editoriale
Luca Toni, nove anni fa l’ultimo atto: la storia del bomber

L’8 maggio 2016 è la data più importante nella carriera di Luca Toni, che ha segnato di fatto l’addio al calcio del bomber di Pavullo. Ecco i suoi numeri.
È stato uno degli ultimi attaccanti italiani più forti in attività ed è riuscito a mantenere un livello decisamente alto nonostante l’età che avanzava. Con qualsiasi maglia indossata ha lasciato il segno.
Luca Toni, 9 anni da quel Hellas Verona-Juventus: una carriera da star
Fin dagli esordi tra i professionisti, tra Modena (Serie C) ed Empoli (Serie B), il classe 1977 ha subito impressionato per la facilità con cui trovava la rete, unita a una serie di movimenti da “attaccante puro”. In toscana però non convince, passando prima al Fiorenzuola e poi alla Lodigiani dove per la prima volta raggiunge la doppia cifra (15 reti).
L’impressionante rendimento attrae l’attenzione del Treviso (in Serie B) che punta su di lui e nella stagione 1999/2000 mette a referto altre 15 reti più 1 in Coppa Italia. Da qui inizia la scalata verso l’esordio in Serie A (1 ottobre 2000) a San Siro con la maglia Vicenza.
La stagiona successiva lascia il Veneto (solo momentaneamente) per approdare nella vicina Brescia, con le rondinelle colleziona 16 gol in 50 partite, e dopo due sole annate saluta per sbarcare in Sicilia a Palermo.

Luca Toni
In rosanero c’è la vera e propria consacrazione: per ben due stagioni di fila raggiunge o supera quota 20 gol tra B e A, trascinando il club verso prima promozione e poi salvezza. In totale dunque sono 51 le reti segnate dal bomber modenese con la maglia rosanero.
Nel 2005 arriva la prima vera grande squadra, la Fiorentina, che insiste per averlo e sborsa ben 15 milioni di euro per portarlo al Franchi. Solo due annate in viola ne fanno uno dei top scorer di sempre del club toscano, 57 reti in 97 presenze.
Nel frattempo la Nazionale Italiana non può più fare a meno di lui e nel 2006, Luca Toni, farà parte di quello straordinario gruppo che vincerà la Coppa del Mondo in Germania.
Il salto di qualità definitivo arriva però nel 2007 quando il Bayern Monaco è alla ricerca di una punta vera e propria per dominare il campionato tedesco. Detto fatto: 30 milioni di euro alla Fiorentina ed esordio all’Allianz Arena l’11 agosto 2007. In Bavaria conquista, grazie anche ai suoi gol, 2 Bundesliga e 2 Coppe di Germania scalando rapidamente le classifiche dei marcatori.
Nella sua prima stagione tedesca si prende il premio di Capocannoniere del campionato con 24 gol e mostrando una grandissima affinità con certo Franck Ribery.
Terminata l’esperienza bavarese, nel 2010 Toni torna in Italia dove ad attenderlo c’è una Roma affamata di Scudetto ma la concorrenza in attacco è agguerritissima. Claudio Ranieri riesce a ritagliargli dello spazio e in tutto saranno 15 le presenze totali con 5 reti all’attivo, una di queste contro l’Inter (nella vittoria per 2-1 nello scontro diretto) ma che alla fine non servirà ai fini del titolo.
L’anno successivo decide di affrontare una nuova avventura all’ambizioso Genoa ma anche qui il bottino totale (5 gol tra campionato e Coppa Italia) è piuttosto magro. La stessa situazione si ripropone poi nella stagione 2010/2011 quando la Juventus decide di puntare su di lui per rilanciarlo. Il risultato è l’addio anticipato a gennaio del 2011 per passare all’Al Nasr di Dubai ma anche lì dopo pochi mesi la fiamma si affievolisce sempre di più.
Considerato ormai da tutti a “fine carriera”, Luca decide di accettare la corte della sua Fiorentina e torna a vestire viola dopo 6 anni, tornando così ai fasti del passato grazie alle 8 reti messe a segno in 27 presenze. Al termine del contratto però una nuova squadra gli proprone un ruolo centrale e promette di regalargli anni fantastici: l’Hellas Verona.
La figura del presidente Giovanni Martinelli sostenuta da quella di un nuovo azionario appena entrato in società, Maurizio Setti, convince Toni ad accettare il progetto e sposare la causa di una squadra tornata in Serie A dopo 11 anni.
In gialloblu vivrà un vero e proprio sogno: nel 2015 vince la classifica cannonieri al pari di un certo Mauro Icardi con 22 gol e in totale colleziona 100 presenze per un bottino complessivo di 51 gol alla veneranda età di 39 anni.
L’ultima rete, col cucchiaio su calcio di rigore, risale proprio a quell’Hellas Verona-Juventus 2-1 di fine campionato, con gli scaligeri già retrocessi ma vogliosi di regalare al suo capitano un addio come si deve.

addio al calcio di Luca Toni
editoriale
Cagliari, questa salvezza è tutt’altro che un miracolo

Il Cagliari cade anche a Como ma rimane in zona sicura. La squadra di Nicola è ormai a un passo dalla salvezza, ma continua a non convincere.
Il Cagliari cade anche a Como e incassa la quarta sconfitta nelle ultime cinque giornate. Una striscia negativa che stona con l’obiettivo salvezza ormai quasi raggiunto, ma che lascia pochi sorrisi e tante perplessità. Dopo la vittoria pesante in casa dell’Hellas Verona, che aveva di fatto ipotecato la permanenza in massima serie, i rossoblù sembrano essersi fermati, come se il traguardo virtuale bastasse per considerarsi soddisfatti.
La realtà, però, racconta di una squadra che gioca male, che non ha un’anima e che mostra gli stessi limiti mentali e strutturali di inizio stagione, soprattutto quando subisce un gol.
Contro il Como si è vista una squadra fragile e senza grinta, in linea con le ultime uscite. L’ultimo periodo ha confermato che, più che merito dei rossoblù, la salvezza, seppur ancora non aritmetica, è figlia soprattutto dei demeriti delle dirette concorrenti.
I fischi di parte del pubblico, nonostante l’obiettivo a un passo, sono un segnale evidente: il malcontento c’è, perché manca un’identità, un atteggiamento più coraggioso, e una proposta di gioco che vada oltre il minimo indispensabile.

DAVIDE NICOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Cagliari, serve una riflessione sul progetto tecnico
Se un anno fa la salvezza firmata Claudio Ranieri era stata un piccolo capolavoro, oggi non si può parlare di miracolo. Nicola è riuscito, salvo sorprese, a centrare l’obiettivo, ma lo ha fatto senza mai dare alla squadra un’impronta chiara. I tanti esperimenti, l’insistenza su giocatori più votati alla quantità che alla qualità, e l’assenza di un gioco riconoscibile hanno tolto entusiasmo a una piazza passionale come quella cagliaritana.
I 33 punti potrebbero bastare per salvarsi con qualche giornata d’anticipo, e probabilmente molti tifosi firmerebbero ogni anno per una salvezza tranquilla, ma si può e si deve fare di più.
La squadra sembra cullarsi nella mediocrità, senza mai provare a superare i propri limiti. Per questo, a fine stagione, sarà necessario aprire una riflessione profonda sul progetto tecnico: per non rischiare di restare indietro nei prossimi anni, serve pianificare con ambizione e chiarezza.
editoriale
Napoli, è il pareggio della paura

Il Napoli si fa rimontare due volte dal Genoa e perde due punti sull’Inter. Nonostante la serata storta, però, il destino rimane nelle mani degli azzurri.
Il Napoli non risponde alla vittoria dell’Inter sul campo del Torino e si ferma in casa contro il Genoa, facendosi rimontare due volte dal Grifone. I numeri dicono che gli azzurri avrebbero meritato la vittoria, ma serve la lucidità di andare oltre le statistiche e guardare la prestazione complessiva: quella di ieri è stata una partita giocata con paura, con una squadra forse schiacciata dalla pressione degli ultimi giorni.
L’infortunio di Lobotka dopo poco più di cinque minuti ha sicuramente complicato i piani, ma il Napoli è sembrato poco reattivo, poco dinamico, quasi fermo, soprattutto nel primo tempo. Un dato emblematico: il giocatore con più tocchi tra gli azzurri è stato Olivera, da difensore centrale.
Deludente in particolare la catena di destra, di solito la più solida e produttiva: Di Lorenzo, Politano e soprattutto Anguissa, il peggiore in campo, non hanno garantito la qualità e la spinta viste negli ultimi anni. Ma anche gli altri non hanno brillato.
A emergere è stato ancora una volta Scott McTominay che, pur schierato da esterno sinistro nel 4-4-2 disegnato da Conte, ha giocato con lucidità, senza mai fare una scelta banale. Lo scozzese è stato decisivo con due assist, prima per il gol di Lukaku e poi per quello di Raspadori. Ma la sua solidità mentale non è bastata a compensare la fragilità dei compagni.

GIOVANNI DI LORENZO RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
I soliti cali dopo il vantaggio
Come già accaduto diverse volte in stagione, dopo il gol del vantaggio il Napoli ha abbassato il baricentro, come se aspettasse la reazione avversaria più per paura che per strategia. Un atteggiamento che spesso ha pagato, ma non ieri, perché il Genoa ha saputo sfruttare al massimo ogni occasione e ogni minima disattenzione degli azzurri.
Anche i cambi di Conte non hanno aiutato: Raspadori, timido nel primo tempo ma in netta crescita dopo il gol del 2-1, è stato sostituito per coprirsi con l’ingresso di Billing, mentre Anguissa, autore forse della sua peggior prestazione stagionale, è rimasto inspiegabilmente in campo fino alla fine.
Politano, completamente stremato, all’84° non è riuscito a ostacolare il cross di Aaron Martin da cui è nato il 2-2, e Conte ha deciso di sostituirlo con Neres solo dopo il pareggio.
Anche l’atmosfera allo stadio era strana: dopo il primo gol del Genoa, il Maradona è rimasto in silenzio fino al 2-1, per poi spegnersi di nuovo dopo il 2-2.
Una serata storta, segnata anche da quella scaramanzia che sembra essersi rotta: molti tifosi si sentivano già campioni d’Italia e avevano iniziato a festeggiare. Persino il gol di testa di Vasquez, il primo subito su questa situazione in campionato, ha avuto un sapore simbolico.

L’ESULTANZA DI DAVID NERES ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Napoli, adesso servono nervi saldi
Ovviamente nulla è ancora perduto. Il Napoli è sempre a +1 sull’Inter, e tutto dipenderà ancora una volta dagli azzurri. Quella di ieri è stata una serata negativa, forse nata già nei giorni precedenti con tutte le voci che hanno disturbato l’ambiente.
Ora, però, non bisogna lasciarsi travolgere dal panico: il Napoli ha due finali davanti a sé, contro Parma e Cagliari, e con 6 punti lo Scudetto sarebbe matematico, indipendentemente dai risultati dell’Inter.
Conte dovrà ritrovare lucidità nelle scelte e trasmettere alla squadra la calma e la convinzione che ieri sono mancate. Il gruppo ha dimostrato più volte di sapersi rialzare. Ora è il momento di farlo di nuovo.
editoriale
Gaza, The Last Day: il calcio non si giri dall’altra parte

Per oggi, 9 Maggio 2025, è stata lanciata l’iniziativa “The Last Day for Gaza”. Un invito a non girarsi dall’altra parte, rivolto anche al pallone.
Il 9 Maggio è la “Festa dell’Europa“. Non a caso è stato scelto questo giorno per sensibilizzare sulle disumane condizioni di vita a cui, da circa 60 anni e ben prima del 7 Ottobre, sono costretti i residenti della Striscia di Gaza. E’ un monito rivolto all’Europa, in cui le si chiede di non girarsi dall’altra parte: e vale anche per il calcio.
Calcio & Politica: quando gli atleti prendono posizione
Il mondo del calcio è pieno di giocatori che hanno assunto posizioni politiche. Uno dei miei preferiti è sicuramente Socrates, il genio del Corinthians che amava Gramsci e che deve il suo nome alla passione del padre per il filosofo greco. La sua esultanza, un pugno chiuso (simbolo universale del marxismo) rivolto al cielo, è divenuta celebre. Dopo aver segnato un gol con la maglia del Timão, nel 1982, mostrò il pugno chiuso, in segno di sfida, agli esponenti del regime militare brasiliano, che erano accorsi allo stadio per assistere al match.
Il 21 Novembre del 1973, la selezione nazionale dell’allora Unione Sovietica si rifiutò di recarsi allo Stadio Nacional di Santiago per la gara di ritorno contro il Cile. Era il Cile di Pinochet, che faceva sparire gli oppositori politici del regime imprigionandoli proprio nelle secrete di quello stadio: torturandoli e uccidendoli. La diserzione costò all’URSS la qualificazione ai Mondiali del 1974, poi vinto dalla Germania Ovest (la parte “Occidentale” della Germania) in finale contro l’Olanda di Cruyff, ma un gesto così vale molto più di qualsiasi trofeo.
Ci sono però anche esempi recenti. Il calciatore dell’Inter, Medhi Taremi, si era apertamente schierato contro il regime degli Ayatollah in occasione dei Mondiali del 2022. Lo fece sui suoi profili social ma anche pubblicamente, quando, assieme al resto della squadra, si rifiutò di cantare l’inno nazionale iraniano in occasione della gara contro l’Inghilterra. Alla base della sua protesta la morte di Mahsa Amini, manifestante 23enne uccisa dalla polizia morale, e il suo collega calciatore Amir Azadani, scampato per un soffio alla pena di morte.
Un altro calciatore nerazzurro, Henrikh Mkhitaryan, prese pubblicamente posizione contro il genocidio del suo popolo (quello armeno) perpetrato dall’esercito azero nel Nagorno-Karabakh. Il calciatore del Genoa Ruslan Malinovskyi, il 23 Marzo del 2024, ha attaccato sui social l’Atalanta (sua ex squadra) rea di aver “festeggiato” il gol segnato da Aleksej Mirančuk (all’epoca tesserato per gli orobici) con la nazionale russa.
Il fantasista ucraino ha definito l’ex compagno di squadra “complice del terrorismo russo”, allegando immagini di alcune città ucraine vittime dei bombardamenti russi. C’è chi si schiera contro il proprio regime e chi invece si schiera a favore. Il 14 Ottobre del 2019, la nazionale turca ha celebrato una rete nella partita di qualificazione a Euro2020 contro la Francia. Fin qui nulla di strano, se non fosse altro il fatto che i calciatori turchi celebrarono quella rete con un saluto militare: un gesto che è stato considerato apologia del regime militare di Erdogan, con condanna unanime della comunità internazionale e con la federazione calcistica turca multata di 50 mila euro.
9 Maggio 2025, l’ultimo giorno di Gaza
Fun fact: il regime turco sostiene la pulizia etnica degli armeni, per la quale la comunità internazionale non ha espresso lo stesso livello di indignazione manifestato per il “saluto militare” dei calciatori turchi. La Turchia è a sua volta un membro della NATO, che ha permesso le operazioni di regime change (nell’ottica della Dottrina Monroe) che hanno portato ai rovesciamenti dei governi democraticamente eletti in Cile e in Brasile (ma non solo) e alla presa del potere delle giunte militari di estrema destra che hanno perpetrato i crimini di cui sopra.
L’espansione della NATO è anche una delle cause dello scoppio della guerra in Ucraina. E a proposito di ipocrisia, il 28 Febbraio 2022 (c’era già stata l’invasione ucraina da parte della Russia), in occasione del goal di Mirančuk contro la Sampdoria, quest’ultimo e Malinovskyi si abbracciarono. Pochi giorni dopo, nei pressi di Zingonia, verrà esposto uno striscione raffigurante una stretta di mano fra i due e sullo sfondo le bandiere della Russia e dell’Ucraina: meno di due anni dopo Malinovskyi darà del “collaborazionista” all’ex compagno.
Siccome è stato dimostrato che le personalità pubbliche, anche quelle legate al mondo del pallone, sanno prendere posizioni scomode quando vogliono, questo articolo vuole essere semplicemente un invito a coloro che hanno il privilegio di avere una folta platea a cui parlare. In un mondo ormai irrimediabilmente corrotto da ipocrisia e partigianeria, si chiede a chi può una presa di posizione seria sulla tematica d’attualità più dirimente del nostro secolo. Un invito esplicito, rivolto (anche) al mondo del pallone, a non girarsi dall’altra parte.
Perché, come si legge nel comunicato ufficiale della manifestazione, voltare lo sguardo altrove ci rende poco a poco meno umani. Al calcio chiediamo una presa di posizione seria, non l’ipocrisia della scritta peace (che troneggia durante le partite) mentre quello stesso paese invia armi per continuare i conflitti. Lo sdegno deve ovviamente coinvolgere tutte le guerre, a prescindere dalle cause e dalle varie responsabilità, ma questa non è una guerra. E’ un genocidio perpetrato su una sponda del nostro stesso mare. Non giratevi dall’altra parte.
#ultimogiornodigaza #gazalastday
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