Le interviste
Esclusiva CS – Delio Rossi: “Foggia il mio mondo. Scudetto Lazio? I biancocelesti possono farcela”
Delio Rossi, oltre che ad essere l’Allenatore dei Sogni ed “il Profeta”, è un romagnolo dal cuore grande, così grande, da riuscire a contenere l’amore per due squadre: il Foggia e la Lazio. La prima, la squadra dove tutto ebbe inizio, la seconda, quella della consacrazione. Ieri, la redazione di CalcioStyle.it ha avuto l’onore di intervistare mister Delio Rossi, e insieme abbiamo ripercorso le tappe più importanti della sua carriera nelle vesti di giocatore prima e allenatore poi.
Face to Face con Delio Rossi
Soddisfatto della ripresa della Serie A?
Dal punto di vista sportivo, per uno come me che è amante del calcio, non avrebbe senso non vedere ripartire la Serie A – nostra terza industria italiana -, e insieme a questa dovrebbero seguire gli altri campionati come i settori giovanili e le serie minori: il calcio dovrebbe essere uguale a tutte le latitudini.
Che calcio vedremo?
Non lo so. Posso semplicemente affermare che sarà un calcio diverso. Non ci sarà il pubblico, si giocherà d’estate e con delle limitazioni… è un po una spada di Damocle sulla testa. Per me quello che andrà in onda non sarà calcio però bisognerà fare di necessità virtù.
Lasciamo il presente e passiamo agli amarcord, termine tra l’altro romagnolo come lei. Nella sua carriera da giocatore ha vestito la maglia del Foggia. Che ricordo ha di quegli anni?
Quando sono arrivato a Foggia era la prima volta che mettevo piede fuori dalla mia Romagna.
Arrivai in capitanata e mi si aprì un mondo davanti: sia dal punto di vista sportivo che dal punto di vista umano, avendo conosciuto lì mia moglie.

Delio Rossi con la maglia del Foggia di Zeman
Che tipo di allenatore era Zeman?
Zeman è stato una rivoluzione copernicana. Con lui abbiamo scoperto qualcosa che prima di allora, almeno per noi, non esisteva. Un esempio? Eravamo abituati a giocare a uomo mentre con lui siamo passati alla zona totale; ma non è tutto. Zdenek impostava tutto sul lavoro fisico e i suoi allenamenti erano davvero massacranti ma, come in tutte le cose, poi ti ci abitui e tutto diventava come una droga: per tenere quel ritmo ti allenavi sempre di più.
Come mai è rimasto così legato a questo club?
La mia carriera da giocatore è praticamente iniziata a Foggia: è qui che ho conosciuto mia moglie ed è qui che sono nati i miei figli; questa città era il mio mondo e resta il mio punto di riferimento. Dopo sei anni in rossonero ho giocato due anni a Pesaro e un anno ad Andria; qui un infortunio al ginocchio mi costrinse ad appendere gli scarpini al chiodo. In seguito ho iniziato ad allenare sedendo sulla panchina della Torremaggiore, nei dilettanti, giocando anche sui campi del Monte Sant’Angelo. Riuscii a portare la squadra in eccellenza vincendo il campionato dopodiché sono entrato nelle giovanili del Foggia. Qui ho fatto tutta la trafila fino ad allenare la Primavera. Pensavo di rimanere in quel club ma il Presidente Casillo aveva problemi finanziari sia col club che con le sue aziende; oltre che del Foggia (in Serie A) era proprietario di altri due club: Bologna (Serie B) e Salernitana (Serie C). Quest’ultima era in vendita e, dopo il mancato accordo per la cessione, chiamarono me in panchina per ricoprire il ruolo di allenatore: questa esperienza ha rappresentato la svolta della mia carriera, ma tutto è sempre partito da Foggia.

Delio Rossi dopo la storica promozione della Salernitana
Lasciamo il Gargano per passare a Roma, sponda biancoceleste. Nel 2005 arriva a sedere sulla panchina della Lazio.
Arrivai alla Lazio dopo una breve esperienza sulla panchina dell’Atalanta e per me il club biancoceleste era molto importante: entravo in Serie A dalla porta principale. Erano i primi anni di Lotito e la società aveva dei grossi problemi finanziari: avevamo il nome di una squadra blasonata ma non avevamo le disponibilità economiche per fare acquisti che ci permettessero di competere con le altre big. Arrivai in una piazza importante da perfetto sconosciuto e, tra l’altro, i biancocelesti venivano da anni importanti; durante l’era Cragnotti avevano i migliori giocatori del mondo. Entrai in punta di piedi lavorando sodo e mettendomi a disposizione dei giocatori e dell’ambiente e pian piano sono venuti fuori buoni risultati.
L’anno seguente, nonostante la penalizzazione, la Lazio conquista il terzo posto e le viene assegnato il premio di allenatore dei sogni.
Quell’anno partivo con una marcia in più avendo conosciuto meglio l’ambiente. Non avevamo soldi per fare acquisti importanti ma grazie al lavoro del direttore sportivo, bravo nel trovare giocatori funzionali, passammo da un 4-4-2 a un 4-3-1-2 e questo rappresentò la svolta di un anno in cui riuscimmo ad arrivare in Champions League.
Il 10 dicembre 2006 si aggiudica il derby cittadino battendo per ben 3-0 la Roma. Ci racconta del tuffo notturno nella Fontana del Gianicolo?
In quel periodo frequentavo una comunità di ragazze madri e orfani gestita da una tifosissima laziale: Suor Paola. Tutti i giovedì, insieme alla squadra andavamo lì; era diventata una consuetudine. Ci siamo andati anche il giovedì prima del derby e a cena Suor Paola mi disse: “Se domenica battiamo la Roma io mi faccio il bagno nella fontana”. Io scherzando risposi: “Se lo fai tu, lo faccio anche io”. La domenica sera vincemmo il derby e in sala stampa i giornalisti mi chiesero se davvero, per festeggiare la vittoria, mi sarei tuffato nella fontana. In quel momento non mi tornavano i conti. Quando parlammo di questa cosa c’eravamo solo io e Suor Paola e dato che con noi non vi era nessun altro, qualcuno si era venduto la notizia. Io non ero stato e quindi… Comunque dopo la gara, rientrando nel centro sportivo col team manager, mi arrivò una telefonata da Suor Paola che mi disse. “Io son qui ad aspettarti”. Io mi arrabbiai perché era una cosa privata, la partita non c’entrava nulla con tutto ciò, per me quello quasi un voto; una promessa espletata ad un’ecclesiastica. Lei comunque controbatté dicendomi che non ero una persona che mantiene fede alle promesse ecc… tant’è che mi recai lì e il bagno alla fine lo feci solo io: Suor Paola mi diede buca.

Tuffo di Delio Rossi nella Fontana del Gianicolo
Nella stagione 2008-2009 “il Profeta” porta la Lazio alla vittoria della Coppa Italia.
Arrivai a quella gara con la consapevolezza di essere arrivato a Roma da perfetto sconosciuto. La Lazio era vittima di molte contestazioni e allo stadio, quella stagione, veniva pochissima gente a vedere le partite. Dentro di me mi ero ripromesso di fargli vedere una squadra che giocava bene a calcio con l’intenzione di far riempire l’Olimpico: stadio che se si riempie vuol dire che stai facendo bene e che ti stai giocando qualcosa di importante. Sapevo, tra l’altro, che quella sarebbe stata la mia ultima partita; il mio contratto era in scadenza e di comune accordo con Lotito decidemmo di non trattare per il rinnovo. Con quella gara mi giocavo tutto e stavo per esaudire il mio sogno: vincere un trofeo con la Lazio davanti a uno stadio pieno di tifosi.

Delio Rossi dopo la vittoria della Coppa Italia con la Lazio
Con la Lazio ha messo un record, la vittoria di 4-2 ai danni della Roma.
Premetto che il derby a Roma non è una partita come le altre. Con altre squadre il derby dura magari una settimana prima e una dopo, ma nella capitale il derby dura tutto l’anno. Se hai la fortuna di vincere entrambi gli scontri sei osannato, se lo perdi e magari vinci le altre gare non è la stessa cosa: nella città eterna il derby vale più di 3 punti.
Ricordo che stavamo andando molto male in campionato e il presidente decise di portarci in ritiro. A Norcia, quella, fu una settimana travagliata e a quel derby arrivammo da sfavoriti contro una Roma che, sulla carta, era molto più forte di noi. Riuscimmo a fare un ottima partita battendo i giallorossi 4-2. Concludo dicendo che ogni derby ti lascia un ricordo particolare.
Che tipo di giocatore era Igli Tare e come lo giudica nelle vesti di direttore sportivo?
Igli Tare era già un giocatore formato quando arrivò alla Lazio. Aveva più di trent’anni e veniva da una carriera importante con esperienza anche all’estero. Era volenteroso, molto forte fisicamente ed eccelleva soprattutto nel gioco aereo. Era un tipico attaccante di prestanza fisica e soprattutto un ragazzo molto intelligente. Conosceva già tante lingue e si rapportava bene con i compagni e staff. Ho gestito io il suo fine carriera da giocatore e l’inizio della sua nuova carriera nelle vesti di dirigente. Andò via Walter Sabatini e il presidente decise di affidargli l’incarico di direttore sportivo. Io ero d’accordo nell’affidargli l’incarico ma volevo che venisse affiancato almeno il primo anno da una figura esperta. Lui comunque si mostrò sin da subito bravo e intelligente, e devo ammettere che Lotito con lui ci vide lontano.
Come giudica l’operato di Simone Inzaghi?
Simone anzitutto è uno della Lazio e conosce tutti i meandri del mondo biancoceleste: tifo, società e soprattutto ha un ottimo rapporto con il direttore sportivo Igli Tare. È anche amico di un altro dirigente laziale, Angelo Peruzzi (campione del mondo e giocatore che ho avuto l’onore di allenare), con il quale sono stati compagni di squadra di quella Lazio fortissima di Cragnotti. Simone in questa esperienza ci ha messo del suo perché non è facile essere un grande calciatore e dimostrarsi tale come allenatore. Con lui ho avuto un ottimo rapporto aldilà del punto di vista professionale, e quindi il mio giudizio è anche dettato dal bene che gli voglio.
La Lazio rientra ancora nella corsa scudetto?
Assolutamente sì. La Lazio veniva da un trend positivo e il coronavirus è stato un intralcio sul loro percorso ma, bisogna ammettere, che dal punto di vista tecnico ci sono squadre più attrezzate dei biancocelesti. Un esempio? L’Inter, la Juve e il Napoli sono superiori alla lazio in linea generale. Il bello del calcio, comunque, è che le partite le devi giocare e sotto questo punto di vista la Lazio, dato il momento positivo, può far leva sullo stato d’animo dei giocatori cercando di sfruttare il momento. Mi auguro che la Lazio riesca a vincere lo scudetto così che possa coronare il sogno di ogni tifoso.
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Carlo Nervo: “Il Bologna può arrivare in Europa quest’anno ha una rosa molto competitiva. Nazionale? Ci sono troppi…”
L’ex centrocampista del Bologna Carlo Nervo (1994-2005, 2006-2007) ha parlato ai nostri microfoni della’attuale situazione dei rossoblù, sulla lotta Scudetto in Serie A e molto altro.
In un’intervista di 5 minuti, Carlo Nervo ha detto la sua su come può andare il Bologna questa stagione, parlando anche di giocatori come Bernardeschi e Orsolini, e anche dell’allenatore dei rossoblù Vincenzo Italiano.
Inoltre ha analizzato anche la situazione della Nazionale Italiana e del motivo per cui, secondo lui, gli Azzurri stanno vivendo un momento così complicato.
Di seguito, l’intervista di Carlo Nervo.
Le parole di Carlo Nervo
Dove può arrivare questo Bologna in campionato e in coppa?
“Vista espressione di gioco e i risultati, può arrivare in alto. Secondo me l’Europa dovrebbe essere la giusta posizione, però sognare non costa niente. Le altre squadre sono forti, però il Bologna li ha messi sotto”.
Secondo lei il Bologna ha bisogno di rinforzarsi nel mercato di gennaio, visti alcuni infortuni sulle fasce?
” A mio avviso, a parte gli infortuni, la rosa é completa. Immobile, al momento, é fuori ma é un giocatore forte che segna molti gol: inoltre la crescita di Bernardeschi é stata importante. Secondo me la rosa é molto competitiva, io non toccherei niente”.
Chi vince il campionato?
“Bella domanda, magari il Bologna. No, io vedo il Milan che può insidiarsi”.
Quindi Allegri con il suo Corto Muso?
“Secondo me hanno una bella rosa e un allenatore che sa vincere”.
Italiano é un pò sottovalutato come allenatore?
“No, non é sottovalutato, nel senso che lui é già in una grande squadra, perché il Bologna é una grande squadra”.

VINCENZO ITALIANO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Un aggettivo per l’allenatore e per quello che sta facendo?
“Consapevole: lui é consapevole di essere in una grande piazza”.
Orsolini? E’ un Nervo 2.0
“No, secondo me è più forte. Vede molto la porta, ma soprattutto é un ragazzo per bene che é legato alla città e alla maglia. Quindi deve continuare come sta facendo”.
Adesso nella Nazionale Italiana c’é meno abbondanza di grandi giocatori. Come si può risolvere questa cosa?
“Ai miei tempi per andare in Nazionale dovevi essere forte. Adesso fai dieci partite bene in Serie A e ti chiamano in Nazionale. Non ci sono i campioni come Del Piero e Totti: bisognerà analizzare perché non vengono fuori questi talenti qui in Italia, e valutare tutti i settori giovanili.
Poi, troppi stranieri: quando c’ero io arrivavano i top player stranieri, ora ci sono giocatori che trovi anche in Serie B, in Serie C. Hanno un cognome difficile, quindi impattano sul pubblico. E poi un’altra cosa, meno potere e procuratori”.
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Giulio Scarpati: “La Roma non ha l’obbligo di vincere, per questo oggi vola. Gasperini ha cambiato tutto: ora la squadra corre fino al 90°”
Lo storico volto di Un Medico in Famiglia e romanista dichiarato, Giulio Scarpati ha raccontato ai nostri microfoni una vita intrecciata al giallorosso: dagli anni dell’alzabandiera sempre ammainato alle domeniche allo stadio con il fratello, fino allo sguardo lucido sulla Roma di oggi.
In una lunga intervista, Scarpati ha condiviso le sue opinioni sul lavoro di Gasperini, il momento della squadra, gli obiettivi stagionali e la crisi della Nazionale. Un dialogo sincero, appassionato, a tratti critico, che ci rivelato l’anima di un tifoso autentico, oltre che di un grande attore.
Di seguito, l’intervista di Giulio Scarpati.
Le parole di Giulio Scarpati
Ci vuole parlare del suo legame con la Roma?
“Essere tifoso della Roma significa, prima di tutto, accettare una certa dose di sofferenza. Negli anni ’60 la squadra non era certo tra le grandi. La Juventus ci passava spesso i suoi “bidoni”, giocatori ormai a fine carriera. Per fortuna, con il tempo, la società è cresciuta e si è strutturata molto meglio. La mia passione è nata grazie a mio fratello maggiore, romanista sfegatato. A casa avevamo l’alzabandiera da issare quando la Roma vinceva, ma non lo usavamo quasi mai… le vittorie erano rare, così la bandiera rimaneva per lo più ammainata. Ricordo anche che quando la Roma vinceva, ritagliavamo i titoli di giornale e li attaccavamo in camera. Da bambino andavo anche tanto spesso allo stadio con la tessera dello Junior Club, sempre assieme a mio fratello.
Da attore, poi, mi è capitato di giocare più volte con la Nazionale degli Attori, allenata da Giacomo Losi: una persona straordinaria. Mi dava ottimi consigli su come migliorare in difesa, il ruolo in cui giocavo. Io e mio fratello abbiamo sempre seguito la Roma, nel bene e nel male. Forse avremmo potuto vincere qualcosa di più, ma proprio perché si vince poco, quando succede la gioia è enorme. I festeggiamenti per uno Scudetto a Roma…a Torino se li sognano!”
Mettiamo da parte il passato e guardiamo al presente: avrebbe mai immaginato a inizio stagione questa Roma capolista?
“Assolutamente no, devo essere sincero. Però riponevo molta fiducia in Gasperini, che sa fare benissimo il suo lavoro. Si è integrato in modo sorprendente e credo che anche il lavoro miracoloso fatto da Ranieri l’anno scorso lo abbia agevolato. Peccato per quella Champions sfiorata di un punto. Chissà, magari con altre due partite ci saremmo qualificati noi al posto della Juventus… Da tifoso, comunque, sono felicissimo del percorso che stiamo facendo.”
È davvero soddisfatto in tutto?
“Beh, l’unica ombra, finora, è l’Europa League. Non stiamo brillando e migliorare la classifica sarà complicato, soprattutto con tutte le partite ravvicinate. L’obiettivo sarebbe entrare tra le prime otto, ma la vedo dura. Detto ciò, resto ottimista: per me è già molto ciò che la squadra ha fatto finora.”
Dove si nota maggiormente la mano di Gasperini?
“Ha ridato motivazione a tanti giocatori. Penso a Pellegrini, che sta vivendo una vera e propria rinascita. Anche il gioco è cambiato. Oggi le partite sono più dinamiche, divertenti, c’è una chiara volontà di dominare l’avversario – una sensazione che, con tutto il rispetto, si percepiva meno nell’era Mourinho. Gasperini è l’allenatore ideale per questo gruppo, e lo dimostra la condizione atletica: la Roma corre e pressa fino al 90°, è un miglioramento enorme. Serve però che gli attaccanti inizino a segnare con più continuità, quello resta un problema.”

GIAN PIERO GASPERINI DA INDICAZIONI AI SUOI RAGAZZI. IN EVIDENZA EL AYNAOUI E TSIMIKAS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
La Roma ha subito solo cinque gol diventando così la miglior difesa del campionato. Come se lo spiega?
“Molto merito va a Svilar, che sta facendo miracoli. Negli ultimi anni abbiamo avuto portieri straordinari – da Alisson a Szczęsny – e lui sta seguendo quella scia. C’è poi la crescita di Mancini e, più in generale, l’organizzazione difensiva plasmata da Gasp. Non c’è un singolo leader: la forza è il gruppo. Ed è bello vedere che l’allenatore coinvolga tutti, soprattutto i giovani come Pisilli.”
Si può dire allora che Gasperini sia un allenatore che sposta gli equilibri? Guardando l’Atalanta con Juric verrebbe da pensarlo…
“Al di là del valore di Gasperini, credo che Juric abbia limiti nella gestione del gruppo. È suscettibile e comunica poco coi giocatori. Gasperini, anche quando si arrabbia, lo fa per stimolare. Juric non mi è sembrato ancora abbastanza maturo per allenare una grande squadra.”
Non teme un calo di rendimento della rosa?
“La vera incognita restano gli infortuni. Dybala è un valore assoluto, ma purtroppo non garantisce continuità. A questo si aggiunge il vincolo del fair play finanziario, che ha limitato la possibilità di intervenire sul mercato con innesti mirati. Detto ciò, apprezzo molto il lavoro della società e, in particolare, l’impronta lasciata da Ranieri: si sarà capito che ho un debole per lui! Lo stimo profondamente per come l’anno scorso è riuscito a risollevare la squadra.”
C’è qualcosa che la Roma ha più degli altri top club?
“Sì, ha un vantaggio psicologico enorme. Non ha l’obbligo di vincere sempre e comunque, come accade invece a Inter o Napoli. E questo, in campo, pesa eccome.”
Eppure, negli scontri diretti la squadra fatica…
“Diciamo che molti avversari contro cui abbiamo perso erano più attrezzati. Col Milan abbiamo sbagliato l’approccio perché siamo sì partiti fortissimo, ma non siamo mai riusciti a concretizzare. Con l’Inter il divario tecnico si è visto. Non credo ci sia un problema strutturale negli scontri diretti; piuttosto dobbiamo essere più cinici quando le occasioni capitano, perché in partite del genere non sono mai tante.”
Che idea si è fatto delle altre big del campionato?
“Sono certo che la Juventus con Spalletti adesso crescerà moltissimo. L’Inter è fortissima ma talvolta vince anche con un po’ di fortuna, ed è quella che temo di più. Il Milan mi sembra più solido dello scorso anno. Il Napoli con Conte non mollerà un centimetro: è tignoso e combatterà fino alla fine anche se ora è in difficoltà.”

L’ESULTANZA URLO DI ANTONIO CONTE DOPO IL GOL DI SPINAZZOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Qual è l’obiettivo minimo della Roma?
“La Coppa Italia.”
Perché proprio la Coppa Italia?
“Perché sarebbe fantastico vincere la decima.”
E l’obiettivo più grande, invece?
“Tornare a giocare in Champions. È un qualcosa di fondamentale anche a livello economico.”
Passiamo alla Nazionale. Cosa ne pensa della disfatta contro la Norvegia?
“È stata una partita strana. Nel primo tempo abbiamo fatto meglio noi, loro sembravano quasi in vacanza. Poi, quando la Norvegia ha iniziato a far valere la sua qualità, l’Italia ha perso ritmo ed è andata in blackout. Purtroppo, in Nazionale il problema è molto più profondo di quanto sembri…”
A cosa si riferisce?
“Al fatto che da anni la Nazionale non esprime un gioco convincente. I club hanno ormai un peso enorme e i raduni non sono più quelli di una volta. Spalletti, secondo me, ha fallito proprio per questo: non ha avuto il tempo necessario per costruire un’identità di gruppo.”
Che ne pensa invece di Gattuso?
“È un allenatore onesto, diretto, che dice ai giocatori ciò che pensa. Lo apprezzo molto.”
Ora che i playoff sono una realtà, ritiene che l’Italia riuscirà a supererli?
“Se incroceremo squadre meno attrezzate di noi, credo proprio di sì. E speriamo anche in un pizzico di fortuna, che non guasta mai.”

MATEO RETEGUI RAMMARICATO ( FOTO KEYPRESS )
Le bombe di Vlad
LBDV presenta: “Il portiere di Ceaușescu” e “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio”
Domenica 16 novembre, alle ore 18.00, il Punk Roma (Via dei Durantini 18, Roma) ospiterà un evento speciale dedicato alla letteratura sportiva e alla cultura calcistica.
Protagonisti della serata saranno due firme d’eccezione: Guy Chiappaventi, giornalista di La7, autore del libro “Il portiere di Ceaușescu” (Bibliotheka Edizioni), e Ciro Romano, caporedattore di LBDV, che presenterà “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio” (Garrincha Edizioni).
A dialogare con gli autori ci sarà Daniele Garbo, giornalista sportivo già volto di Mediaset e Direttore Editoriale di LBDV, mentre la presentazione sarà affidata al giornalista di Le Bombe di Vlad, Alberto Caccia.
L’incontro rappresenta un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di calcio, giornalismo e narrazione sportiva. Due libri diversi ma accomunati da una stessa passione: quella per il pallone e per le storie che lo rendono eterno.
Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe
Una storia lunga quasi quarant’anni e undici metri, la storia di quando una squadra di sconosciuti strappò il titolo più importante del calcio europeo – la Coppa dei Campioni – a una superpotenza, il Barcellona.
Era la notte magica del 7 maggio 1986 quando, nello stadio di Siviglia, Helmut Duckadam, allora ventisettenne, riuscì nell’impresa di parare tutti e quattro i rigori dei giocatori catalani consentendo alla Steaua Bucarest di laurearsi campione d’Europa, prima volta per una squadra dell’Est. Una notte di felicità per un popolo che viveva con le luci spente, senza riscaldamento e con il frigorifero vuoto.
Quando la Steaua rientrò in Romania, all’aeroporto 15 mila persone accolsero i giocatori e almeno altrettante scesero in strada per seguire il tragitto del pullman fino a Bucarest. Fu un fatto insolito per la Romania comunista, dove le manifestazioni spontanee di piazza erano vietate, ma il regime volle capitalizzare la vittoria. Il presidente Ceaușescu invitò la squadra a palazzo e Duckadam diventò per sempre l’eroe di Siviglia.
L’autore
Giornalista, inviato del tg La7. Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise. Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.
Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio
Ciro Romano ci racconta le gesta dello storico portiere olandese Jongbloed, eroe dell’arancia meccanica di sua maestà Cruijff . Un viaggio dentro la vita di uno dei calciatori più importanti della sua era. Non una monografia, dimenticate i tabellini, quello che troverete in queste pagine è l’atmosfera, è l’uomo prima del calciatore, è la storia prima dei gol, è il lato nascosto del pallone. Preparatevi, riavvolgete il nastro, premete play e godetevi questa partita di carta e inchiostri, inseguendo in campo un calciatore indimenticabile. Una nuova figurina letteraria da collezionare, una nuova figurina per completare lo scaffale dei campioni.
L’autore
Ciro Romano vive a Salerno è avvocato, abilitato alle Magistrature Superiori. Guarda il calcio dall’età di tre anni, e ne scrive per testate giornalistiche e pagine social. Prima per passione, poi per motivi professionali, diventa esperto di tifo radicale. Tiene conferenze e partecipa a dibattiti pubblici per l’abolizione alle limitazioni di legge al tifo e agli spostamenti delle tifoserie.
Ha pubblicato “Volevo solo giocare a ping pong” (Caffèorchidea).
(Foto: DepositPhotos)
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