Le interviste
La doppia anima di Pierpaolo Curti, ex calciatore pittore
L’esordio a 16 anni nel Fanfulla di Lodi. Dopo l’esperienza nelle giovanili del Milan e in serie D Pierpaolo Curti ha scelto di dedicarsi alla pittura. Ma non solo.
Il calcio in oratorio
Pierpaolo, come sono nate le passioni del calcio e della pittura?
Da bambini, in oratorio, ci si avvicinava subito al calcio. Questo ha fatto sì che mi sia approcciato prima al pallone che alla pittura.
Sono stato in una giovanile e sono arrivato al Fanfulla, la squadra di riferimento della mia città. Lì sono stato notato e sono finito alle Giovanili del Milan: a partire da quel momento si è creata la concreta possibilità di fare seriamente quel lavoro. Avevo 18 anni.
L’incontro con la pittura
Avevo uno zio che abitava al piano di sopra e che dipingeva, più per passione che per altro. A me questa cosa incuriosiva molto. Suonavo anche la chitarra, ma mi sono reso conto fin da subito che la solitudine e la concentrazione della pittura mi appartenevano completamente.
A 18 anni vivevo da solo e dipingevo in casa, a 20 ho preso uno studiolo. Avevo la fortuna di guadagnarmi qualche soldo con il calcio.
La gestione di due carriere parallele
Quando il calcio mi ha chiamato a gran voce, mi sono reso conto che non faceva per me, non a quel livello. Quindi ho ridimensionato quella parte della mia vita, tornando a un dilettantismo che mi faceva comodo: guadagnavo, non avevo il pensiero di dover guadagnare con l’arte e questo mi ha permesso di intraprendere una ricerca artistica molto libera.
Quando ho preso la decisione di dedicarmi all’arte, la faccenda si è fatta seria: ho iniziato a lavorare con gallerie, in Italia e all’estero, e a completamento del mio percorso ho preso uno studio molto grande nel quale ho dato vita a un’associazione con un gruppo di amici.
Malgrado i tempi difficili, fra pandemia e guerra, lo stiamo facendo funzionare bene.
Per quanto concerne il mio percorso calcistico, alla fine ho smesso di giocare e sono diventato allenatore di serie D ed eccellenze, con ragazzi dai 18 ai 40 anni.

Sfatare gli stereotipi
Tu ti sei potuto dedicare all’arte anche grazie al sostentamento che ti veniva dall’attività calcistica. Questa è una bella fortuna.
Ci sono anche gli aspetti negativi: volendo tenere in piedi entrambe le mie attività, l’arte e l’allenamento calcistico, ovviamente sono stato poco presente negli ambienti che contavano.
Inizialmente ne ho pagato lo scotto. Da una parte dicevano “arriva il calciatore, che cosa vuole capirne lui di arte? Si dedichi al pallone”; dall’altra mi consideravano un alieno.
Ho studiato Scienze dei Beni Culturali alla Statale e non ho l’Accademia di Belle Arti alle spalle. La volontà e il grande amore verso l’arte mi aiutano a ricaricare le batterie per portare avanti anche questa attività.
Insomma, risentivi dello stereotipo classico del calciatore che non capisce nulla di arte e di cultura in generale.
Questa frattura oggi è superata, con l’età ti interessi meno del giudizio altrui. Non nego però di aver sofferto di questa cosa, avendo una sensibilità che non è quella “canonica” del calciatore.
Se lo sport è pensato come conoscenza e superamento di sé ti porta alla conoscenza di certi aspetti, come la disciplina, che non sono così leggeri e stupidi come le vogliono far apparire.
La solitudine che fa crescere
Tu mi hai parlato della solitudine, che peraltro traspare potentemente dai tuoi quadri.
Sì, ma bisogna chiarire cosa si intende per “solitudine”. Per me è un disarmo da tutte le sovrastrutture, una nudità che si posiziona in un vuoto che è ospitale. Solo in questo stato si può avere a che fare davvero con sé stessi, ed è un’occasione enorme.
Mi rendo conto che in mezzo agli altri si imparano tante cose, ma i passaggi decisivi, che hanno a che fare con la paura, il coraggio, l’avanzamento e la scelta avvengono tutti dentro sé stessi.

Come si concilia la solitudine con il gioco di squadra?
Da giocatore ti trovi a disagio, però da allenatore hai la possibilità di dare un’impronta, di cambiare i paradigmi e il linguaggio comunicativo.
Curti: “Insegno ai miei ragazzi a scoprire sé stessi”
Con i ragazzi, io non sono mai posto come un allenatore autoritario, che impone ciò che si deve fare. Ho adottato un altro sistema, che alle società calcistiche in genere non piace.
A me piace partire dalla fiducia e dal dialogo e trovare insieme ai ragazzi la chiave che permette di costituire un buon gruppo. E devo dire che l’approccio si è rivelato vincente.
A me piace che i miei ragazzi scoprano sé stessi. Se ho la loro stima e fiducia non ho bisogno di alzare la voce.
Qual è l’insegnamento che miri a trasmettere ai tuoi ragazzi?
Il coraggio, che ha a che fare con l’accettazione e la consapevolezza della paura. L’idea di base è sempre quella di provare a fare la partita, con la testa sgombra dalle preoccupazioni. Poi su questo si inserisce la parte tecnica.
Gli altri valori fondamentali sono il rispetto e il senso del gruppo.
Curti: “Il coraggio e la disciplina del calcio mi hanno insegnato tanto”
Il calcio ha influenzato il tuo immaginario e la tua visione artistica?
Il coraggio l’ho riportato anche nella mia arte: mi riconoscono di avere un linguaggio artistico abbastanza unico. Il fatto di lanciarsi in quello in cui si crede anche se è scomodo e parla di condizioni limite l’ho ereditato dal calcio.
Così come la disciplina e il rigore nel lavorare la materia, che sono retaggi del calcio e dello sport in generale. Come soggetto, nei miei quadri il calcio non compare mai.

Come sei riuscito a organizzarti, nella pratica, per portare avanti le due attività?
Finché giocavo non pensavo a nient’altro che ad allenarmi e a giocare, la dispersione mentale era molto bassa. In quel periodo la mattina mi dedicavo allo studio fino alle 12:30 e mi allenavo nel pomeriggio.
Quando sono passato ad allenare e sono diventato padre tutto è cambiato, ma sono comunque riuscito a organizzarmi analogamente: la mattina mi dedico all’arte e il pomeriggio alleno. In tutti i momenti che restano mi dedico alla famiglia.
Curti: “Vorrei che le mie figlie trovassero da sole la loro strada”
Indirizzeresti le tue figlie verso l’arte e/o lo sport?
Le lascio molto libere, vorrei che fossero loro a trovare la loro strada.
Mi rendo conto che sia l’arte che lo sport ti danno la possibilità di conoscere la vita e le persone, ma se dovessi proprio scegliere ciò che è più importante direi la lettura di libri, l’arte, la musica. Tutte cose che spalancano la mente.
Hai avuto la possibilità di unire le tue due passioni in un unico progetto?
No, però mi è capitato di coinvolgere un’azienda (Pellini Spa), il cui presidente è vicepresidente della squadra che alleno (RC Codogno, ndr), in una mostra che sto organizzando con la mia associazione.
Non ho mai dedicato un progetto o una mostra al calcio. Tendo a tenere separate le due cose.
Sei tifoso di qualche squadra in particolare?
Sono juventino.
I progetti artistici
Quali sono gli ultimi progetti di cui vorresti parlarci?
Ho fondato un’associazione no-profit, Associazione 21, con una programmazione annuale multidisciplinare che ospita l’arte contemporanea in tutte le sue forme e non solo.
Sabato 12 marzo inaugureremo una mostra di 10 artisti contemporanei, Resurrection, a cura di Davide Di Maggio, e il 24 marzo inzia l’iniziativa Quando la musica incontra l’arte sui ritratti di musicisti e cantautori, a cura di Ezio Guaitamacchi.
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Carlo Nervo: “Il Bologna può arrivare in Europa quest’anno ha una rosa molto competitiva. Nazionale? Ci sono troppi…”
L’ex centrocampista del Bologna Carlo Nervo (1994-2005, 2006-2007) ha parlato ai nostri microfoni della’attuale situazione dei rossoblù, sulla lotta Scudetto in Serie A e molto altro.
In un’intervista di 5 minuti, Carlo Nervo ha detto la sua su come può andare il Bologna questa stagione, parlando anche di giocatori come Bernardeschi e Orsolini, e anche dell’allenatore dei rossoblù Vincenzo Italiano.
Inoltre ha analizzato anche la situazione della Nazionale Italiana e del motivo per cui, secondo lui, gli Azzurri stanno vivendo un momento così complicato.
Di seguito, l’intervista di Carlo Nervo.
Le parole di Carlo Nervo
Dove può arrivare questo Bologna in campionato e in coppa?
“Vista espressione di gioco e i risultati, può arrivare in alto. Secondo me l’Europa dovrebbe essere la giusta posizione, però sognare non costa niente. Le altre squadre sono forti, però il Bologna li ha messi sotto”.
Secondo lei il Bologna ha bisogno di rinforzarsi nel mercato di gennaio, visti alcuni infortuni sulle fasce?
” A mio avviso, a parte gli infortuni, la rosa é completa. Immobile, al momento, é fuori ma é un giocatore forte che segna molti gol: inoltre la crescita di Bernardeschi é stata importante. Secondo me la rosa é molto competitiva, io non toccherei niente”.
Chi vince il campionato?
“Bella domanda, magari il Bologna. No, io vedo il Milan che può insidiarsi”.
Quindi Allegri con il suo Corto Muso?
“Secondo me hanno una bella rosa e un allenatore che sa vincere”.
Italiano é un pò sottovalutato come allenatore?
“No, non é sottovalutato, nel senso che lui é già in una grande squadra, perché il Bologna é una grande squadra”.

VINCENZO ITALIANO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Un aggettivo per l’allenatore e per quello che sta facendo?
“Consapevole: lui é consapevole di essere in una grande piazza”.
Orsolini? E’ un Nervo 2.0
“No, secondo me è più forte. Vede molto la porta, ma soprattutto é un ragazzo per bene che é legato alla città e alla maglia. Quindi deve continuare come sta facendo”.
Adesso nella Nazionale Italiana c’é meno abbondanza di grandi giocatori. Come si può risolvere questa cosa?
“Ai miei tempi per andare in Nazionale dovevi essere forte. Adesso fai dieci partite bene in Serie A e ti chiamano in Nazionale. Non ci sono i campioni come Del Piero e Totti: bisognerà analizzare perché non vengono fuori questi talenti qui in Italia, e valutare tutti i settori giovanili.
Poi, troppi stranieri: quando c’ero io arrivavano i top player stranieri, ora ci sono giocatori che trovi anche in Serie B, in Serie C. Hanno un cognome difficile, quindi impattano sul pubblico. E poi un’altra cosa, meno potere e procuratori”.
Le interviste
ESCLUSIVA CS – Giulio Scarpati: “La Roma non ha l’obbligo di vincere, per questo oggi vola. Gasperini ha cambiato tutto: ora la squadra corre fino al 90°”
Lo storico volto di Un Medico in Famiglia e romanista dichiarato, Giulio Scarpati ha raccontato ai nostri microfoni una vita intrecciata al giallorosso: dagli anni dell’alzabandiera sempre ammainato alle domeniche allo stadio con il fratello, fino allo sguardo lucido sulla Roma di oggi.
In una lunga intervista, Scarpati ha condiviso le sue opinioni sul lavoro di Gasperini, il momento della squadra, gli obiettivi stagionali e la crisi della Nazionale. Un dialogo sincero, appassionato, a tratti critico, che ci rivelato l’anima di un tifoso autentico, oltre che di un grande attore.
Di seguito, l’intervista di Giulio Scarpati.
Le parole di Giulio Scarpati
Ci vuole parlare del suo legame con la Roma?
“Essere tifoso della Roma significa, prima di tutto, accettare una certa dose di sofferenza. Negli anni ’60 la squadra non era certo tra le grandi. La Juventus ci passava spesso i suoi “bidoni”, giocatori ormai a fine carriera. Per fortuna, con il tempo, la società è cresciuta e si è strutturata molto meglio. La mia passione è nata grazie a mio fratello maggiore, romanista sfegatato. A casa avevamo l’alzabandiera da issare quando la Roma vinceva, ma non lo usavamo quasi mai… le vittorie erano rare, così la bandiera rimaneva per lo più ammainata. Ricordo anche che quando la Roma vinceva, ritagliavamo i titoli di giornale e li attaccavamo in camera. Da bambino andavo anche tanto spesso allo stadio con la tessera dello Junior Club, sempre assieme a mio fratello.
Da attore, poi, mi è capitato di giocare più volte con la Nazionale degli Attori, allenata da Giacomo Losi: una persona straordinaria. Mi dava ottimi consigli su come migliorare in difesa, il ruolo in cui giocavo. Io e mio fratello abbiamo sempre seguito la Roma, nel bene e nel male. Forse avremmo potuto vincere qualcosa di più, ma proprio perché si vince poco, quando succede la gioia è enorme. I festeggiamenti per uno Scudetto a Roma…a Torino se li sognano!”
Mettiamo da parte il passato e guardiamo al presente: avrebbe mai immaginato a inizio stagione questa Roma capolista?
“Assolutamente no, devo essere sincero. Però riponevo molta fiducia in Gasperini, che sa fare benissimo il suo lavoro. Si è integrato in modo sorprendente e credo che anche il lavoro miracoloso fatto da Ranieri l’anno scorso lo abbia agevolato. Peccato per quella Champions sfiorata di un punto. Chissà, magari con altre due partite ci saremmo qualificati noi al posto della Juventus… Da tifoso, comunque, sono felicissimo del percorso che stiamo facendo.”
È davvero soddisfatto in tutto?
“Beh, l’unica ombra, finora, è l’Europa League. Non stiamo brillando e migliorare la classifica sarà complicato, soprattutto con tutte le partite ravvicinate. L’obiettivo sarebbe entrare tra le prime otto, ma la vedo dura. Detto ciò, resto ottimista: per me è già molto ciò che la squadra ha fatto finora.”
Dove si nota maggiormente la mano di Gasperini?
“Ha ridato motivazione a tanti giocatori. Penso a Pellegrini, che sta vivendo una vera e propria rinascita. Anche il gioco è cambiato. Oggi le partite sono più dinamiche, divertenti, c’è una chiara volontà di dominare l’avversario – una sensazione che, con tutto il rispetto, si percepiva meno nell’era Mourinho. Gasperini è l’allenatore ideale per questo gruppo, e lo dimostra la condizione atletica: la Roma corre e pressa fino al 90°, è un miglioramento enorme. Serve però che gli attaccanti inizino a segnare con più continuità, quello resta un problema.”

GIAN PIERO GASPERINI DA INDICAZIONI AI SUOI RAGAZZI. IN EVIDENZA EL AYNAOUI E TSIMIKAS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
La Roma ha subito solo cinque gol diventando così la miglior difesa del campionato. Come se lo spiega?
“Molto merito va a Svilar, che sta facendo miracoli. Negli ultimi anni abbiamo avuto portieri straordinari – da Alisson a Szczęsny – e lui sta seguendo quella scia. C’è poi la crescita di Mancini e, più in generale, l’organizzazione difensiva plasmata da Gasp. Non c’è un singolo leader: la forza è il gruppo. Ed è bello vedere che l’allenatore coinvolga tutti, soprattutto i giovani come Pisilli.”
Si può dire allora che Gasperini sia un allenatore che sposta gli equilibri? Guardando l’Atalanta con Juric verrebbe da pensarlo…
“Al di là del valore di Gasperini, credo che Juric abbia limiti nella gestione del gruppo. È suscettibile e comunica poco coi giocatori. Gasperini, anche quando si arrabbia, lo fa per stimolare. Juric non mi è sembrato ancora abbastanza maturo per allenare una grande squadra.”
Non teme un calo di rendimento della rosa?
“La vera incognita restano gli infortuni. Dybala è un valore assoluto, ma purtroppo non garantisce continuità. A questo si aggiunge il vincolo del fair play finanziario, che ha limitato la possibilità di intervenire sul mercato con innesti mirati. Detto ciò, apprezzo molto il lavoro della società e, in particolare, l’impronta lasciata da Ranieri: si sarà capito che ho un debole per lui! Lo stimo profondamente per come l’anno scorso è riuscito a risollevare la squadra.”
C’è qualcosa che la Roma ha più degli altri top club?
“Sì, ha un vantaggio psicologico enorme. Non ha l’obbligo di vincere sempre e comunque, come accade invece a Inter o Napoli. E questo, in campo, pesa eccome.”
Eppure, negli scontri diretti la squadra fatica…
“Diciamo che molti avversari contro cui abbiamo perso erano più attrezzati. Col Milan abbiamo sbagliato l’approccio perché siamo sì partiti fortissimo, ma non siamo mai riusciti a concretizzare. Con l’Inter il divario tecnico si è visto. Non credo ci sia un problema strutturale negli scontri diretti; piuttosto dobbiamo essere più cinici quando le occasioni capitano, perché in partite del genere non sono mai tante.”
Che idea si è fatto delle altre big del campionato?
“Sono certo che la Juventus con Spalletti adesso crescerà moltissimo. L’Inter è fortissima ma talvolta vince anche con un po’ di fortuna, ed è quella che temo di più. Il Milan mi sembra più solido dello scorso anno. Il Napoli con Conte non mollerà un centimetro: è tignoso e combatterà fino alla fine anche se ora è in difficoltà.”

L’ESULTANZA URLO DI ANTONIO CONTE DOPO IL GOL DI SPINAZZOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Qual è l’obiettivo minimo della Roma?
“La Coppa Italia.”
Perché proprio la Coppa Italia?
“Perché sarebbe fantastico vincere la decima.”
E l’obiettivo più grande, invece?
“Tornare a giocare in Champions. È un qualcosa di fondamentale anche a livello economico.”
Passiamo alla Nazionale. Cosa ne pensa della disfatta contro la Norvegia?
“È stata una partita strana. Nel primo tempo abbiamo fatto meglio noi, loro sembravano quasi in vacanza. Poi, quando la Norvegia ha iniziato a far valere la sua qualità, l’Italia ha perso ritmo ed è andata in blackout. Purtroppo, in Nazionale il problema è molto più profondo di quanto sembri…”
A cosa si riferisce?
“Al fatto che da anni la Nazionale non esprime un gioco convincente. I club hanno ormai un peso enorme e i raduni non sono più quelli di una volta. Spalletti, secondo me, ha fallito proprio per questo: non ha avuto il tempo necessario per costruire un’identità di gruppo.”
Che ne pensa invece di Gattuso?
“È un allenatore onesto, diretto, che dice ai giocatori ciò che pensa. Lo apprezzo molto.”
Ora che i playoff sono una realtà, ritiene che l’Italia riuscirà a supererli?
“Se incroceremo squadre meno attrezzate di noi, credo proprio di sì. E speriamo anche in un pizzico di fortuna, che non guasta mai.”

MATEO RETEGUI RAMMARICATO ( FOTO KEYPRESS )
Le bombe di Vlad
LBDV presenta: “Il portiere di Ceaușescu” e “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio”
Domenica 16 novembre, alle ore 18.00, il Punk Roma (Via dei Durantini 18, Roma) ospiterà un evento speciale dedicato alla letteratura sportiva e alla cultura calcistica.
Protagonisti della serata saranno due firme d’eccezione: Guy Chiappaventi, giornalista di La7, autore del libro “Il portiere di Ceaușescu” (Bibliotheka Edizioni), e Ciro Romano, caporedattore di LBDV, che presenterà “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio” (Garrincha Edizioni).
A dialogare con gli autori ci sarà Daniele Garbo, giornalista sportivo già volto di Mediaset e Direttore Editoriale di LBDV, mentre la presentazione sarà affidata al giornalista di Le Bombe di Vlad, Alberto Caccia.
L’incontro rappresenta un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di calcio, giornalismo e narrazione sportiva. Due libri diversi ma accomunati da una stessa passione: quella per il pallone e per le storie che lo rendono eterno.
Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe
Una storia lunga quasi quarant’anni e undici metri, la storia di quando una squadra di sconosciuti strappò il titolo più importante del calcio europeo – la Coppa dei Campioni – a una superpotenza, il Barcellona.
Era la notte magica del 7 maggio 1986 quando, nello stadio di Siviglia, Helmut Duckadam, allora ventisettenne, riuscì nell’impresa di parare tutti e quattro i rigori dei giocatori catalani consentendo alla Steaua Bucarest di laurearsi campione d’Europa, prima volta per una squadra dell’Est. Una notte di felicità per un popolo che viveva con le luci spente, senza riscaldamento e con il frigorifero vuoto.
Quando la Steaua rientrò in Romania, all’aeroporto 15 mila persone accolsero i giocatori e almeno altrettante scesero in strada per seguire il tragitto del pullman fino a Bucarest. Fu un fatto insolito per la Romania comunista, dove le manifestazioni spontanee di piazza erano vietate, ma il regime volle capitalizzare la vittoria. Il presidente Ceaușescu invitò la squadra a palazzo e Duckadam diventò per sempre l’eroe di Siviglia.
L’autore
Giornalista, inviato del tg La7. Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise. Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.
Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio
Ciro Romano ci racconta le gesta dello storico portiere olandese Jongbloed, eroe dell’arancia meccanica di sua maestà Cruijff . Un viaggio dentro la vita di uno dei calciatori più importanti della sua era. Non una monografia, dimenticate i tabellini, quello che troverete in queste pagine è l’atmosfera, è l’uomo prima del calciatore, è la storia prima dei gol, è il lato nascosto del pallone. Preparatevi, riavvolgete il nastro, premete play e godetevi questa partita di carta e inchiostri, inseguendo in campo un calciatore indimenticabile. Una nuova figurina letteraria da collezionare, una nuova figurina per completare lo scaffale dei campioni.
L’autore
Ciro Romano vive a Salerno è avvocato, abilitato alle Magistrature Superiori. Guarda il calcio dall’età di tre anni, e ne scrive per testate giornalistiche e pagine social. Prima per passione, poi per motivi professionali, diventa esperto di tifo radicale. Tiene conferenze e partecipa a dibattiti pubblici per l’abolizione alle limitazioni di legge al tifo e agli spostamenti delle tifoserie.
Ha pubblicato “Volevo solo giocare a ping pong” (Caffèorchidea).
(Foto: DepositPhotos)
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