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Allegri, dal bis alla Juve al ritorno al Milan: la differenza è (solo) Modric

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L’Italia si spella le mani per applaudire il Milan di Allegri, dopo averlo bollato come “bollito” appena un anno prima: Modric è l’ago della bilancia.

Allegri si è “aggiornato”? E’ diventato più “moderno”? Sciocchezze da bar, o da presunti guru del pallone che peccano totalmente d’umiltà socratica. Il vecchio adagio del mea culpa in caso di errore, nell’era dei social e del pubblico ludibrio, assume i connotati di un’umiliazione insostenibile. Debolezza e non più virtù dei forti.

Allegri, ecco il “Kroos” che ti mancava alla Juve

Riavvolgiamo il nastro. Era il 16 Febbraio 2024 e Allegri invocava a gran voce l’ingaggio a parametro di Toni Kroos, fuoriclasse tedesco che di lì a poco si sarebbe svincolato dal Real Madrid. Tuttavia, contro ogni previsione, l’ex Bayern Monaco decide di appendere gli scarpini al chiodo e la Juventus dell’allora tecnico labronico crolla in campionato. Il terzo posto finale (ma soprattutto la sfuriata post-finale di Coppa Italia contro l’Atalanta) costa la panchina al livornese, che verrà sostituito da Thiago Motta prima e da Tudor poi.

Proprio qui, sulle pagine di CalcioStyle, indicavo nella mancanza di un play di livello mondiale la principale mancanza dell’Allegri-bis. Per chi ha trasformato l’esegesi calcistica in un esercizio di stile retorico, la tangibile differenza fra l’espressione tecnica del primo quinquennio a Vinovo di Allegri e quella nel triennio del suo ritorno non poteva che essere attribuita alla “modernità”. Un concetto profanato e strumentalizzato a tal punto da esser stato deprivato del suo significato intrinseco, tanto è stato piegato ai personalismi dei commentatori.

Poi Max torna ad allenare, dopo un anno sabbatico, e la prima cosa che fa è chiedere alla rinnovata dirigenza rossonera un play di livello internazionale. Anzi, ne chiede addirittura tre: Modric, Ricci e Jashari. Lo stupore serpeggia fra gli opinionisti, che hanno dimenticato in fretta quanto per Allegri il termine “qualità” fosse un mantra dai connotati dogmatici. Così Allegri ottiene finalmente il “suo Kroos”: quel regista puro non solo in grado di dettare i tempi e sveltire la manovra, ma anche (e soprattutto) in grado di portare un surplus di esperienza e mentalità vincente al gruppo. Il Pirlo dei suoi primi anni bianconeri, per intenderci.

Del resto lo ha fatto notare anche Paolo Di Canio, nell’ultima puntata de Il Club di Sky, che nel giocare con Locatelli (con tutto il rispetto) o con Modric c’è un abisso. Perché le stigmate dell’Allegrismo quelle sono rimaste. 3-5-2 abbottonato e compatto, squadra corta ma senza un baricentro particolarmente alto. La verticalità come prima idea, ma senza disdegnare l’idea di congelare il possesso e abbassare i ritmi del gioco qualora manchi lo sbocco immediato verso la metà campo avversario durante una transizione negativa.

Allegri non è cambiato, sono cambiati gli interpreti. Se hai Pulisic a galleggiare fra le linee, e a fungere da “agitatore tecnico”, e Modric a dettare i tempi in mediana, è ovvio che l’espressione calcistica di tutta la squadra ne gioverà. Il compromesso fra i dogmi del tecnico livornese (equilibrio al primo posto e zero rischi inutili) e la fisiologica voglia di esprimersi liberamente dei suoi fuoriclasse è stata la chiave dei suoi plurimi successi a Torino, e potrebbe essere altrettanto a Milano. Se lo stesso Pulisic non avesse calciato alle stelle un rigore dubbio, a quest’ora staremmo parlando del Milan come la principale candidata al ruolo di anti-Napoli. La Dea bendata bacia ancora sulla fronte la Signora, ma rispetto alla prima giornata ora a sorridere è il Diavolo. Alla faccia dei gufi di professione, saliti subito sul loro trespolo dopo l’esordio shock contro la Cremonese ma repentinamente scesi per prenotare un posto sul carro dei (possibili) vincitori.

Allegri

MASSIMILIANO ALLEGRI CHIEDE DI GIOCARE A QUATTRO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

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Milan, poco importa della Coppetta Italia: più gravi i soliti problemi | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, una sconfitta in trasferta per 1-0 contro la Lazio non deve assolutamente preoccupare. Sì, perché i problemi in casa rossonera sono decisamente altri.

Il Milan esce sconfitto, ma non ridimensionato, in seguito all’1-0 rimediato in trasferta contro la Lazio. Una gara giocata probabilmente meglio rispetto a quella di campionato pochi giorni fa, ma la sconfitta non deve gridare vendetta. Primo perché si giocava una competizione di cui poco gliene fregava a Massimiliano Allegri il quale è impegnato per conseguire l’obiettivo minimo stagionale ossia la qualificazione Champions.

Un organico troppo corto per disperdere energie inutili, i soliti problemi che la dirigenza dovrà obbligatoriamente (si spera) risolvere a gennaio. Una coperta eccessivamente inadeguatae una squadra che va in affanno quando mancano i suoi big.

Sebbene ce ne fosse ancora il bisogno, abbiamo capito che Estupinan non è da Milan, probabilmente nemmeno da Serie A, Ricci non è una mezzala, senza Modric Rabiot è un altro Milan, Leao ed Nkunku non sono punte centrali. Prima si capisce quest’ultimo concetto e meglio è. Il francese ieri sera a tratti imbarazzante, Leao decisamente in giornata no, e comunque fuori ruolo.

Serve un attaccante centrale e questa volta la dirigenza dovrà ascoltare Allegri. Serve un centrale difensivo così come serve a mio avviso anche un terzino destro. L’invito è quello di aprire il portafoglio e spendere soldi che in casa già ci sono. Siamo primi in classifica, fino a prova contraria, adesso è il momento di osare. Senza gli alibi e le scuse della Coppetta Italia.

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Atalanta: Palladino, la rivincita del tecnico “incompreso”

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Champions League

Palladino: dal fischio della Curva Fiesole al trionfo con la Dea, la settimana da sogno di un tecnico che il destino ha voluto premiare.

Palladino-Pradè: accoppiata perdente, sparite per il bene della nostra gente. Lo striscione della Curva Fiesole pendeva dalle gradinate, una freccia diretta ai dirigenti, colpevoli agli occhi dei tifosi di una stagione che non aveva soddisfatto.

Ma dietro le quinte, Raffaele Palladino continuava a tessere la sua tela, senza clamore ma con risultati concreti. Chiudere al sesto posto in campionato non era solo un numero: era il segno di un lavoro paziente, fatto di scelte giuste al momento giusto e di talenti valorizzati, come Moise Kean, esubero diventato ben presto asso nella manica oltre che un vanto per chi finalmente gli aveva cambiato radicalmente la carriera. Destinato a diventare il gioiello della Fiorentina. Di lui, durante l’ultima finestra di mercato, si temeva addirittura la partenza per poco più di 50 milioni, mentre solo dodici mesi prima era stato acquistato solamente per 13 milioni, una cifra che al tempo aveva fatto storcere il naso a molti, ma che ora sembrava quasi un affare d’altri tempi.

Palladino

RAFFAELE PALLADINO E MOISE KEAN ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

E Palladino? Nonostante tutto aveva deciso di pagare il prezzo più alto. Lasciare il progetto, rinunciare a un contratto pesante fino al 2027, accettare di diventare il capro espiatorio di una stagione forse mai compresa fino in fondo. Un gesto che parlava di responsabilità, ma anche di coraggio: di chi mette il bene della squadra davanti al proprio orgoglio, e accetta di camminare tra applausi e fischi, consapevole che la storia non giudica subito chi lavora nell’ombra.

Una decisione che, se da una parte aveva dato ragione a Palladino — con una Fiorentina ai minimi storici in qualsiasi competizione — dall’altra sembrava poter mettere a rischio la sua carriera. Prima dell’Atalanta, infatti, nessuno aveva pensato al suo nome, preferendo tecnici che, al netto dei risultati, avevano accumulato numeri ben più bassi nelle stagioni precedenti.

Palladino, tra karma e destino

Eppure il destino aveva altri piani. L’Atalanta, dopo aver interrotto il rapporto con Juric, ha affidato la panchina proprio a lui, regalando al tecnico un’occasione che pareva scritta già a aprtire dal suo terzo impegno con la Dea. Nel basket d’oltreoceano esiste un termine che descrive eventi che sembrano accadere per ragioni karmiche, una sorta di “you get what you deserve”, che in italiano si traduce con “Ecco quello che ti meriti”.

E ieri, intorno alle 18, Palladino ha incarnato perfettamente questa espressione. Dopo la vittoria contro il Francoforte in quello che è stato il suo esordio in Champions League, il tecnico ha replicato anche contro il suo passato, infliggendo un amaro destino alla sua ex squadra. Sfogliando l’almanacco delle retrocessioni dalla Serie A alla Serie B, emerge un dato impietoso: mai una squadra incapace di ottenere almeno una vittoria nelle prime tredici giornate è riuscita a salvarsi. E così, tra applausi e rimpianti, Palladino ha scritto un nuovo capitolo della sua storia, dimostrando che a volte il destino sembra davvero fare giustizia da sé.

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Milan, deadline gennaio 2026: una volta per tutte capiremo le intenzioni della dirigenza | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, c’è la data entro la quale capiremo, probabilmente una volta per tutte, le reali intenzioni della dirigenza e del club in generale. Vediamo meglio qui di seguito in dettaglio.

Il mese di gennaio 2026 sarà cruciale. Ogni occasione di mercato è importante, ma ritengo che questa lo sia ancora di più. Mi spiego meglio, finora quello che è sempre emerso dalla proprietà Gerry Cardinale è l’esigenza di centrare la qualificazione in Champions

E chi se ne frega se si arriva primi, oppure secondi, oppure terzi, oppure quarti. Entro le prime quattro posizioni va tutto bene. Ma è così anche per i tifosi rossoneri? Sicuramente no.

I presupposti per fare bene in questa stagione ci sono tutti. A oggi il Milan è secondo in classifica a soli due punti dalla capolista Roma e sulla panchina siede un tecnico capace e che ha dimostrato ampiamente di sapere vincere che risponde al nome di Massimiliano Allegri.

Ora la domanda è: cosa farà la dirigenza a gennaio? Accontenterà il tecnico con almeno 3 innesti di qualità in difesa, centrocampo e attacco oppure giocherà al risparmio forte dell’attuale rosa? Questo è lo snodo principale in seguito al quale capiremo meglio le reali intenzioni della proprietà AC Milan.

Acquistare tre prospetti di esperienza significherebbe lottare per lo scudetto senza minimamente nascondersi. Attendiamo sviluppi.

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