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ESCLUSIVA CS – Cenciarelli: “In questo sport non c’è umanità. Voglio aiutare le persone. E su Camilli…”

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Cenciarelli

L’ex centrocampista di Gubbio, Viterbese e San Benedettese, Diego Cenciarelli, ha rilasciato un’intervista esclusiva ai nostri microfoni.

Diego Cenciarelli ha rilasciato una lunga intervista in esclusiva ai nostri microfoni. Di seguito le sue parole:

Cenciarelli

Tu hai iniziato con la Fiorentina giovanile?
“Sì, prima della Fiorentina sono stato un anno e mezzo a Modena, quando il Modena era in Serie A. Stavo in un convitto, in un appartamento a tre piani, con altri ragazzi che venivano da fuori. Io però ero il più piccolo che c’era dentro la casa. Gli altri partivano tutti dai 16 anni, se non sbaglio”. 
Qual è la tua esperienza a livello calcistico più stimolante, più bella che hai vissuto, insieme anche al discorso tifosi, società e obiettivi?
“Sono stato abbastanza fortunato. Da ogni esperienza che ho vissuto ho cercato nella mia vita di prendere il positivo.
Se invece, ti dico una piazza dove sono stato male, l’unica forse è Campobasso, ma perché c’era una società non all’altezza della situazione”.
Era poi all’inizio della tua carriera, diciamo a livello professionistico?
“Si, è stato il mio anno da professionista”.
Quindi teoricamente ti poteva pure distruggere la carriera essendo all’inizio?
“Eh, infatti all’inizio ho avuto un pò di problemi. C’era un clima particolare all’interno dello spogliatoio. Eppure stavamo facendo bene, tutti stavano facendo bene perché nel girone c’era il Perugia, che doveva arrivava primo perché doveva vincere il campionato, e noi eravamo secondi dopo 8, 9 giornate.
Poi si è sfasciato tutto. Io sono andato via, ho dovuto rinunciare a degli stipendi”.
Andando avanti con la tua carriera possiamo dire che forse proprio con la Viterbese hai avuto ambizioni importanti perché la squadra dove stavi era molto forte per per la categoria, con Sforzini, Jefferson?
“Sì, ho giocato sempre in squadre che hanno fatto play off, come minimo. A partire dalla serie D e fino alla Lega Pro. Non ho mai lottato per salvarmi. Mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto e io ho sempre dato il mio contributo”.

Quella Viterbese, secondo te poteva fare pure meglio, vero?

“La Viterbese secondo me, l’anno che abbiamo vinto la Coppa Italia di Lega Pro, poteva vincere il campionato. Poteva ambire a stare tra le prime tre. Se non fosse successo quel ritardo causato dal fatto che il presidente dell’epoca non voleva giocare nel girone del Sud ma voleva che noi fossimo messi nel girone del del Centro”.

Camilli, ogni tanto, ci ha messo del suo?
“Non è stato quello, lui è una persona secondo me con dei valori, con dei principi e le potenzialità per dire quello che pensa anche andando contro la Lega Pro.
Lui faceva le guerre da solo, per le sue cause. È una persona che che ho sempre stimato e che a me mi ha dato tanto.

Lui e pure i suoi figli erano molto attaccati all’ambiente viterbese. Infatti poi, hai visto che fine ha fatto? Segui ancora le tue ex squadre?
Sì, la sto seguendo. Per esempio la vicenda legata al campo con il sindaco che non vuole dare lo stadio”.
Diego, poi sei andato a Gubbio?
“Si, ho firmato un biennale a Gubbio, e lì è cominciato l’incubo. Ho incominciato a stare male e a non credere più in me stesso, ad aver paura di tutto. Tanto che un giorno durante un allenamento ho preso un pestone da un mio compagno e qualche giorno dopo avevamo un’amichevole contro il Livorno.
Io avevo paura di giocare questa partita, non so per quale motivo.
Era un’amichevole, avevo giocato davanti a 15.000 persone e in quel momento avevo paura di di giocare un’amichevole contro Livorno.
Poi mi sono dato un calcio sul piede dove avevo preso quel pestone. E lì per lì tutto bene. Poi ho pensato ma cosa ho fatto? Pensavo di aver fatto una truffa nei confronti della società. 
Ho pensato di andare in carcere per questa cosa e tutti provavano a spiegarmi che non era così. Io però non ascoltavo nessuno. Mi ricordo che andavo dagli avvocati per sentire se dovevo andare in carcere o meno”.
Quindi diciamo un pò di pressione personale, anzi depressione proprio?
“Sì”.
Cenciarelli
Poi, appunto, sei andato alla San Benedettese?
“Si, il problema è che lì ho smesso di prendere le medicine perché in quel periodo prendevo delle medicine”. 
Sempre per il problema dell’ansia?
“Si, da lì incominciai a fare cose che non stanno né in cielo né in terra. A San Benedetto ero convinto anche lì di dover andare in carcere, che tutti ce l’avevano con me.
Poi siccome avevo ancora un altro anno di contratto, il Gubbio per per giusta causa mi ha rescisso il contratto e mi sono ritrovato a spasso.
Ma ero fuori di testa. Mi hanno fatto pure un TSO perché ero scappato per per due settimane. Stavo a Civitanova Marche e dormivo in macchina o al mare con un sacco a pelo. Non mi trovava nessuno, avevo fatto perdere le mie tracce”.
Gubbio è stata, perciò, l’ultima apparizione vera e propria da calciatore?
“L’ultima da professionista l’ho fatta con la San Benedettese. Poi ho smesso e sono andato in Sicilia da mia mamma. Avevo all’incirca 28, 29 anni. Da lì è iniziato il tutto”.
Adesso che sei più consapevole di te stesso, hai una giustificazione a questa situazione, oppure non non sai ancora realmente il motivo di questa esplosione di ansia?
“Non te lo so dire perché ancora me lo domando, mi chiedo il perché”.
Ma tutto quello che è successo è dovuto alle pressioni che si hanno da calciatore professionista?
“Il periodo che sono stato con Camilli no. Io sono stato tre anni con lui, sono stato l’unico che lui ha proprio voluto. Ad esempio, un anno avevo la possibilità di andare via in Serie B a Terni e lui non ha voluto. Ma perché fondamentalmente c’era un legame molto importante quasi padre figlio. Sono stata una persona a cui lui ha voluto bene”.
Ricordo che ti amavo tutti alla Viterbese, giusto?
“Cerco sempre di farmi voler bene, infatti quando non ci sono riuscito, tipo a Gubbio o a San Benedetto, è perché sono stato male.Non c’ero con la testa. Adesso mi trovo a Villa Azzurra in una comunità terapeutica da due anni e mezzo e ci dovrò rimanere per altri tre.

Devo ringraziare alcune persone perché mi stanno dando affetto, amicizia. E non è scontato in un luogo di lavoro trovare persone che ti danno la propria amicizia.
Devo ringraziare la dottoressa Claudia Sammartano, Matteo Asaro, Annamaria Inzerillo, Valeria Piazza, Giovanni Inglese, Valeria Genova.
Se adesso comunque sono più consapevole della mia patologia e anche perché in questi due anni e mezzo, stando in un luogo protetto, ho avuto la possibilità di pensare a quello che realmente è la mia patologia”.
Cosa ti ha dato il calcio? Cosa ti ha tolto?
“Il calcio sicuramente mi ha dato soddisfazioni a livello personale. Però in questo percorso ho anche incontrato persone poco umane, perché in questo sport purtroppo non c’è tanto umanità. 
Si guarda solo ai risultati a alle prestazioni”.
C’era un allenatore o un giocatore che secondo te poteva ambire a piazze più importanti?
“Te ne dico quattro di allenatori. Calabro, Sottili, Bertotto e Vivarini.
Riguardo Sottili, secondo me, l’unico suo difetto era la gestione del gruppo squadra, però si lavora molto bene con lui. A me ha aiutato a crescere, mi dava bastone e carota”.
Calciatori invece?
“Potenzialmente tanti. Mi ricordo di Fabihno a Perugia, Chiricò. Luca Baldassin a me piaceva molto, eravamo compagni di reparto con Damiani. Un altro forte era Amadio”.
Cenciarelli

Adesso cosa farai? Hai già pensato a cosa fare al momento?
“Non ci sto pensando. Fondamentalmente, vivo giorno per giorno. Mi piacerebbe umanamente aiutare le persone.
Devo ringraziare anche mia mamma. Non è che io abbia un bel rapporto con mamma però non posso negare che io gli sono riconoscente, ho rischiato anche la vita. Ho tentato il suicidio, sono stato in coma.
Ho toccato con il fondo, ecco perchè adesso non non c’è niente che mi spaventa, forse.
Un altro errore che ho fatto nella mia vita è sicuramente la ludopatia. Giocavano solamente alle slot. Però ho buttato un sacco di soldi alle slot machine”.
A proposito di questo fatto, che ne pensi del faccenda legata a Tonali e Fagioli?
“Io posso solo augurargli di uscire fuori da questa cosa. Non mi sento di condannare questo tipo di cose perché quando sei un ragazzo e soprattutto hai milioni di euro a disposizione è molto facile cadere in tentazione.
Sicuramente questa esperienza che hanno avuto, anche a livello mediatico, che li ha esposti in maniera così così forte, li fortificherà e li farà diventare delle persone migliori.
Se io penso ai soldi che ho buttato alle slot machine, quante di queste persone avrei potuto aiutare.
Sono fondamentalmente stato un egoista, ma non volontariamente, perché io non andavo per vincere soldi. Io ero ammaliato da quelle maledette musichette.
Son cose che ti fanno perdere proprio il senso del mondo, ti creano un mondo parallelo.
Per me è stata una malattia e solamente adesso posso dire di esserne uscito fuori perché non voler più buttare nemmeno 1 €”.

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ESCLUSIVA CS – Carlo Nervo: “Il Bologna può arrivare in Europa quest’anno ha una rosa molto competitiva. Nazionale? Ci sono troppi…”

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Bologna, Carlo Nervo su Orsolini

L’ex centrocampista del Bologna Carlo Nervo (1994-2005, 2006-2007) ha parlato ai nostri microfoni della’attuale situazione dei rossoblù, sulla lotta Scudetto in Serie A e molto altro.

In un’intervista di 5 minuti, Carlo Nervo ha detto la sua su come può andare il Bologna questa stagione, parlando anche di giocatori come Bernardeschi e Orsolini, e anche dell’allenatore dei rossoblù Vincenzo Italiano.

Inoltre ha analizzato anche la situazione della Nazionale Italiana e del motivo per cui, secondo lui, gli Azzurri stanno vivendo un momento così complicato.

Di seguito, l’intervista di Carlo Nervo.

Le parole di Carlo Nervo

Dove può arrivare questo Bologna in campionato e in coppa?

“Vista espressione di gioco e i risultati, può arrivare in alto. Secondo me l’Europa dovrebbe essere la giusta posizione, però sognare non costa niente. Le altre squadre sono forti, però il Bologna li ha messi sotto”.

Secondo lei il Bologna ha bisogno di rinforzarsi nel mercato di gennaio, visti alcuni infortuni sulle fasce?

” A mio avviso, a parte gli infortuni, la rosa é completa. Immobile, al momento, é fuori ma é un giocatore forte che segna molti gol: inoltre la crescita di Bernardeschi é stata importante. Secondo me la rosa é molto competitiva, io non toccherei niente”.

Chi vince il campionato?

“Bella domanda, magari il Bologna. No, io vedo il Milan che può insidiarsi”.

Quindi Allegri con il suo Corto Muso?

“Secondo me hanno una bella rosa e un allenatore che sa vincere”.

Italiano é un pò sottovalutato come allenatore?

“No, non é sottovalutato, nel senso che lui é già in una grande squadra, perché il Bologna é una grande squadra”.

Carlo Nervo

VINCENZO ITALIANO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Un aggettivo per l’allenatore e per quello che sta facendo?

“Consapevole: lui é consapevole di essere in una grande piazza”.

Orsolini? E’ un Nervo 2.0

“No, secondo me è più forte. Vede molto la porta, ma soprattutto é un ragazzo per bene che é legato alla città e alla maglia. Quindi deve continuare come sta facendo”.

Adesso nella Nazionale Italiana c’é meno abbondanza di grandi giocatori. Come si può risolvere questa cosa?

“Ai miei tempi per andare in Nazionale dovevi essere forte. Adesso fai dieci partite bene in Serie A e ti chiamano in Nazionale. Non ci sono i campioni come Del Piero e Totti: bisognerà analizzare perché non vengono fuori questi talenti qui in Italia, e valutare tutti i settori giovanili.

Poi, troppi stranieri: quando c’ero io arrivavano i top player stranieri, ora ci sono giocatori che trovi anche in Serie B, in Serie C. Hanno un cognome difficile, quindi impattano sul pubblico. E poi un’altra cosa, meno potere e procuratori”.

 

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ESCLUSIVA CS – Giulio Scarpati: “La Roma non ha l’obbligo di vincere, per questo oggi vola. Gasperini ha cambiato tutto: ora la squadra corre fino al 90°”

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Lo storico volto di Un Medico in Famiglia e romanista dichiarato, Giulio Scarpati ha raccontato ai nostri microfoni una vita intrecciata al giallorosso: dagli anni dell’alzabandiera sempre ammainato alle domeniche allo stadio con il fratello, fino allo sguardo lucido sulla Roma di oggi.

In una lunga intervista, Scarpati ha condiviso le sue opinioni sul lavoro di Gasperini, il momento della squadra, gli obiettivi stagionali e la crisi della Nazionale. Un dialogo sincero, appassionato, a tratti critico, che ci rivelato l’anima di un tifoso autentico, oltre che di un grande attore.

Di seguito, l’intervista di Giulio Scarpati. 

Le parole di Giulio Scarpati

Ci vuole parlare del suo legame con la Roma?
“Essere tifoso della Roma significa, prima di tutto, accettare una certa dose di sofferenza. Negli anni ’60 la squadra non era certo tra le grandi. La Juventus ci passava spesso i suoi “bidoni”, giocatori ormai a fine carriera. Per fortuna, con il tempo, la società è cresciuta e si è strutturata molto meglio. La mia passione è nata grazie a mio fratello maggiore, romanista sfegatato. A casa avevamo l’alzabandiera da issare quando la Roma vinceva, ma non lo usavamo quasi mai… le vittorie erano rare, così la bandiera rimaneva per lo più ammainata. Ricordo anche che quando la Roma vinceva, ritagliavamo i titoli di giornale e li attaccavamo in camera. Da bambino andavo anche tanto spesso allo stadio con la tessera dello Junior Club, sempre assieme a mio fratello.

Da attore, poi, mi è capitato di giocare più volte con la Nazionale degli Attori, allenata da Giacomo Losi: una persona straordinaria. Mi dava ottimi consigli su come migliorare in difesa, il ruolo in cui giocavo. Io e mio fratello abbiamo sempre seguito la Roma, nel bene e nel male. Forse avremmo potuto vincere qualcosa di più, ma proprio perché si vince poco, quando succede la gioia è enorme. I festeggiamenti per uno Scudetto a Roma…a Torino se li sognano!

Mettiamo da parte il passato e guardiamo al presente: avrebbe mai immaginato a inizio stagione questa Roma capolista?
“Assolutamente no, devo essere sincero. Però riponevo molta fiducia in Gasperini, che sa fare benissimo il suo lavoro. Si è integrato in modo sorprendente e credo che anche il lavoro miracoloso fatto da Ranieri l’anno scorso lo abbia agevolato. Peccato per quella Champions sfiorata di un punto. Chissà, magari con altre due partite ci saremmo qualificati noi al posto della Juventus… Da tifoso, comunque, sono felicissimo del percorso che stiamo facendo.”

È davvero soddisfatto in tutto?
“Beh, l’unica ombra, finora, è l’Europa League. Non stiamo brillando e migliorare la classifica sarà complicato, soprattutto con tutte le partite ravvicinate. L’obiettivo sarebbe entrare tra le prime otto, ma la vedo dura. Detto ciò, resto ottimista: per me è già molto ciò che la squadra ha fatto finora.”

Dove si nota maggiormente la mano di Gasperini?
“Ha ridato motivazione a tanti giocatori. Penso a Pellegrini, che sta vivendo una vera e propria rinascita. Anche il gioco è cambiato. Oggi le partite sono più dinamiche, divertenti, c’è una chiara volontà di dominare l’avversario – una sensazione che, con tutto il rispetto, si percepiva meno nell’era Mourinho. Gasperini è l’allenatore ideale per questo gruppo, e lo dimostra la condizione atletica: la Roma corre e pressa fino al 90°, è un miglioramento enorme. Serve però che gli attaccanti inizino a segnare con più continuità, quello resta un problema.”

Giulio Scarpati

GIAN PIERO GASPERINI DA INDICAZIONI AI SUOI RAGAZZI. IN EVIDENZA EL AYNAOUI E TSIMIKAS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

La Roma ha subito solo cinque gol diventando così la miglior difesa del campionato. Come se lo spiega?
“Molto merito va a Svilar, che sta facendo miracoli. Negli ultimi anni abbiamo avuto portieri straordinari – da Alisson a Szczęsny – e lui sta seguendo quella scia. C’è poi la crescita di Mancini e, più in generale, l’organizzazione difensiva plasmata da Gasp. Non c’è un singolo leader: la forza è il gruppo. Ed è bello vedere che l’allenatore coinvolga tutti, soprattutto i giovani come Pisilli.”

Si può dire allora che Gasperini sia un allenatore che sposta gli equilibri? Guardando l’Atalanta con Juric verrebbe da pensarlo…
“Al di là del valore di Gasperini, credo che Juric abbia limiti nella gestione del gruppo. È suscettibile e comunica poco coi giocatori. Gasperini, anche quando si arrabbia, lo fa per stimolare. Juric non mi è sembrato ancora abbastanza maturo per allenare una grande squadra.”

Non teme un calo di rendimento della rosa?
“La vera incognita restano gli infortuni. Dybala è un valore assoluto, ma purtroppo non garantisce continuità. A questo si aggiunge il vincolo del fair play finanziario, che ha limitato la possibilità di intervenire sul mercato con innesti mirati. Detto ciò, apprezzo molto il lavoro della società e, in particolare, l’impronta lasciata da Ranieri: si sarà capito che ho un debole per lui! Lo stimo profondamente per come l’anno scorso è riuscito a risollevare la squadra.”

C’è qualcosa che la Roma ha più degli altri top club?
“Sì, ha un vantaggio psicologico enorme. Non ha l’obbligo di vincere sempre e comunque, come accade invece a Inter o Napoli. E questo, in campo, pesa eccome.”

Eppure, negli scontri diretti la squadra fatica…
“Diciamo che molti avversari contro cui abbiamo perso erano più attrezzati. Col Milan abbiamo sbagliato l’approccio perché siamo sì partiti fortissimo, ma non siamo mai riusciti a concretizzare. Con l’Inter il divario tecnico si è visto. Non credo ci sia un problema strutturale negli scontri diretti; piuttosto dobbiamo essere più cinici quando le occasioni capitano, perché in partite del genere non sono mai tante.”

Che idea si è fatto delle altre big del campionato?
“Sono certo che la Juventus con Spalletti adesso crescerà moltissimo. L’Inter è fortissima ma talvolta vince anche con un po’ di fortuna, ed è quella che temo di più. Il Milan mi sembra più solido dello scorso anno. Il Napoli con Conte non mollerà un centimetro: è tignoso e combatterà fino alla fine anche se ora è in difficoltà.”

Giulio Scarpati

L’ESULTANZA URLO DI ANTONIO CONTE DOPO IL GOL DI SPINAZZOLA ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Qual è l’obiettivo minimo della Roma?
“La Coppa Italia.”

Perché proprio la Coppa Italia?
“Perché sarebbe fantastico vincere la decima.”

E l’obiettivo più grande, invece?
“Tornare a giocare in Champions. È un qualcosa di fondamentale anche a livello economico.”

Passiamo alla Nazionale. Cosa ne pensa della disfatta contro la Norvegia?
“È stata una partita strana. Nel primo tempo abbiamo fatto meglio noi, loro sembravano quasi in vacanza. Poi, quando la Norvegia ha iniziato a far valere la sua qualità, l’Italia ha perso ritmo ed è andata in blackout. Purtroppo, in Nazionale il problema è molto più profondo di quanto sembri…”

A cosa si riferisce?
“Al fatto che da anni la Nazionale non esprime un gioco convincente. I club hanno ormai un peso enorme e i raduni non sono più quelli di una volta. Spalletti, secondo me, ha fallito proprio per questo: non ha avuto il tempo necessario per costruire un’identità di gruppo.”

Che ne pensa invece di Gattuso?
“È un allenatore onesto, diretto, che dice ai giocatori ciò che pensa. Lo apprezzo molto.”

Ora che i playoff sono una realtà, ritiene che l’Italia riuscirà a supererli?
“Se incroceremo squadre meno attrezzate di noi, credo proprio di sì. E speriamo anche in un pizzico di fortuna, che non guasta mai.”

Giulio Scarpati

MATEO RETEGUI RAMMARICATO ( FOTO KEYPRESS )

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Le bombe di Vlad

LBDV presenta: “Il portiere di Ceaușescu” e “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio”

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Women's Champions League

Domenica 16 novembre, alle ore 18.00, il Punk Roma (Via dei Durantini 18, Roma) ospiterà un evento speciale dedicato alla letteratura sportiva e alla cultura calcistica.
Protagonisti della serata saranno due firme d’eccezione: Guy Chiappaventi, giornalista di La7, autore del libro “Il portiere di Ceaușescu” (Bibliotheka Edizioni), e Ciro Romano, caporedattore di LBDV, che presenterà “Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio” (Garrincha Edizioni).

A dialogare con gli autori ci sarà Daniele Garbo, giornalista sportivo già volto di Mediaset e Direttore Editoriale di LBDV, mentre la presentazione sarà affidata al giornalista di Le Bombe di Vlad, Alberto Caccia.

L’incontro rappresenta un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di calcio, giornalismo e narrazione sportiva. Due libri diversi ma accomunati da una stessa passione: quella per il pallone e per le storie che lo rendono eterno.

Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe

Una storia lunga quasi quarant’anni e undici metri, la storia di quando una squadra di sconosciuti strappò il titolo più importante del calcio europeo – la Coppa dei Campioni – a una superpotenza, il Barcellona.
Era la notte magica del 7 maggio 1986 quando, nello stadio di Siviglia, Helmut Duckadam, allora ventisettenne, riuscì nell’impresa di parare tutti e quattro i rigori dei giocatori catalani consentendo alla Steaua Bucarest di laurearsi campione d’Europa, prima volta per una squadra dell’Est. Una notte di felicità per un popolo che viveva con le luci spente, senza riscaldamento e con il frigorifero vuoto.
Quando la Steaua rientrò in Romania, all’aeroporto 15 mila persone accolsero i giocatori e almeno altrettante scesero in strada per seguire il tragitto del pullman fino a Bucarest. Fu un fatto insolito per la Romania comunista, dove le manifestazioni spontanee di piazza erano vietate, ma il regime volle capitalizzare la vittoria. Il presidente Ceaușescu invitò la squadra a palazzo e Duckadam diventò per sempre l’eroe di Siviglia.

L’autore

Giornalista, inviato del tg La7. Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise. Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.

Jongbloed. Il romanzo del tabaccaio

Ciro Romano ci racconta le gesta dello storico portiere olandese Jongbloed, eroe dell’arancia meccanica di sua maestà Cruijff . Un viaggio dentro la vita di uno dei calciatori più importanti della sua era. Non una monografia, dimenticate i tabellini, quello che troverete in queste pagine è l’atmosfera, è l’uomo prima del calciatore, è la storia prima dei gol, è il lato nascosto del pallone. Preparatevi, riavvolgete il nastro, premete play e godetevi questa partita di carta e inchiostri, inseguendo in campo un calciatore indimenticabile. Una nuova figurina letteraria da collezionare, una nuova figurina per completare lo scaffale dei campioni.

L’autore

Ciro Romano vive a Salerno è avvocato, abilitato alle Magistrature Superiori. Guarda il calcio dall’età di tre anni, e ne scrive per testate giornalistiche e pagine social. Prima per passione, poi per motivi professionali, diventa esperto di tifo radicale. Tiene conferenze e partecipa a dibattiti pubblici per l’abolizione alle limitazioni di legge al tifo e agli spostamenti delle tifoserie.

Ha pubblicato “Volevo solo giocare a ping pong” (Caffèorchidea).

(Foto: DepositPhotos)

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