisponibilità. Romelu Lukaku è infatti tornato ad allenarsi in gruppo dopo la lesione di alto grado al retto femorale della coscia sinistra rimediata nell’amichevole di agosto contro l’Olympiakos, un infortunio che l’ha tenuto fuori per quasi quattro mesi. Un rientro fondamentale non solo per Antonio Conte, ma anche per tutto lo spogliatoio, che ritrova una delle sue figure più esperte e carismatiche.

Il ritorno del belga, però, si intreccia con un’altra grande verità delle ultime settimane: il Napoli sembra aver trovato finalmente la quadra in attacco. Dopo mesi di dubbi, rotazioni e difficoltà nel trovare la formula giusta, ora la squadra ha un’identità ben definita anche grazie a un Højlund sempre più determinante. 

Per questo la domanda è inevitabile: come cambierà l’attacco azzurro con il rientro di Lukaku? Conte rinuncerà al danese o proverà a far convivere i due?

Napoli

Rasmus Winther Hojlund punta il dito ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Napoli, Conte guarda al futuro con un occhio al passato

Højlund sta sostituendo Lukaku in modo importante, garantendo gol, assist e una crescita evidente sia tecnica che mentale. Panchinarlo adesso, nel suo momento migliore, rischierebbe di essere controproducente. 

E allora non è utopia immaginare alcune partite con un attacco a due, con Lukaku e Højlund contemporaneamente in campo. Il belga potrebbe agire più da collante, legando il gioco e aprendo spazi, mentre il danese tornerebbe ad attaccare la profondità con continuità. 

In questo senso, un 3-5-2 classico potrebbe essere una soluzione, ma non va esclusa nemmeno l’idea di riproporre quel 4-2-4 visto a Bari e nei primi mesi alla Juventus, per sfruttare anche gli esterni.

Lecce-Napoli

LORENZO LUCCA RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Lucca verso l’addio?

La pista più probabile, almeno nell’immediato, è però un’altra: Conte potrebbe scegliere l’alternanza nel ruolo di riferimento offensivo nel suo 3-4-3, sfruttando i tanti impegni delle prossime settimane per gestire minutaggi e recuperi. In questo scenario c’è però chi rischia seriamente di perdere ulteriore spazio: Lorenzo Lucca, che già ora fatica a ritagliarsi minuti e che potrebbe addirittura lasciare Napoli già a gennaio, appena sei mesi dopo il suo arrivo.

Il rientro di Lukaku rappresenta dunque una grande notizia, ma anche un nuovo rompicapo per Conte. Un problema, però, che ogni allenatore vorrebbe avere: troppa qualità e troppe soluzioni.

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