editoriale
Como, Fabregas è inadatto: la retrocessione non è utopia
Nonostante i proclami e le fanfare estive, il progetto di crescita del Como procede a rilento e la retrocessione dista un solo punto.
Il Como ha la seconda peggior difesa del campionato, in un contesto nazionale in cui (solitamente) a ottenere i migliori risultati (trasversalmente alle varie latitudini) sono quelle che subiscono meno gol. I comaschi sono l’unica squadra di questa Serie A a non aver ancora registrato un clean sheet in questo avvio.
Como, marketing non vuol dire “idee”
Il Como ha un organico valido. Non eccezionale, certamente con delle lacune e con dei giocatori provenienti da contesti molto diversi da quello nostrano. Stranieri che fisiologicamente hanno bisogno di integrarsi nella tessitura del calcio italiano, di capire il gioco e le dinamiche. Nonostante ciò, anche alla luce degli investimenti fatti in estate, i comaschi sembrano di un altro livello rispetto alla media delle squadre invischiate.
La scelta coraggiosa della proprietà indonesiana di puntare su un tecnico come Fabregas, giocatore con una visione del calcio sublime ma che non ha ancora compreso quanta differenza vi sia fra la teoria e la pratica, per ora ha pagato solo in parte. Il Como ha ottenuto la promozione diretta dalla Serie B alla Serie A nella scorsa stagione, ma Fabregas prese la squadra a fine Novembre e quando era già quarta in classifica.
E’ una tesi impossibile da dimostrare, ma il ragionamento critico ci impone di pensare che esista la possibilità che il Como sarebbe stato promosso anche con Moreno Longo. Esonerato lo scorso 11 Novembre, dopo una vittoria (1-0) sul campo dell’Ascoli e con una media di 1,75 punti per partita.

Fabregas è inadeguato alla categoria
La scelta di puntare su Fabregas è stata puramente di marketing, allineata a tutte le altre. Compresa quella legata a Varane. Un ex-giocatore da anni, che era già andato in pensione da tempo ma che lo ha accettato solo da pochi mesi. La sensazione è che il tecnico catalano sia inadatto alla categoria. E se questo da una parte potrebbe essere fisiologico, vista la giovane età, dall’altra il suo stile comunicativo fa riflettere.
Gli errori di Fabregas non sembrano dettati dall’inesperienza, quanto da una puerilità caratteriale che non intende in alcun modo correggere. Un integralismo (misto ad un’arroganza di fondo) figlio della scuola calcistica catalana, che tradizionalmente non riesce ad attecchire al di fuori del proprio contesto. Una sensazione corroborata dalle primissime uscite stagionali, come la conferenza stampa che ha preceduto l’esordio a Torino.
Il diktat di Fabregas (“non adatteremo il nostro modo di giocare alla Serie A“) è stato confermato nei fatti e si è scontrato duramente con la realtà del salto di categoria. Il catalano sembrava aver corretto il tiro, inserendo un centrocampista in più in luogo di un attaccante, fino al clamoroso k.o. interno (1-5) contro la Lazio. Lì Fabregas è ricaduto nei suoi comprovati limiti comunicativi, attaccando pubblicamente i suoi stessi giocatori.
Prima una critica generalizzata ai suoi, accusati di “scarsa cattiveria agonistica“, e poi le stilettate individuali nei confronti di Dossena e Audero. Fabregas, come molti suoi illustri colleghi, non ha capito che la scuola di pensiero che lo ha formato è percorribile soltanto con un certo tipo di giocatori.
Il Como non può permettersi i giocatori che Fabregas aveva come compagni quando giocava e questa condizione impone che il tecnico si adatti, non che ripercorra pedissequamente le orme dei suoi mentori. Se ci riuscirà potrà diventare un buon allenatore, altrimenti lo spettro della retrocessione non sarà più un’utopia.
editoriale
Mourinho, Conte e l’impietoso confronto dell’Estadio da Luz
José Mourinho torna un gigante d’Europa nella serata del da Luz. Antonio Conte e il Napoli ridimensionati, al netto delle pesanti assenze.
Tutto José Mourinho, quello dei bei vecchi tempi andati, nella serata dell’Estadio da Luz. La preparazione alla gara contro il Napoli di Antonio Conte è stata impeccabile, sia dal punto di vista comunicativo che da quello tecnico-tattico. Lo Special One si conferma un gigante d’Europa, mentre il salentino è rimandato.
Mourinho-Conte, amici mai: il confronto in tre immagini
Torna Sun Tzu, con un pizzico di Coser e una spruzzata di Dahrendorf
“Conte si lamenta delle assenze? Non fatemi ridere, perché io potrei piangere. Se a lui manca Lobotka può mettere McTominay e se gli manca De Bruyne può mettere Neres“. Per una sera, lo stile comunicativo del tecnico lusitano è tornato affilato e contundente come quello dei tempi migliori. L’invettiva del Profeta di Setubal sembrava annacquata da troppi anni, incapace di raccapezzarsi con il moderno flusso tecnologico.
Però, anche se solo per una sera, stavolta ha funzionato alla perfezione. Ha spostato tutta la pressione sui propri avversari, tecnicamente superiori e con una maggiore spesa sul mercato alle spalle. E le assenze, seppur pesanti, di Bah e Lukebakio appaiono come un Everest impossibile da scalare, mentre i partenopei vengono resi “schiavi” della vittoria a tutti i costi nonostante una lista di defezioni quasi impossibile da enumerare.
Ma Mou è così. Distorce la realtà, la plasma a suo piacimento con la propria narrazione orwelliana. La sua è una neo-lingua, che però ti arriva alle orecchie quasi come fosse il tuo dialetto madre. L’evergreen di Sun Tzu, su cui il tecnico portoghese ha costruito le sue fortune dialettiche, appare meno vetusto. Quasi “modernizzato”, con il rebranding, dovuto all’implementazione di concetti propri dei sociologi Coser e Dahrendorf, che lo fan sembrare “fresco”. E’ quella che nelle scienze sociali si chiama “teoria del conflitto esterno“, ovvero l’individuazione di un nemico esterno che serve a solidificare il proprio gruppo e a rafforzarne l’identità.
Come un “6-3-1” in fase di non possesso può apparire lo zenit del modernismo
Dal punto di vista tattico, è stato lo stesso Mourinho di sempre. “Vecchio” per alcuni, estremamente piazzato nella modernità per altri. Il Benfica, in fase di non possesso, si è trincerato in difesa con il più “mourinhano” dei 6-3-1. Taluni lo chiamerebbero “catenaccio”, ma è una parola desueta. Siamo nell’epoca dei neologismi e a Coverciano preferiscono “blocco basso”, così come il deprecabile “contropiede” è stato sostituito dal più politicamente corretto “transizioni negative”. A suo modo, anche questa è una sorta di neo-lingua orwelliana.
Sono però analisi superficiali, poiché i lusitani, almeno ieri sera, sono stati il connubio perfetto di modernità e pragmatismo. Mourinho, nel presentare la partita, era stato schietto come sempre. “Non possiamo accettare il loro uno contro uno a tutto campo, altrimenti ci ammazzano”. Detto, fatto. Ed ecco che allora il suo Benfica applica un altro dei concetti tipici della linguistica moderna applicata al pallone, ovvero la “riaggressione“.
La fase di non possesso ormai si articola in due momenti diversi: quando l’avversario è nel proprio terzo difensivo e quando salta la prima pressione. Nel primo caso, i portoghesi sono aggressivi. Alti e corti, quasi a soffocare la prima costruzione del Napoli. Che infatti è farraginosa, lenta e prevedibile. Il trio difensivo azzurro non riesce quasi mai a far uscire il pallone in maniera pulita da dietro. Milinkovic-Savic è spesso costretto a lanci lunghi e idem dicasi per i tre centrali, che non riescono a scivolare sulla linea laterale.
Ma quale “catenaccio”: il calcio di Mourinho è qualità allo stato puro
Peccato che quel tipo di situazione Mou l’abbia preparata alla perfezione. Hojlund non è Lukaku e lo si è lapalissianamente capito (qualora servisse un’ulteriore dimostrazione) nella serata di Lisbona. Forzare la palla diretta equivale, nella maggior parte dei casi, a restituire la sfera ai padroni di casa. Otamendi e Araujo hanno anticipato in maniera sistematica il centravanti danese, spegnendo le velleità offensive azzurre che peccavano della qualità tecnica necessaria per scardinare centralmente l’area di rigore militarizzata dai lusitani.
Rimaneva solo la via degli esterni, ma Lang e Neres venivano sistematicamente raddoppiati (da qui il “6-3-1” in fase difensiva) perdendo la propria peculiarità nell’1 vs 1. E anche se crossi, dato che in mezzo hai comunque Hojlund e McTominay, la prendono sempre loro: del resto l’avevano preparata così. Solo tattica, quindi? Macché! Il brio alla manovra offensiva la danno i giocatori, mica gli allenatori, e il Benfica di qualità nei piedi ne ha. Basti vedere l’illuminante tacco di Aursnes nel primo tempo, sull’ennesimo errore di Ivanovic.
Il Benfica questa partita l’ha dominata, soprattutto nel primo tempo, e il passivo sarebbe potuto essere anche più ampio, se Mourinho non avesse scelto di far riposare il suo bomber. Con Pavlidis al posto di un Ivanovic impresentabile, che ha fallito almeno due occasioni nitide, l’umiliazione (tattica) subita dal Napoli avrebbe assunto i connotati tennistici di quella di Eindovhen. E allora cosa resta? Al netto delle attenuanti, legate agli infortuni e al calendario, che Mourinho, checché se ne dica, resta un gigante d’Europa, a differenza di (questo) Conte. Portare questa squadra, con queste assenze e con questo calendario, ai playoff sarebbe un’impresa che solo a lui può riuscire. Ora bisogna andare allo Stadium (dove Mou in Champions League ha già vinto, quando allenava il Manchester United) contro una Juventus mediocre e poi al da Luz arriverà il Real Madrid di uno Xabi Alonso quasi esonerato. Impossible is nothing, per il Re delle notti magiche in Europa.

SCOTT MCTOMINAY RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
editoriale
Milan, il corto muso funziona ancora: ora date due giocatori ad Allegri! L’editoriale di Mauro Vigna
Milan, la squadra di Allegri si sbarazza a fatica del Torino e riconquista la vetta della classifica. Un primo posto in comproprietà col Napoli e l’esigenza di mettere mano al portafoglio a gennaio.
Il corto muso funziona ancora, Massimiliano Allegri mette un gol davanti a quelli del Torino e vince una partita che dopo i minuti iniziali sembrava già sentenziata. Un gol in più dell’avversario, semplice per il tecnico livornese il quale magari non sempre fa giocare bene le sue squadre, ma le rende dannatamente efficaci. Ed è questo che serve, il bel gioco è fine a sè stesso se poi alla fine si stringe poco.
Alzi ora la mano chi reclama il bel gioco, in fondo a noi interessa essere lì davanti a tutti e per farlo serviranno almeno due colpi a gennaio. La fotografia del Milan attuale parla di un attacco sterile, eccezion fatta per il cecchino Pulisic, capocannoniere della Serie A. Gimenez ed Nkunku non stanno ripagando la fiducia di tecnico e dirigenza e in difesa la necessità è regalare un rinforzo al tecnico livornese il quale prega per la lunga vita di Gabbia, Pavlovic e Tomori.
Essere primi comporta onori e oneri, ma anche la dirigenza ora dovrà fare la sua parte. Si è detto che non ci saranno soldi a gennaio. A parte crederci poco, comunque se così fosse, basterà mettere sul mercato l’attaccante messicano il quale ha mercato. Per poi fiondarsi magari su un usato sicuro nell’attesa di Vlahovic in estate. Oppure dirottare tutto e subito su Mauro Icardi, uno che la porta la vede, eccome se la vede.
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Juventus, continua il caso David–Openda: pochi minuti e Mondiali a rischio
Juventus – gli acquisti di punta dell’estate faticano a trovare spazio. Spalletti continua a preferire altre soluzioni, mentre gennaio si avvicina e si valutano scenari inattesi.
La Juventus arriva alla metà del campionato con problemi ancora irrisolti. Il cambio Tudor–Spalletti non ha cancellato gli squilibri di una rosa costruita con fragilità strutturali, e i due investimenti più importanti dell’estate, Jonathan David e Lois Openda, restano ai margini. Anche nel ko di Napoli, nonostante l’assenza di Vlahovic, entrambi sono partiti dalla panchina, mentre Spalletti ha scelto Yildiz come falso nove.
Il rendimento dei due attaccanti è deludente. David, arrivato a parametro zero ma costato oltre 12 milioni di commissioni e con un ingaggio pesantissimo, ha segnato appena due gol in quasi venti partite e ha perso continuità in campionato e Champions. Openda, preso in prestito con obbligo di riscatto dal Lipsia per circa 45 milioni complessivi, ha raccolto finora pochissimi minuti in Serie A e un unico guizzo europeo. Il belga ha anche ammesso pubblicamente le difficoltà di adattamento.
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Juventus, il tempo stringe per andare al Mondiale…
Il club chiede un cambio di passo immediato. L’infortunio di Vlahovic, che potrebbe restare fuori a lungo, sembrava poter aprire spazi ai due attaccanti, ma le scelte dell’allenatore raccontano altro. Chiellini ha provato a smorzare i toni, parlando di “opportunità” per entrambi, ma le decisioni tecniche continuano a penalizzarli.
Il tempo stringe anche in ottica Mondiali. David punta a essere protagonista con il Canada nella rassegna “di casa”, mentre Openda teme la concorrenza feroce nella nazionale belga. Per entrambi diventa indispensabile giocare con continuità nella seconda parte della stagione.

KENAN YILDIZ, DUSAN VLAHOVIC E LOIS OPENDA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il mercato di gennaio potrebbe offrire soluzioni, ma non senza ostacoli. David, con un ingaggio elevato, sarebbe accessibile quasi solo ai club di Premier League. La posizione di Openda è ancora più intricata per via degli accordi con il Lipsia e dell’obbligo di riscatto già fissato. In un mercato invernale di opportunità più che di investimenti, servirà creatività.
La Juventus, intanto, non può più permettersi rallentamenti: fuori dalla lotta scudetto e obbligata a lottare per il piazzamento Champions, ha urgente bisogno di certezze. E il tempo delle attese sta per scadere per tutti, David e Openda compresi.
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