editoriale
Superlega-UEFA, è “guerra fredda”: i possibili scenari
Il 21 Dicembre 2023 verrà ricordato come il giorno della storica decisione della Corte di Giustizia Europea contro il monopolio UEFA: via libera alla Superlega?
Partiamo dall’elefante nella stanza: cosa è cambiato, nel concreto, da ieri per il mondo del calcio? Sostanzialmente nulla. E allora perché il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea ha delle proporzioni che sono state definite “storiche”?
Perché è la prima volta dal 1954 (anno di fondazione dell’organo regolatore del calcio internazionale) che l’esercizio del potere da parte del UEFA viene riconosciuto come monopolio. E, come tutti i monopoli, quindi illegale.
Una cosa che tutti sapevamo ma che, dal 21 Dicembre 2023 in poi, ha smesso di essere “formale” ed è divenuto “ufficiale“. A quasi tre anni di distanza (19 Aprile 2021) dall’annuncio che sconvolse il mondo del calcio, cosa è cambiato?
Ceferin: “Non ostacoleremo la Superlega“
Praticamente nulla, ripeto. A partire dalla posizione (ufficiale, ma non ufficiosa) del presidente del UEFA Aleksander Ceferin:
❝Oggi abbiamo avuto l’ulteriore conferma che quello della Superlega è un progetto chiuso e non aperto. Noi non proveremo a fermarli, non lo abbiamo mai fatto. Loro possono creare quello che vogliono. Io spero che inizino il prima possibile questa competizione con due club. Io spero che sappiano cosa stanno facendo, ma non ne sono sicuro.❞
Ceferin dice il vero: il UEFA non ha mai provato a impedire la nascita della Superlega. Ufficialmente, almeno. O per lo meno non lo ha fatto in misura maggiore rispetto a quanto non abbiano fatto i vari presidenti americani nel secondo dopoguerra, nell’ambito della lotta all’espansionismo sovietico.
La questione (ormai non più legale) fra UEFA e Superlega si muove sui binari della guerra fredda. Ufficialmente nessuna delle due ha intenzione di minare l’esistenza dell’altra. Entrambe le parti dichiarano pubblicamente di voler cercare un modo per coesistere. Dove l’ho già sentita questa?

Cosa ha detto la CURIA?
Nel comunicato rilasciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, si evince come “le norme della FIFA e del UEFA sull’autorizzazione preventiva delle competizioni calcistiche fra club violano il diritto dell’Unione“.
Come sottolineato anche dal Presidente della FIFA, Gianni Infantino, la sentenza della corte non cambia assolutamente nulla. UEFA e FIFA non hanno mai avuto intenzione di far ricorso a metodi coercitivi per impedire forzosamente ai club affiliati alle proprie federazione di unirsi a tornei internazionali organizzati da enti di terze parti.
Le dittature migliori non sono quelle palesemente repressive, ma quelle in cui vieni subdolamente spinto ad assecondare il regime tramite un sapiente uso del soft-power. Questo UEFA e FIFA lo sanno bene e infatti non esiste migliore strumento di deterrenza dello spauracchio di venire esclusi dai campionati nazionali.
Da questo punto di vista, la CURIA non può fare nulla poiché FIFA e UEFA sono libere di agire come meglio credono nei tornei posti sotto la propria giurisdizione. Lo scenario che viene a crearsi, dunque, è lo stesso di tre anni fa.

Superlega o no? Il dubbio amletico
I club saranno liberi di scegliere se aderire o meno alla Superlega, ma correndo il rischio di venire espulsi dai propri campionati di riferimento. L’utopia di A22, convinta di poter dare il calcio in mano a una cerchia ristretta di eletti, è destinata a rimanere tale.
Parliamoci chiaro. Il cosiddetto calcio moderno, quello che ci ha regalato il monopolio UEFA, fa schifo. E’ un sistema classista dove il gap fra le superpotenze europee e tutte le altre diviene anno dopo anno sempre più marcato.
I ricchi sono sempre più ricchi e i “poveri” non hanno nessuna speranza di poter competere con loro sul lungo periodo, venendo ineluttabilmente stritolati dal loro potere economico. Esso porta in sé tutti i crismi del modello capitalista occidentale, e come tale è un sistema fallimentare e destinato a implodere su sé stesso.
Tuttavia, non è detto che dall’altra parte si stia meglio. Se infatti Bernd Reichart (CEO di A22 Sports Management, agenzia fautrice del progetto della Superlega) si fa fregio di un nuovo modo di intendere le competizioni sportive basate sul modello socialista, altro non è che uno specchietto per le allodole.
Un sistema chiuso dove una cerchia ristretta di elitari si spartisce la stragrande maggioranza delle risorse non è socialismo, è oligarchia. L’estremizzazione più malata del capitalismo e quindi peggiore del capitalismo stesso.

Uefa Champions League ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
L’eterna lotta fra bene e male
Leggi anche: “Come cambia il formato della Superlega?“
Sembra di essere ritornati alla seconda metà del ‘900. Ai tempi del mondo bipolare e diviso in due tronconi. Da una parte l’ipocrisia dell’occidente che arringa le folle belanti fregiandosi di valori che in realtà non possiede.
Dall’altra, la becera autarchia orientale che si nasconde dietro la maschera di un ideale alto e nobile che però non rispecchia. La storia ci insegna che i buoni e i cattivi esistono solo nelle favole. La visione dicotomica del mondo che vorrebbe il bene da un lato e il male dall’altro è semplicistica.
La Superlega non è il diavolo che vuole sottomettere il pallone al Dio denaro (a quello ci ha già pensato il UEFA) e il binomio rappresentato da UEFA-FIFA non è il garante della meritocrazia calcistica. Così come l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti non erano poi tanto diversi tra loro, a differenza di quanto ci vogliano far credere. Del resto la storia la scrivono i potenti, non i vincitori.
Ai posteri l’ardua sentenza di chi sia “meno peggio di chi”. A noi altri non resta altro che attendere per capire su quali campi si combatterà la guerra fredda fra UEFA-FIFA e A22. Poiché, checché ne strillino da Nyon, il calcio ha smesso da tempo di essere dei tifosi. Siamo diventati semplici spettatori. Tutt’al più clienti. E tutto ciò che possiamo fare è continuare a guardare.
editoriale
Roma, Koné si conferma il mediano totale a cui manca l’ultimo passo
Roma – Dominatore del centrocampo con Gasperini, ma il francese fatica a incidere sotto porta. Numeri alla mano, il gol resta il grande assente…
Manu Koné è ad oggi uno dei centrocampisti più affidabili del campionato. Sotto la guida di Gasperini, il mediano francese sta confermando tutto il suo valore: precisione nei passaggi (91%), instancabile nel recupero palla (72) e autentico padrone dei contrasti, con ben 86 duelli vinti.
Numeri da top player, che però nascondono una lacuna evidente. A Koné manca l’altra metà del gioco: l’incisività negli ultimi metri, soprattutto in zona gol. Non per presenza, perché il suo movimento continuo lo porta spesso nei pressi dell’area avversaria, ma per scelta e freddezza.
Roma, Koné…provaci di più!
I dati del campionato 2025-26 parlano chiaro. In 16 presenze e 1440 minuti giocati, Koné ha tentato appena 9 conclusioni: 5 da fuori area e 4 dentro l’area, tra cui pesa il clamoroso errore ravvicinato contro il Bologna. Ancora più significativo è il dato sui tiri nello specchio: uno soltanto, in Roma-Udinese. Il suo xGOT si ferma a 0,05, un numero che fotografa perfettamente il problema.

MANU KONE GUARDA AVANTI ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Il confronto interno non lo aiuta: Mancini ha tirato quanto lui ma con maggiore precisione, mentre Cristante ha tentato ben 21 conclusioni, trovando la porta cinque volte. Koné corre, lotta e recupera come pochi, ma quando si tratta di finalizzare, si tira indietro.
Per diventare davvero completo, e smettere di sentirsi dire che “gli manca solo il gol”, Manu Koné dovrà osare di più. La qualità c’è tutta: ora serve il coraggio di provarci.
editoriale
Milan, difesa e attacco da paura: ma cosa aspettiamo? L’editoriale di Mauro Vigna
Milan, emergono grossi (sempre gli stessi) problemi. La dirigenza dovrà per forza metterci mano a gennaio. Ma in quale maniera?
Tutti i nodi vengono al pettine. Checché se ne dica, le continue lamentele (credetemi ci sono) di Massimiliano Allegri alla dirigenza finora hanno sortito alcun effetto, ma sempre più evidente è il fatto che il tecnico livornese abbia dannatamente ragione.
In estate c’erano gli stessi identici problemi attuali, qualcuno si è preoccupato di ascoltarlo? Rispondo io: no, nessuno. E i risultati sono quelli di una squadra carente in difesa e inesistente in attacco.
Leao non è un attaccante, Nkunku nemmeno e Pulisic sta tenendo in piedi la baracca sebbene anche lui non sia una prima punta. In difesa il trio Gabbia-Tomori e Pavlovic si stanno dimostrando dei discreti mestieranti se il centrocampo non perde colpi. Quando invece accade, vanno in affanno perché, come detto, di fenomeni non ce ne sono.
Serve mettere mano, ma in modo deciso, a difesa e attacco. La soluzione può essere Thiago Silva? Assolutamente no, 41 anni e oltre 40 partite giocate. E in attacco la soluzione può essere Fullkrug? Uno che in due anni ha segnato meno di Gimenez? Ed è tutto detto?
Dispiace perché così facendo la dirigenza, esclusivamente lei, sta buttando alle ortiche il miracolo calcistico portato avanti da Allegri da agosto fino adesso. Basterebbe poco, due rinforzi di qualità ed esperienza e le cose migliorerebbero. Ma forti, non un 41enne e un attaccante che la porta non la vede nemmeno più col binocolo.
editoriale
Serie A, a quanto oscilla il prezzo degli infortuni?
Uno studio inglese rivela l’impatto economico degli stop fisici nei top campionati europei: in cinque anni il calcio ha perso 3,45 miliardi di euro. Ecco quali squadre di Serie A ci hanno rimesso di più.
Uno studio inglese ha acceso i riflettori su un aspetto sempre più centrale del calcio moderno: il costo degli infortuni. Il Men’s European Football Injury Index, presentato a Londra da Howden – gruppo intermediario di assicurazione – ha analizzato i dati sugli infortuni negli ultimi cinque anni nei principali campionati europei, misurandone frequenza, gravità e impatto economico in termini di stipendi pagati a giocatori indisponibili.
I numeri sono imponenti. Secondo quanto riportato dalla Gazzetta dello Sport, nelle top leghe europee gli infortuni sono costati complessivamente 3,45 miliardi di euro negli ultimi cinque anni. La Serie A, pur restando lontana dai livelli della Premier League (che spende in media 275,83 milioni di euro a stagione), sfiora comunque il mezzo miliardo di euro complessivo.
Serie A, troppi soldi bruciati per gli stop
Solo nell’ultima stagione di Serie A, gli stipendi versati a giocatori infortunati hanno raggiunto quota 103,14 milioni di euro. Nel periodo compreso tra il 2020-21 e il 2024-25, i club italiani hanno pagato complessivamente 495,23 milioni di euro, con una media di 99,05 milioni a stagione.
Dal punto di vista sportivo, nello stesso arco temporale si sono registrati 3.967 infortuni in Serie A, il quarto dato tra le cinque principali leghe europee. In media, ogni stagione ha fatto segnare circa 793 infortuni, con uno stop medio di 20,15 giorni per giocatore, uno dei valori più alti in Europa. Il trend, inoltre, è in crescita: nella stagione 2024-25 si è arrivati a una media di 43 infortuni per squadra, otto in più rispetto all’anno precedente.
A spiccare sono soprattutto Juventus e Milan, le uniche due squadre costantemente sopra la media del campionato nelle ultime cinque stagioni. I bianconeri hanno toccato il picco nel 2021-22 con 91 infortuni, per poi chiudere l’ultima stagione a quota 56. Complessivamente, la Juventus ha speso 97,71 milioni di euro in stipendi per giocatori infortunati, quasi 20 milioni a stagione.

Il Milan, invece, ha oscillato tra i 61 infortuni del 2020-21 e i 51 del 2023-24, chiudendo il 2024-25 con 58 stop, il secondo dato più alto della Serie A. Per i rossoneri il conto totale degli infortuni nelle cinque stagioni analizzate è stato di 48,99 milioni di euro.
Numeri che raccontano una realtà chiara: gli infortuni non sono solo un problema tecnico e sportivo, ma rappresentano un peso economico sempre più rilevante per i club.
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