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La doppia anima di Pierpaolo Curti, ex calciatore pittore

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Pierpaolo Curti, il bomber pittore

L’esordio a 16 anni nel Fanfulla di Lodi. Dopo l’esperienza nelle giovanili del Milan e in serie D Pierpaolo Curti ha scelto di dedicarsi alla pittura. Ma non solo.

Indice

Il calcio in oratorio

Pierpaolo, come sono nate le passioni del calcio e della pittura?

Da bambini, in oratorio, ci si avvicinava subito al calcio. Questo ha fatto sì che mi sia approcciato prima al pallone che alla pittura.

Sono stato in una giovanile e sono arrivato al Fanfulla, la squadra di riferimento della mia città. Lì sono stato notato e sono finito alle Giovanili del Milan: a partire da quel momento si è creata la concreta possibilità di fare seriamente quel lavoro. Avevo 18 anni.

L’incontro con la pittura

Avevo uno zio che abitava al piano di sopra e che dipingeva, più per passione che per altro. A me questa cosa incuriosiva molto. Suonavo anche la chitarra, ma mi sono reso conto fin da subito che la solitudine e la concentrazione della pittura mi appartenevano completamente.

A 18 anni vivevo da solo e dipingevo in casa, a 20 ho preso uno studiolo. Avevo la fortuna di guadagnarmi qualche soldo con il calcio.

La gestione di due carriere parallele

Quando il calcio mi ha chiamato a gran voce, mi sono reso conto che non faceva per me, non a quel livello. Quindi ho ridimensionato quella parte della mia vita, tornando a un dilettantismo che mi faceva comodo: guadagnavo, non avevo il pensiero di dover guadagnare con l’arte e questo mi ha permesso di intraprendere una ricerca artistica molto libera.

Quando ho preso la decisione di dedicarmi all’arte, la faccenda si è fatta seria: ho iniziato a lavorare con gallerie, in Italia e all’estero, e a completamento del mio percorso ho preso uno studio molto grande nel quale ho dato vita a un’associazione con un gruppo di amici.
Malgrado i tempi difficili, fra pandemia e guerra, lo stiamo facendo funzionare bene.

Per quanto concerne il mio percorso calcistico, alla fine ho smesso di giocare e sono diventato allenatore di serie D ed eccellenze, con ragazzi dai 18 ai 40 anni.

Pierpaolo Curti, allora allenatore del Pergolettese

Sfatare gli stereotipi

Tu ti sei potuto dedicare all’arte anche grazie al sostentamento che ti veniva dall’attività calcistica. Questa è una bella fortuna.

Ci sono anche gli aspetti negativi: volendo tenere in piedi entrambe le mie attività, l’arte e l’allenamento calcistico, ovviamente sono stato poco presente negli ambienti che contavano.

Inizialmente ne ho pagato lo scotto. Da una parte dicevano “arriva il calciatore, che cosa vuole capirne lui di arte? Si dedichi al pallone”; dall’altra mi consideravano un alieno.

Ho studiato Scienze dei Beni Culturali alla Statale e non ho l’Accademia di Belle Arti alle spalle. La volontà e il grande amore verso l’arte mi aiutano a ricaricare le batterie per portare avanti anche questa attività.

Insomma, risentivi dello stereotipo classico del calciatore che non capisce nulla di arte e di cultura in generale. 

Questa frattura oggi è superata, con l’età ti interessi meno del giudizio altrui. Non nego però di aver sofferto di questa cosa, avendo una sensibilità che non è quella “canonica” del calciatore.

Se lo sport è pensato come conoscenza e superamento di sé ti porta alla conoscenza di certi aspetti, come la disciplina, che non sono così leggeri e stupidi come le vogliono far apparire.

La solitudine che fa crescere

Tu mi hai parlato della solitudine, che peraltro traspare potentemente dai tuoi quadri.

Sì, ma bisogna chiarire cosa si intende per “solitudine”. Per me è un disarmo da tutte le sovrastrutture, una nudità che si posiziona in un vuoto che è ospitale. Solo in questo stato si può avere a che fare davvero con sé stessi, ed è un’occasione enorme.

Mi rendo conto che in mezzo agli altri si imparano tante cose, ma i passaggi decisivi, che hanno a che fare con la paura, il coraggio, l’avanzamento e la scelta avvengono tutti dentro sé stessi.

Jump, il quadro di Pierpaolo Curti

Come si concilia la solitudine con il gioco di squadra?

Da giocatore ti trovi a disagio, però da allenatore hai la possibilità di dare un’impronta, di cambiare i paradigmi e il linguaggio comunicativo.

Curti: “Insegno ai miei ragazzi a scoprire sé stessi”

Con i ragazzi, io non sono mai posto come un allenatore autoritario, che impone ciò che si deve fare. Ho adottato un altro sistema, che alle società calcistiche in genere non piace.

A me piace partire dalla fiducia e dal dialogo e trovare insieme ai ragazzi la chiave che permette di costituire un buon gruppo. E devo dire che l’approccio si è rivelato vincente.

A me piace che i miei ragazzi scoprano sé stessi. Se ho la loro stima e fiducia non ho bisogno di alzare la voce.

Qual è l’insegnamento che miri a trasmettere ai tuoi ragazzi?

Il coraggio, che ha a che fare con l’accettazione e la consapevolezza della paura. L’idea di base è sempre quella di provare a fare la partita, con la testa sgombra dalle preoccupazioni. Poi su questo si inserisce la parte tecnica.

Gli altri valori fondamentali sono il rispetto e il senso del gruppo.

Curti: “Il coraggio e la disciplina del calcio mi hanno insegnato tanto”

Il calcio ha influenzato il tuo immaginario e la tua visione artistica?

Il coraggio l’ho riportato anche nella mia arte: mi riconoscono di avere un linguaggio artistico abbastanza unico. Il fatto di lanciarsi in quello in cui si crede anche se è scomodo e parla di condizioni limite l’ho ereditato dal calcio.

Così come la disciplina e il rigore nel lavorare la materia, che sono retaggi del calcio e dello sport in generale. Come soggetto, nei miei quadri il calcio non compare mai.

Pierpaolo Curti

Come sei riuscito a organizzarti, nella pratica, per portare avanti le due attività?

Finché giocavo non pensavo a nient’altro che ad allenarmi e a giocare, la dispersione mentale era molto bassa. In quel periodo la mattina mi dedicavo allo studio fino alle 12:30 e mi allenavo nel pomeriggio.

Quando sono passato ad allenare e sono diventato padre tutto è cambiato, ma sono comunque riuscito a organizzarmi analogamente: la mattina mi dedico all’arte e il pomeriggio alleno. In tutti i momenti che restano mi dedico alla famiglia.

Curti: “Vorrei che le mie figlie trovassero da sole la loro strada”

Indirizzeresti le tue figlie verso l’arte e/o lo sport?

Le lascio molto libere, vorrei che fossero loro a trovare la loro strada.
Mi rendo conto che sia l’arte che lo sport ti danno la possibilità di conoscere la vita e le persone, ma se dovessi proprio scegliere ciò che è più importante direi la lettura di libri, l’arte, la musica. Tutte cose che spalancano la mente.

Hai avuto la possibilità di unire le tue due passioni in un unico progetto?

No, però mi è capitato di coinvolgere un’azienda (Pellini Spa), il cui presidente è vicepresidente della squadra che alleno (RC Codogno, ndr), in una mostra che sto organizzando con la mia associazione.

Non ho mai dedicato un progetto o una mostra al calcio. Tendo a tenere separate le due cose.

Sei tifoso di qualche squadra in particolare?

Sono juventino.

I progetti artistici

Quali sono gli ultimi progetti di cui vorresti parlarci?

Ho fondato un’associazione no-profit, Associazione 21, con una programmazione annuale multidisciplinare che ospita l’arte contemporanea in tutte le sue forme e non solo.

Sabato 12 marzo inaugureremo una mostra di 10 artisti contemporanei, Resurrection, a cura di Davide Di Maggio, e il 24 marzo inzia l’iniziativa Quando la musica incontra l’arte sui ritratti di musicisti e cantautori, a cura di Ezio Guaitamacchi.

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Esclusiva CS – Ariedo Braida: “Il Milan sta trovando la sua identità. Napoli favorito per lo scudetto, su Thiago Motta…”

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Braida

Ariedo Braida, ex-dirigente del Milan, ha concesso un’intervista esclusiva ai microfoni di Calcio Style, riguardo la situazione dei rossoneri ma non solo.

Ariedo Braida è stato per 27 anni dirigente del Milan. Prima direttore sportivo (per 16 anni, dal 1986 al 2002) e poi direttore generale per undici anni, dal 2002 al 2013. Dopo le esperienze alla Sampdoria, al Barcellona e in ultimo alla Cremonese, terminata lo scorso 30 Giugno, è attualmente libero da oneri contrattuali.

Le parole di Ariedo Braida

Il dirigente ha concesso un’intervista esclusiva ai nostri microfoni. Di seguito le parole che l’ex-Milan ha rilasciato al collaboratore di Calcio Style Alessandro Aglione.

Milan

Con il Leverkusen l’ho visto bene, mi è piaciuto. Secondo me ha fatto una buonissima prestazione, il risultato non lo dimostra ma questo può succedere. Vedo dei miglioramenti rispetto all’inizio del campionato e sta trovando la propria identità. A darti una dimensione è la consapevolezza di ciò che sei, la consapevolezza della propria forza e dell’essere una grande squadra. I valori ci sono, deve solo trovare il suo equilibrio“.

Leao

Leao è fatto così, è il suo carattere. E’ meteoropatico, dipende dal tempo. O lo prendi così oppure lo lasci andare. Io credo che se una squadra ha un giocatore come lui, che ti fa la differenza creandoti la superiorità numerica nell’1 vs 1, deve tenerselo stretto, perché sono merce rara. Le cose vanno vissute dal di dentro per poterle capire e giudicare. Solo dopo puoi dire ‘questo è bravo, ha talento ma non mi serve’.”

Braida poi si sofferma sulla discussa dirigenza del Milan, affermando che non è nel suo stile giudicare il lavoro dei suoi colleghi. L’ex-dirigente afferma che “sono tutti professionisti di alto livello” e che “possono aver sbagliato, perché tutti possiamo sbagliare, ma sicuramente sono persone che conoscono il calcio“.

Napoli e Inter

Il Napoli con Conte e Lukaku è la mia favorita per lo scudetto e non lo dico solo perché attualmente sono primi i classifica. L’Inter ha tanta qualità e soprattutto ha dimostrato in questi anni continuità. Poi un derby prima o poi avrebbe dovuto perderlo, perché mica li puoi vincere. Il calcio è anche questo, sennò noi che siamo milanisti che facciamo? Dobbiamo soffrire e basta? (ride, n.d.r.) Ci sono persone che spostano gli equilibri, come ho detto di Leao prima. Con il massimo rispetto per tutti gli altri, ma quei due (Conte e Lukaku) hanno qualcosa in più”.

Thiago Motta

Thiago mi piaceva già quando giocava. L’unico problema è che a inizio carriera ha avuto tanti infortuni e non sapevo come avrebbe reagito il suo corpo, ma poi ha dimostrato di essere un giocatore di altissimo livello e ora anche da allenatore. Prima al Bologna e ora alla Juventus. E’ un allenatore che ha delle qualità, che portano delle novità quando arrivano in una squadra. Anche lui è uno di quelli che ha qualcosa in più degli altri“.

Braida si concede poi una chiosa finale su un tema molto dibattuto in Italia, ovvero quello relativo all’impiego dei giovani talenti. Egli cerca di sfatare un mito, affermando che nel calcio esiste un principio meritocratico che deve essere rispettato a prescindere dall’età anagrafica dei pretendenti alla maglia.

Sento spesso dire che i giovani in Italia non giocano, ma questo non è vero. E’ un falso mito, i giovani vengono fatti giocare e anche Allegri, criticato per questo motivo, ne ha fatti giocare tanti. Non è che uno deve giocare a prescindere solo perché è giovane. Giochi se sei bravo, punto. L’età è un valore anagrafico, non un sinonimo di qualità. Ma voi pensate che Yamal e Cubarsì giochino perché sono giovani o perché sono bravi? E Yildiz?”

Braida

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ESCLUSIVA CS – Lino Banfi: “I club di Serie A devono avere il presidente italiano, Juric mi sta incuriosendo. Su De Rossi…”

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Roma

Il noto attore comico e grande tifoso della Roma Lino Banfi ha rilasciato delle dichiarazioni in esclusiva ai nostri microfoni.

Il noto attore comico Lino Banfi ha rilasciato delle dichiarazioni in esclusiva ai microfoni di Calciostyle e Almanacco Cinema, soffermandosi in particolar modo sul club giallorosso: di cui è un grande tifoso.

Le parole di Lino Banfi

Di seguito le parole del noto attore comico Lino Banfi, rilasciate in esclusiva i nostri microfoni.

Lino Banfi

Un giudizio sul nuovo tecnico della Roma Ivan Juric?

“È un allenatore che mi sta incuriosendo molto. Considerando che io sono molto amico di De Rossi ed ero in buoni rapporti con Mourinho, quando è arrivato un altro allenatore straniero come Juric sono rimasto un po’ spiazzato.

Io penso, come ho sempre detto nelle mie interviste calcistiche, che in una squadra di Serie A ci vuole un allenatore italiano e una presidente italiano: se è romano ancora meglio.

Come ho già detto in precedenza, Juric è un allenatore che mi sta incuriosendo molto e se riesce a risollevare la Roma in un momento del genere, così complicato, vuol dire che è un validissimo tecnico.”

Mi può spiegare brevemente come è nata l’idea di fare il film “L’allenatore nel pallone”?

“L’idea di fare questo film me la diede Liedholm nel periodo in cui allenava la Roma, in una domenica sera in cui eravamo entrambi diretti a Milano.

In quella circostanza mi disse se avevo mai pensato di fare un film su un allenatore di calcio e mi raccontò di questo Oronzo pugliese che poi sarebbe diventato il protagonista dei miei film: ovvero Oronzo Canà“.

Rimanendo in tema “L’ allenatore nel Pallone”, nel secondo film della saga appare per pochi minuti Daniele De Rossi. Come ha vissuto il recente esonero dell’ormai ex tecnico giallorosso?

“Io, come tutti i tifosi giallorossi, non ho vissuto bene l’esonero di De Rossi, perché in quel momento non riuscivo a capire bene il motivo per cui è stata fatta questa scelta. Poi, quando abbiamo saputo che la scelta era stata fatta dall’ormai ex CEO dei giallorossi, ci siamo rimasti molto male.

Io personalmente non condivido l’esonero di De Rossi, perché come Totti è stato una bandiera della Roma e non meritava di finire in quel modo, ma ormai non si può tornare indietro e dovremo farcene una ragione.”

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ESCLUSIVA CS – Napoli, Sollazzo: “Lukaku? Atleticamente imbarazzante ma decisivo”

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Esclusiva CS: l'intervista sul Napoli a Boris Sollazzo, giornalista calcistico e cinematografico

In questo momento, il Napoli è capolista in Serie A. Il giornalista Boris Sollazzo, tifoso del club, parla della sua squadra del cuore. A partire dai tifosi.

Nel panorama giornalistico italiano Boris Sollazzo è una mosca bianca: un professionista che si occupa sia di cinema che di calcio, sia come penna che come radiocronista, dotato di grande capacità analitica e spirito critico.

Affezionatissimo tifoso del Napoli, al club azzurro e ai suoi protagonisti ha dedicato anche alcuni libri.

Con lui abbiamo parlato dell’attuale Napoli, della sua tifoseria e della lotta scudetto: ecco cosa ci ha raccontato.

Noi lo ringraziamo per la cortesia e il molto tempo che ci ha dedicato.

Napoli mon amour: l’intervista a Boris Sollazzo

È arcinoto il fatto che sei tifoso del Napoli: undici anni fa hai anche scritto anche un manuale per i tifosi del club, #chevisietepersi: sapresti farmi un identikit del tifoso azzurro?

“No, perché son tanti: quello che va allo stadio, quello che non ci va, quello che sta a Napoli e quello che vive fuori Napoli.

Il tifoso juventino è un ‘non tifoso’ antropologicamente parlando, perché non ha un legame culturale e territoriale con la propria squadra. Si dice sempre che sono legati alla vittoria, ma la vittoria è quello che li connota: non c’è un fattore culturale, di amore per ciò che si rappresenta. In questo è lontano da molte squadre, come il Real Madrid, che ha un’identità ‘governativa’, legata alla città di Madrid (anche se l’Atletico Madrid è più rappresentativo)”.

Il napoletano, più di ogni altro, è il tifoso che si trova anche fuori Napoli. Ci sono più napoletani fuori che in città, anche per le ondate di migrazione. Questo ha dato vita a tante classi di tifosi.

Forse ciò che li accomuna è l’essere molto competenti di calcio, anche se a volte troppo esigenti rispetto alla propria storia.
Ne ha fatto le spese Aurelio De Laurentiis, che con il club ha fatto un autentico miracolo e che, a mio avviso, è la cosa migliore che potesse capitare al Napoli. Ma ha il grande torto di essere romano e di non aver sedotto i napoletani con belle parole, avendo cercato di farli diventare la squadra di una metropoli. Una squadra che avesse anche una sostenibilità economica.

Quello del Napoli è un tifoso con un grande senso estetico, nel suo cuore ci sono gli scudetti ma anche squadre che non hanno vinto nulla, come quelle di Sarri e Vinicio: questo è abbastanza unico. È un tifoso che dà il meglio quando sta peggio: il tifoso del Napoli in Serie C era commovente, quello del terzo scudetto è stato irritante.

È il tifoso che in fondo vorrebbe gioire sempre, e che quando lo fa finisce nei film come Parthenope di Sorrentino, ma può anche perdere a lungo, perché ha avuto il privilegio di veder giocare nelle proprie fila il giocatore più forte del mondo e lo sportivo più rilevante nella storia dello sport, che ti ha amato alla follia.

Mi piace molto Napoli-Como che alle 18:30 fa il tutto esaurito: quello mi ricorda molto Napoli”.

Napoli, lo Stadio Maradona

Qual è la prospettiva del club, attualmente capolista, in questa stagione?

“Faccio finta che sia un’altra squadra. Il Napoli si trova in una condizione non dissimile da quella in cui ha vinto il terzo nonsipuòdire (ride, ndr): lì c’era il Mondiale invernale e un allenatore che sapeva come affrontare la sosta. C’era un’ottima squadra e una grande campagna acquisti.

Ora c’è una squadra che non fa le coppe europee mentre tutte le sue concorrenti le fanno, un allenatore straordinario e forse la migliore campagna acquisti mai fatta nella storia del club. Lo dissi allora e lo ripeto ora: due anni fa non pensavo che avremmo vinto, ma dissi a Radio24 che era una squadra estremamente coerente e ci avrebbe fatto divertire.

Anche ora dico che ci divertiremo parecchio, perché con Conte sarà bello pure perdere, perché nessuno mollerà mai: è questo quello che il tifoso del Napoli vuole vedere.

Il tifoso non si è sentito umiliato lo scorso anno perché la squadra è arrivata decima e credo che se 5 anni fa gli avessero detto che avrebbe vinto lo scudetto e l’anno dopo sarebbe arrivato decimo, avrebbe chiesto dove firmare.

Dopo essere stato orgoglioso della squadra che ha dettato legge in Europa, il tifoso si è sentito umiliato dallo scarso impegno, dallo scarso attaccamento alla maglia. E dal non capire che l’orgoglio è più importante della vittoria.

Quest’anno sarà divertente vedere l’orgoglio di questa squadra, che ha vinto 2-1 contro il Parma e probabilmente ha cambiato il senso della stagione. Se avessimo perso quella partita probabilmente ora parleremmo di altro”.

Napoli, Lukaku

Parlando di campagne, non acquisti ma prestiti: qual è il tuo punto di vista su Lukaku? Ha iniziato bene la stagione con 2 gol e 3 assist in 5 partite.

Un giocatore che in questo momento è atleticamente impresentabile e tecnicamente imbarazzante ti ha fatto vincere contro il Parma, ti ha fatto vincere contro il Cagliari, perché 3 dei 4 gol hanno tutti la sua firma, come gol o come assist… Stiamo parlando di 6 punti sui 13 realizzati. È un giocatore che costringe la squadra avversaria a rimanere indietro.

Abbiamo un difensore incredibile come Buongiorno, che è forse il difensore più forte che abbiamo visto da queste parti, perché lì davanti ci sono Politano e Kvaratskhelia, che non perdono un pallone, e c’è Lukaku, che fa reparto da solo.

Quindi, sperando che a 31 anni abbia ancora molti colpi in canna, mi aspetto che quando sarà un minimo in forma faccia lo sfacelo. Ho visto raramente un giocatore che non dovrebbe nemmeno andare in tribuna essere così decisivo”.

Quindi è Lukaku il giocatore “da attenzionare”?

“No. Io sono di quella parte che pensa che McTominay sia il futuro capitano di questa squadra. Verso di lui c’è un entusiasmo del popolo napoletano che deriva dalle sue dichiarazioni, dal fatto che lui ha detto che quando lo ha chiamato il Napoli ‘ha sentito il fuoco dentro’, dal fatto che ha baciato lo stemma. L’ho visto giocare al Manchester United e mi è sembrato fortissimo.

Ma mi piacciono tutti: Gilmour mi pare un Lobotka ancora più bravo nei contrasti, Neres mi fa impazzire: gioca 10 minuti e segna, o rischia di segnare, o fa un assist. È una squadra che, se si escludono i centrali difensivi di riserva, è davvero interessante”.

Napoli, Di Lorenzo

E Di Lorenzo?

“Sono felice che non mi abbia lasciato come ultimo ricordo quello dell’anno scorso, non se lo meritava. È forse un capitano troppo buono ma è un bel capitano: è un bravo ragazzo, ed è bello rivederlo all’altezza di quanto visto negli ultimi anni.

Ha avuto un black out, non siamo stati molto generosi con lui. L’anno scorso ha fatto di tutto per farci dimenticare ciò che aveva fatto, ma è bello rivederlo in queste condizioni. Mi sta benissimo se continua a giocare male in Nazionale e bene al Napoli”.

A proposito di giocatori della Nazionale, non hai menzionato Raspadori, che si è messo in luce positivamente alle qualificazioni per i Mondiali e in Nations League. Secondo te potrà trovare spazio in campionato?

“Mi sembra difficile per una questione tattica, avendo davanti Lukaku come centravanti, Simeone e pure Ngonge. Raspadori è sicuramente un giocatore molto diligente, anche con colpi incredibili – si pensi ai gol dello scorso anno a Glasgow e ad Amsterdam – ma è un centravanti che ha bisogno di un allenatore e di un modulo di un certo tipo. Questo è il motivo per cui ha fatto bene con Spalletti e De Zerbi.

Io lo vedo benissimo nello spogliatoio, perché Conte ama i giocatori che non danno problemi e si allenano strenuamente, ma non riesco a capire quale possa essere il suo ruolo. Non è un giocatore scarso ma non si sembra fatto per questo tipo di gioco. Non è fatto per Mourinho ma potrebbe esserlo per Sarri o Thiago Motta: per quegli allenatori che hanno nel possesso palla e nella manovra dell’attaccante come vertice alto la loro cifra distintiva.

Noi, con Mertens, abbiamo capito 10 anni dopo che avevamo sbagliato il ruolo: non era un laterale ma un centravanti. Io non vorrei che Raspadori non fosse un centravanti: segna davvero poco per esserlo. Magari deve trovare un’altra collocazione, cosa difficile in questo Napoli”.

Napoli, Raspadori

GIACOMO RASPADORI PUNTA IL DITO (FOTO DI SALVATORE FORNELLI)

Cosa ti aspetti dall’imminente partita di campionato contro il Como? Chi può rappresentare un pericolo?

“A me il Como entusiasma: come idea imprenditoriale, come idea tattica, per Fabregas che è stato uno dei miei giocatori preferiti. Credo che il giocatore dal quale guardarsi di più sia Nico Paz, che mi sembra davvero forte e potrebbe essere una delle grandi sorprese di questo campionato.

Il Verona l’ha battuto lui da solo, mettendo Cutrone nella condizione di segnare. Cutrone che, ci tengo a dire, ho preso al Fantacalcio in tempi non sospetti.

Secondo me è la partita più difficile delle prossime, però deve dare a Conte la misura di ciò che si può permettere. Il Napoli deve ricominciare dalle piccole cose, vincendo con le squadre che sono tecnicamente più deboli. Se ci riesce, vuol dire che c’è solidità mentale.

Adesso è primo in solitaria, vincendo potrebbe rimanere tale per 2 settimane durante la pausa Nazionali e psicologicamente è una prova di maturità”.

Chi è la principale contendente per lo scudetto?

Inter o Juventus. Dovendo sceglierne una la Juventus, perché ha un allenatore più abile, ha fatto un’ottima campagna acquisti e… ha fame, perché è da troppo che non vince trofei importanti. In realtà credo che lo scudetto se lo giocheranno loro, con il Napoli che potrebbe fare il terzo incomodo”.

Napoli, Diego Armando Maradona
Tu hai scritto un libro su Diego Armando Maradona, Diegopolitik. Il sottotitolo recita così: “L’ultimo grande leader del ‘900”. Secondo te chi è, se c’è, il “grande leader del 2000”?

“È durissima… (resta in silenzio) Non mi sembra che ci sia un leader. Quel pezzo finale di ‘900 aveva Diego, aveva Lula, aveva Chavez, aveva un continente in subbuglio… Oggi non vedo neanche un continente che possa dire la sua. In quel momento il Sudamerica era quello di ‘Un altro mondo è possibile’.

Io ora vedo un mondo che si sta rattrappendo su sé stesso, come il Gabbiano di Gaber. È molto più grande il terrore di Trump e dei suoi (i vari Bolsonaro, Milei ecc) che dominano il mondo che la speranza di un leader che non vedo da nessuna parte”.

E un leader in ambito calcistico?

“Proprio no. Il calcio è diventato il calcio delle sponsorizzazioni, vedi anche Messi. Non ha più il coraggio di rappresentare qualcosa.

Cercherei in altri sport: non sono dei leader, ma mi piacciono Sinner e Alcaraz per quello che rappresentano come simbolo delle nuove generazioni e per come affrontano lo sport come se fosse non una questione di vita o di morte ma un gioco. Ma niente più di questo, purtroppo”.

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