editoriale
Milan, ma ci voleva così tanto tempo per aprire gli occhi? Furlani & Co. quante responsabilità! L’editoriale di Mauro Vigna
Milan, ci voleva così tanto tempo per aprire gli occhi? Nel corso dell’articolo capirete a cosa mi riferisco, ma le negligenze di Furlani e Co. sono a mio parere eclatanti.
L’AC Milan ha buttato via anni di prezioso tempo in una maniera a mio parere inspiegabile e soprattutto lesiva e controproducente. L’ultimo anno di Stefano Pioli è stato il prolungamento di un’agonia per la quale andava staccata prima la spina. L’ultima stagione con Fonseca prima e Conceicao dopo non è stata nient’altro che un teatro degli orrori e, permettetemi, degli errori.
Ci arriva anche un bambino, ma ci voleva tanto a prendere un allenatore capace quale sicuramente è Massimiliano Allegri affiancandogli finalmente un DS? Perché spendere una barcata di soldi per giocatori, idee, progetti se a capo non ci metti un tecnico capace e con le idee tattiche giuste?
Allegri è sicuramente uno dei migliori tecnici a livello europeo, sicuramente, insieme a Conte, in Italia. Un allenatore capace di gestire il materiale umano messogli a disposizione con quel tocco di aziendalismo che male non fa. Non è di certo molle e lo sta dimostrando, ma soprattutto sta facendo capire al mondo intero milanista che quanto fatto finora era errato. Che giocatori come Pavlovic, Tomori e Gabbia, aspettando De Winter e Odogu, se indottrinati in una certa maniera non sono da buttare via.
Soprattutto se poi usi il giusto filtro a centrocampo, cosa ben lontana dal modo di giocare, ad esempio, di Stefano Pioli il quale deve essere idolatrato per il meraviglioso scudetto vinto contro ogni pronostico, ma giustamente criticato di fronte a grossolani errori. Ci voleva tanto a capirlo? Se poi è stato scelto Fonseca, poi ancora Conceicao direi di sì e non me ne capacito. Ma è storia passata, nonostante Furlani. Quante gravi responsabilità per l’AD il quale scientemente aveva deciso di non essere affiancato da alcun direttore sportivo pensando con assoluta presunzione che tanto un allenatore valeva l’altro. Ora finalmente ha la riprova con la consapevolezza ahinoi di avere perso anni…e soldi.
editoriale
Milan, stai buttando un’occasione d’oro: l’editoriale di Mauro Vigna
Milan, probabilmente mai come quest’anno i rossoneri hanno la possibilità di dire la loro durante la campagna acquisti invernale, oppure no. La seconda opzione di certo spaventa.
Diciamocela tutta, è un campionato al rallentatore. Non esiste una vera e propria squadra che sta andando in volta, per usare un termine ciclistico che tuttavia bene fa capire l’attuale situazione. Tante squadre a pochi punti di distanza l’una dall’altra, molti di questi persi per casa, chi durante gli scontri diretti, vedasi il Napoli e chi, come il Milan, contro le piccole.
Un’occasione d’oro quindi per gli uomini di Massimiliano Allegri, secondi a un solo punto dai cugini capolisti e pieni di rammarichi per i soli due punti contro Cremonese, Pisa e Sassuolo. Ho coniato il termine neopromossite, ovvero una patologia insorta nel Milan quando c’è da giocare contro le neopromosse. I motivi sono ancora tutti da capire, ma i numeri non mentono mai.
E sarebbe così facile imporsi in questo campionato, se solo la dirigenza lo volesse. Mai come quest’anno basterebbero tre acquisti mirati, forti ed esperti per potere arrivare in fondo al campionato e probabilmente vincerlo. Serve un attaccante diverso da Niclas Fullkrug il quale in Premier League sta eguagliando Santiago Gimenez con la pochezza di zero gol e zero assist.
Il Milan non è un centro di recupero per giocatori persi, lo stiamo facendo con Nkunku con risultati al momento disastrosi, lo faremo con Fullkrug, sperando finisca diversamente. La botta di c…., ops fortuna, l’abbiamo avuta con Pulisic del quale ci riferivano che era sempre infortunato, un giocatore finito…beh, ce ne fossero di giocatori così. Ma non possiamo vivere di scommesse, ci servono solide realtà e Fullkrug ad oggi non lo è.
Ci serve un forte difensore centrale e per quanto bene possa volere a Thiago Silva, è un azzardo grande come una casa perché il giocatore ha 41 anni e arriva da una stagione in cui ha fatto oltre 40 presenze. Vecchio e bollito, mi viene da dire, con il giusto e dovuto timore reverenziale che porta un campione del genere, ovviamente. Così difficile prendere un Joe Gomez qualsiasi?
E per finire ci serve un terzino destro, Saelemaekers, fresco di rinnovo fino al 30 giugno 2031, non le può giocare tutte, se me ne accorgo io, penso che anche lo staff tecnico possa lontanamente immaginarlo. E Athekame quando esntra in campo provoca le preoccupazioni che avevo quando c’era lui, Emerson Royal.
Siamo sempre alle solite, basterebbe così poco per allestire una squadra competitiva, e ripeto, in questo campionato il Milan, con una rosa adeguata, potrebbe tranquillamente dire la sua. Peccato che a gennaio, come ci è stato riferito, si andrà a pescare alla voce opportunità di mercato che equivale partire da Milano, andare al casinò e puntare sul rosso e sul nero chiudendo gli occhi e sperando vada bene.
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Juventus, finalmente Spalletti ha lasciato il segno!
Vittoria importante al Dall’Ara e secondo clean sheet di fila. La Juventus di Luciano Spalletti ha finalmente giocato un buon calcio.
La Juventus torna da Bologna con molto più dei tre punti. L’1-0 del Dall’Ara rappresenta una tappa chiave della stagione e, soprattutto, la prima autentica versione “spallettiana” dei bianconeri: squadra compatta, aggressiva, coraggiosa e finalmente riconoscibile. Una vittoria pesante, che rilancia la corsa Champions e prepara il terreno allo scontro diretto con la Roma per il quarto posto.
La chiave della vittoria della Juventus
Contro un Bologna confuso e poco convincente, la Juve ha imposto il proprio ritmo fin dall’inizio. Pressing alto, baricentro avanzato e gestione lucida del pallone hanno segnato una netta discontinuità rispetto alle precedenti uscite, comprese quelle in campo europeo. Il primo tempo è stato solido, la ripresa ancora più autoritaria, con i rossoblù pericolosi solo a sprazzi, come sulla traversa colpita da Zortea.
Il gol decisivo arriva a metà secondo tempo e porta la firma inattesa di Cabal, al secondo centro stagionale dopo quello contro l’Atalanta, bravo a sfruttare un cross preciso di Yildiz. Determinante anche l’impatto dei cambi, che hanno dato la spallata decisiva a una gara controllata per lunghi tratti. Da segnalare il rientro di Bremer nel finale, mentre Koopmeiners sarà assente contro la Roma per squalifica.

Il risultato sta persino stretto alla Juventus, che crea molto ma conferma qualche limite sotto porta. Openda spreca due occasioni nitide, Ravaglia evita un passivo più pesante e un gol di David viene annullato per fuorigioco. Segnali incoraggianti anche da Yildiz, sempre più centrale nel gioco pur senza trovare la rete.
Il successo vale il quinto posto e, almeno per una notte, il -1 dalla Roma, in attesa degli altri risultati. È il secondo clean sheet esterno del campionato, un dato che certifica la solidità ritrovata dopo un rendimento lontano da casa troppo discontinuo.
Spalletti ha parlato della “vittoria più bella” da quando siede sulla panchina bianconera, ma ha invitato alla prudenza. Bologna non è un punto d’arrivo, bensì una ripartenza. La prossima sfida con la Roma sarà il vero spartiacque dove si misureranno ambizioni, maturità e la reale crescita di una Juventus che sembra aver finalmente trovato la sua strada.
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Mourinho, Conte e l’impietoso confronto dell’Estadio da Luz
José Mourinho torna un gigante d’Europa nella serata del da Luz. Antonio Conte e il Napoli ridimensionati, al netto delle pesanti assenze.
Tutto José Mourinho, quello dei bei vecchi tempi andati, nella serata dell’Estadio da Luz. La preparazione alla gara contro il Napoli di Antonio Conte è stata impeccabile, sia dal punto di vista comunicativo che da quello tecnico-tattico. Lo Special One si conferma un gigante d’Europa, mentre il salentino è rimandato.
Mourinho-Conte, amici mai: il confronto in tre immagini
Torna Sun Tzu, con un pizzico di Coser e una spruzzata di Dahrendorf
“Conte si lamenta delle assenze? Non fatemi ridere, perché io potrei piangere. Se a lui manca Lobotka può mettere McTominay e se gli manca De Bruyne può mettere Neres“. Per una sera, lo stile comunicativo del tecnico lusitano è tornato affilato e contundente come quello dei tempi migliori. L’invettiva del Profeta di Setubal sembrava annacquata da troppi anni, incapace di raccapezzarsi con il moderno flusso tecnologico.
Però, anche se solo per una sera, stavolta ha funzionato alla perfezione. Ha spostato tutta la pressione sui propri avversari, tecnicamente superiori e con una maggiore spesa sul mercato alle spalle. E le assenze, seppur pesanti, di Bah e Lukebakio appaiono come un Everest impossibile da scalare, mentre i partenopei vengono resi “schiavi” della vittoria a tutti i costi nonostante una lista di defezioni quasi impossibile da enumerare.
Ma Mou è così. Distorce la realtà, la plasma a suo piacimento con la propria narrazione orwelliana. La sua è una neo-lingua, che però ti arriva alle orecchie quasi come fosse il tuo dialetto madre. L’evergreen di Sun Tzu, su cui il tecnico portoghese ha costruito le sue fortune dialettiche, appare meno vetusto. Quasi “modernizzato”, con il rebranding, dovuto all’implementazione di concetti propri dei sociologi Coser e Dahrendorf, che lo fan sembrare “fresco”. E’ quella che nelle scienze sociali si chiama “teoria del conflitto esterno“, ovvero l’individuazione di un nemico esterno che serve a solidificare il proprio gruppo e a rafforzarne l’identità.
Come un “6-3-1” in fase di non possesso può apparire lo zenit del modernismo
Dal punto di vista tattico, è stato lo stesso Mourinho di sempre. “Vecchio” per alcuni, estremamente piazzato nella modernità per altri. Il Benfica, in fase di non possesso, si è trincerato in difesa con il più “mourinhano” dei 6-3-1. Taluni lo chiamerebbero “catenaccio”, ma è una parola desueta. Siamo nell’epoca dei neologismi e a Coverciano preferiscono “blocco basso”, così come il deprecabile “contropiede” è stato sostituito dal più politicamente corretto “transizioni negative”. A suo modo, anche questa è una sorta di neo-lingua orwelliana.
Sono però analisi superficiali, poiché i lusitani, almeno ieri sera, sono stati il connubio perfetto di modernità e pragmatismo. Mourinho, nel presentare la partita, era stato schietto come sempre. “Non possiamo accettare il loro uno contro uno a tutto campo, altrimenti ci ammazzano”. Detto, fatto. Ed ecco che allora il suo Benfica applica un altro dei concetti tipici della linguistica moderna applicata al pallone, ovvero la “riaggressione“.
La fase di non possesso ormai si articola in due momenti diversi: quando l’avversario è nel proprio terzo difensivo e quando salta la prima pressione. Nel primo caso, i portoghesi sono aggressivi. Alti e corti, quasi a soffocare la prima costruzione del Napoli. Che infatti è farraginosa, lenta e prevedibile. Il trio difensivo azzurro non riesce quasi mai a far uscire il pallone in maniera pulita da dietro. Milinkovic-Savic è spesso costretto a lanci lunghi e idem dicasi per i tre centrali, che non riescono a scivolare sulla linea laterale.
Ma quale “catenaccio”: il calcio di Mourinho è qualità allo stato puro
Peccato che quel tipo di situazione Mou l’abbia preparata alla perfezione. Hojlund non è Lukaku e lo si è lapalissianamente capito (qualora servisse un’ulteriore dimostrazione) nella serata di Lisbona. Forzare la palla diretta equivale, nella maggior parte dei casi, a restituire la sfera ai padroni di casa. Otamendi e Araujo hanno anticipato in maniera sistematica il centravanti danese, spegnendo le velleità offensive azzurre che peccavano della qualità tecnica necessaria per scardinare centralmente l’area di rigore militarizzata dai lusitani.
Rimaneva solo la via degli esterni, ma Lang e Neres venivano sistematicamente raddoppiati (da qui il “6-3-1” in fase difensiva) perdendo la propria peculiarità nell’1 vs 1. E anche se crossi, dato che in mezzo hai comunque Hojlund e McTominay, la prendono sempre loro: del resto l’avevano preparata così. Solo tattica, quindi? Macché! Il brio alla manovra offensiva la danno i giocatori, mica gli allenatori, e il Benfica di qualità nei piedi ne ha. Basti vedere l’illuminante tacco di Aursnes nel primo tempo, sull’ennesimo errore di Ivanovic.
Il Benfica questa partita l’ha dominata, soprattutto nel primo tempo, e il passivo sarebbe potuto essere anche più ampio, se Mourinho non avesse scelto di far riposare il suo bomber. Con Pavlidis al posto di un Ivanovic impresentabile, che ha fallito almeno due occasioni nitide, l’umiliazione (tattica) subita dal Napoli avrebbe assunto i connotati tennistici di quella di Eindovhen. E allora cosa resta? Al netto delle attenuanti, legate agli infortuni e al calendario, che Mourinho, checché se ne dica, resta un gigante d’Europa, a differenza di (questo) Conte. Portare questa squadra, con queste assenze e con questo calendario, ai playoff sarebbe un’impresa che solo a lui può riuscire. Ora bisogna andare allo Stadium (dove Mou in Champions League ha già vinto, quando allenava il Manchester United) contro una Juventus mediocre e poi al da Luz arriverà il Real Madrid di uno Xabi Alonso quasi esonerato. Impossible is nothing, per il Re delle notti magiche in Europa.

SCOTT MCTOMINAY RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
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