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Angelo Ogbonna e l’esperienza in Premier League: dal Covid agli stadi più belli

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Appena arrivato in Inghilterra, ho subito capito che, per favorire l’ambientamento dei nuovi acquisti, un ruolo molto importante ce l’ha il capitano, che si assicura sempre che un nuovo arrivato possa sentirsi immediatamente a suo agio. Le parole sono quelle di Angelo Ogbonna, che ha rilasciato alcune dichiarazioni molto interessanti in un’intervista pubblicata su L’insider.

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Dalla Serie A alla Premier League

Il passaggio dalla Serie A al calcio inglese, sotto il profilo esclusivamente ambientale, secondo Ogbonna non è stato così difficile. Anche per via del fatto che, abitando a Londra, lo stile di vita è molto internazionale. C’è qualche differenza probabilmente nello stile e nel modo di vestire, ma difficoltà particolari dal punto di vista dell’ambientamento non ce ne sono state, imparando nel corso del tempo a distinguere pure i vari accenti.

Dal punto di vista professionale, invece, qualche differenza l’ex difensore della Juventus l’ha trovata. il modo di arbitrare è differente. In Premier League, come ben sanno tutti gli appassionati di scommesse calcio, si gioca con un’intensità totalmente differente. Un calcio molto più veloce e, con la presenza di diversi anni allenatori stranieri, un’evoluzione notevole anche rispetto al vecchio calcio inglese.

Proprio per questo motivo, gli arbitri tendono a non fermare molto il gioco. Il difensore inglese, trova un modo di giocare che esalta soprattutto chi ama andare a contrasto. Si lascia correre molto e il contatto fisico viene accettato, ma come ribadisce Ogbonna, c’è la massima accettazione alla correzione di eventuali errori usando il Var.

Sotto il profilo tecnico, il difensore del West Ham mette in evidenza come abbia dovuto migliorare nell’intensità della partita. Si gioca molto più rapidamente e senza pause: in Italia ci sono molte squadre attendiste, mentre in Premier League c’è sempre grande voglia di sfidare a viso aperto gli avversari, senza avere alcun tipo di timore reverenziale, sempre però con grande rispetto.

L’impatto della pandemia

Ogbonna ha ammesso che, dal punto di vista psicologico, l’evoluzione dei contagi e di tutta questa situazione, non abbia avuto un grande impatto sulla sua quotidianità. Più che altro, i riflessi sono a livello fisico, perché giocare ogni tre giorni, anche con il fatto che in Premier League non ci si ferma mai, dove anche durante il periodo natalizio ci sono tantissime partite da giocare, comporta un notevole stress a livello fisico. E sarà una stagione lunghissima, considerando anche l’Europeo a giugno.

Giocare in uno stadio vuoto invece? Si parla del fatto che vadano ad azzerare il fattore casa oppure il fattore trasferta. Giocare senza avere i tifosi della propria parte è un po’ come giocare in allenamento e fa moltissimo, soprattutto in Premier League, visto che praticamente tutti gli stadi sono sempre pieni. Un aspetto che fa la differenza: Ogbonna sottolinea come ci siano stadi dove, di solito, l’apporto e il calore trasmesso dal pubblico permettono alla squadra di casa di andare oltre le proprie capacità e di dare qualcosa in più che fa soffrire anche le grandi squadre. Insomma, è innegabile che i tifosi rappresentino sempre un uomo in più, soprattutto in Inghilterra.

Gli stadi indimenticabili

Lo stadio più bello? Per Ogbonna ce ne sono diversi oltre a quello di casa del West Ham. Ad esempio, quello del Tottenham, ma anche Anfield garantisce sempre un’atmosfera molto bella e coinvolgente, e lo stesso discorso vale anche per Goodison Park, la casa dell’Everton.

L’ex difensore del Toro e della Juve, ha ammesso come sia difficile scegliere solo uno stadio, dato che sono tanti quelli in grado di emozionare. Secondo Ogbonna, inoltre, è giusto che ci sia anche un clima un pochino sopra le righe ogni tanto, visto che tutto questo fa parte del gioco. Certo, ormai tutti attendono con impazienza di tornare in campo con i tifosi allo stadio, visto che ne beneficerà l’intensità e lo spettacolo.

Fondatore e Direttore Editoriale della testata giornalistica Calciostyle.it. Nato a Roma, classe 1981.

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Roma-Milan 2-1, De Rossi inchioda il Diavolo: le pagelle

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Milan

Roma-Milan 2-1, i capitolini battono i rossoneri e si guadagnano il passaggio del turno in Europa League. All’Olimpico i giallorossi si impongono grazie ai gol di Mancini e Dybala. A nulla è servito il gol di Gabbia nel finale.

Maignan 6: ultimamente gli tocca spesso raccogliere palloni alle sue spalle, ma di colpe ne ha ben poche.

Calabria 4: concorso di colpa con il tecnico che lo utilizza (sbagliando) a centrocampo (dal 46 Reijnders 5: inspiegabile questo cambio)

Gabbia 5,5: errore su Dybala, ma tiene botta e segna la rete dei rossoneri

Tomori 5: cerca di reggere una situazione non facile. Balla in maniera eccessiva, ma ha l’attenuante del rientro

Theo Hernandez 4: si vede poco e si fa espellere nel finale

Musah 5: si innamora troppo del pallone, ma ha grinta da vendere. Uno dei meno peggio

Bennacer 5: prova complicata, viene sostituito per lasciare spazio ad un altro attaccante (dal 40’ Jovic 4: non incide)

Pulisic 4,5: sbaglia troppi palloni, la peggiore partita da quando è al Milan

Loftus-Cheek 4: in un pessimo stato di forma, si vede praticamente mai (dal 46’ Chukwueze 6: il più in forma)

Leao 3: grandi premesse, ma imbarazzante e al limite dell’irritante

Giroud 3: non gli si può chiedere di più, non ne ha

Pioli 2: sbaglia tutto, cambi inspiegabili e sotto l’aspetto della mentalità in campo non si commenta nemmeno. Subìsce in due occasioni una lezione di calcio da De Rossi

 

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Cannavaro: “La mia Juve era fortissima. Al Real non è permesso sbagliare nulla”

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Fabio Cannavaro

Fabio Cannavaro ha parlato ai microfoni di Radio Serie A soffermandosi in particolare sulle avventure con le maglie di Juventus e Real Madrid.

Fabio Cannavaro, leggenda del calcio italiano, è intervenuto ai microfoni di Radio Serie A ricordando i tempi dell’esperienze con le maglie di Juventus e Real Madrid.

Cannavaro

Le parole di Cannavaro

“Dopo l’Inter trascorsi due anni a Torino dove i tifosi mi ritennero da subito ai livelli di Buffon e Del Piero, anche perché sul campo ho sempre garantito prestazioni importanti. Lì sono stato bene, ci hanno annullato due campionati ma la realtà è che quella era una Juve fortissima. Poi nel 2006 la società mi fece capire che c’era la necessità di cedere qualcuno e mi avvertirono della trattativa con il Real Madrid. Quando arrivi lì e visiti la sala trofei del club ti rendi conto che con quella maglia addosso non è permesso sbagliare nulla”

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Pippo Inzaghi: “Mio fratello dopo la finale di Champions ha fatto il salto definitivo”

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Pippo Inzaghi

Filippo Inzaghi, intervenuto ai microfoni di Dazn, ha parlato del cammino degli ultimi anni di suo fratello Simone sulla panchina dell’Inter.

Intervenuto a Dazn come protagonista del format “Un’altra storia”, Pippo Inzaghi si è soffermato sul percorso fatto negli ultimi anni di suo fratello Simone sulla panchina dell’Inter e della possibilità di conquistare la seconda stella nel derby della Madonnina.

Inzaghi

Le parole di Pippo Inzaghi su suo fratello

Le qualità di Simone:

“Simone è un ottimo gestore di risorse umane, è molto bravo. Quello che ha subito l’anno scorso non lo avrebbe sopportato nessuno e lui invece si è fatto scivolare tutto. È stato bravissimo, è andato avanti per la sua squadra. Dopo la finale di Champions, in cui ha incartato Guardiola, ha fatto il salto definitivo e a me non sorprende. Ha pochi amici e quindi si è dovuto fare il mazzo per dimostrare che adesso è uno dei migliori d’Europa. Sono contento per lui perché oltre a essere un grande allenatore, è una persona perbene”.

Scudetto Inter nel derby?

“Uno lo sventai io con un mio gol. Però sono felice per mio fratello perché coronerebbe un sogno. Spero che il Milan vinca la coppa, così per me sarebbe il top. Sarà una bella partita con lo stadio pieno. Io feci gol al mio primo derby con Terim. Non feci tanti gol nel derby, ma quello che ho fatto sono stati importanti. Nei due di Champions per esempio io non feci un tiro in porta in due gare dalla tensione”.

San Siro:

“Non si tocca. Venni al Milan per San Siro. Quando facevo il Trofeo Berlusconi per me giocare a San Siro ero il mio stadio. Ho ottenuto in quello stadio tutto quello che dovevo ottenere. Nelle notti di Champions mi stimolava molto vedere i tifosi che stavano ore e ore in coda in pullman”.

Le differenze tra di voi come giocatore:

“Io e mio fratello ci facevamo portare alla Galleana al Piacenza per farci fare le foto coi giocatori. Simone ha il record che non ho nemmeno io: mai fatto quattro gol, lui li ha fatti al Marsiglia. Abbiamo giocato insieme in nazionale, anche per i miei genitori vederci esordire in nazionale a Torino…

Lui tecnicamente era più forte, ha convissuto con un problema importante alla schiena. Non andò al Milan prima di andare alla Lazio perché fu bocciato per la schiena e questo lo ha ostacolato. Avrebbe fatto di più. Quel che non ha avuto da giocatore lo ha avuto da allenatore”.

Lo studio degli avversari:

“Io e Simone studiavamo tanto gli avversari. Io li conoscevo alla perfezione. Non erano i difensori che marcavano me e io che marcavo loro perché se dovevo scegliere andavo da quello che magari sull’attenzione o sullo scatto potevo fregarlo. Queste cose si cercano di insegnare anche se non sono semplici da capire”.

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