Focus
Mazzone: due anni senza l’umanità di un gigante del calcio
Mazzone: oggi ricorrono due anni dalla sua scomparsa dopo una carriera lunghissima, con oltre 1.200 panchine ufficiali, un record nel calcio italiano.
Nel cuore del racconto, al centro di ogni parola, c’è sempre lui: Carlo Mazzone.
Nato a Roma il 19 marzo 1937, scomparso il 19 agosto 2023 ad Ascoli Piceno, dopo una vita dedicata al calcio ma, soprattutto, alle persone che lo vivevano.
Chi era Carlo Mazzone
Romano de Roma: “Sor Carletto”: l’accento, la romanità, la genuinità.
Carlo Mazzone nasce a Roma il 19 marzo 1937, quartiere Testaccio a due calci dalla storia. Il calcio lo prende presto, ma lo rilascia prima del previsto: a soli 27 anni deve smettere di giocare per un brutto infortunio al ginocchio, quando indossava la maglia dell’Ascoli.
Infatti inizi la carriera come calciatore in club come Ascoli, Roma, SPAL.
La città marchigiana è il centro intorno a cui ruota tutto: qui non chiude soltanto una carriera da difensore, ma apre, senza nemmeno rendersene conto, una delle avventure più longeve e appassionate da allenatore del nostro calcio.
Sarà infatti ct di Ascoli, Roma, Brescia, Bologna, Fiorentina, Napoli… e ancora Roma, fino al Livorno del 2006.
A Brescia, innovatore autentico: qui inventò il ruolo da regista ritirato per un giovanissimo Andrea Pirlo, liberandone il talento.
La romanità di Mazzone non era folklore, era sostanza: parlata schietta, cuore caldo, zero finzioni. Era capace di difendere i suoi uomini come un fratello maggiore in curva sud, e di rimproverarli come un padre al pranzo di Natale.
Celebre il suo sprint sotto la curva dell’Atalanta nel 2001, urlando ai tifosi dopo un insulto: gesto istintivo, vero, imperfetto… autentico. Come lui.
Il “tipo” che era: carattere, rapporto coi giocatori, romanità
Il ritratto più struggente nel docufilm Come un padre, diretto da Alessio Di Cosimo nel 2022, disponibile su Prime Video.
“Allenatore umano, capace di dosare bastone e carota… Ci sono allenatori per i quali i giocatori si getterebbero nel fuoco. Carlo Mazzone era uno di quelli.”
Uno stile da antico romano moderno, capace di imporsi con schiettezza e affetto, di parlare “col cuore”, parola di Claudio Ranieri.

E nel calcio moderno, un gigante buono, sincero e profondamente popolare.
Il docufilm racconta Mazzone attraverso le voci di chi lo ha conosciuto meglio: Francesco Totti, Andrea Pirlo, Pep Guardiola, e soprattutto Roberto Baggio.
Il film alterna immagini d’archivio, testimonianze e aneddoti che hanno il sapore di osteria del pallone. Il titolo non è un vezzo poetico: per molti Mazzone è stato davvero “come un padre”.
Roberto Baggio e l’arte di allenare le anime
Il loro rapporto non è stato fatto solo di campo: è stato fatto di ascolto. Mazzone capiva l’umore di Baggio prima ancora che lui entrasse nello spogliatoio. Gli bastava uno sguardo.
Per un tecnico con oltre 1.200 panchine, la psicologia valeva quanto la tattica.
Così, mentre altri allenatori si perdevano nel diagramma delle frecce sulla lavagna, Mazzone passava mezz’ora a chiedere “come stai davvero?”. È lì che nasceva la sua magia.
C’è un passaggio struggente in cui Baggio, voce rotta, racconta come Mazzone gli abbia restituito fiducia e serenità in un momento in cui sentiva di non avere più spazio nel calcio. Brescia, stagione 2000-2001: Mazzone lo mette al centro del progetto, lo lascia libero di inventare, gli toglie catene tattiche e paure. “Mi ha ridato la voglia di giocare” dice il Divin Codino. E Baggio, da allora, non ha mai smesso di considerarlo il suo allenatore del cuore.

La reazione del mondo, dentro e fuori il calcio
L’annuncio della sua scomparsa ha scosso profondamente il calcio italiano: minuto di silenzio in tutte le partite di Serie A.
Messaggi di cordoglio emozionati da Francesco Totti: “Padre, mister e maestro. Eternamente grazie”.
Roberto Baggio lo definisce “gigante di umanità”, Andrea Pirlo (anche lui definito “figlio”) dichiara: “Ti devo tanto”.
Tra i club, il Torino: “Un grande uomo”; il Bologna: “Ci mancherai, Mister”; la Roma e moltissimi altri hanno espresso affetto sincero.
Al di fuori del campo: la premier Giorgia Meloni “custode dei valori più sani dello sport” e il ministro Abodi “il suo calcio, appassionato, genuino…” lo ricordano con ammirazione filosofica.
Ascoli: il porto sicuro di Mazzone
Ad Ascoli, città che lo aveva accolto e amato, il lutto cittadino e parole intense dal Vescovo: “Lo salutiamo come un padre”, “una famiglia composta da tante città”.
Ad Ascoli non è stato solo mister: è stato cittadino onorario, simbolo, quasi patrono laico. In 21 anni di panchina in varie fasi, ha plasmato il club e la città. La squadra l’ha condotta in Serie A e ci ha lottato con dignità, la gente l’ha ripagato con affetto incondizionato. Il 19 agosto 2023, giorno della sua morte, il sindaco ha dichiarato lutto cittadino: segno che per Ascoli “Sor Carletto” non era solo un allenatore, ma un pezzo di famiglia.
Una domenica qualunque del Mazzone che resta nel cuore
E allora immaginiamolo, Carlo, in una domenica pomeriggio qualunque.
Sul prato verde, con il sole che gli batte sulla giacca, il vento che gli spettina un po’ la frangia, e quella postura da uomo che non si spaventa di niente.
La partita scorre, lui mastica nervoso, ma se ti avvicini senti che non mastica rabbia: mastica pensieri, strategia.
E ogni tanto una risata che rompe la tensione.
Perché il calcio di Mazzone era così: non solo schemi e punteggio, ma storie di uomini, spogliatoi che sanno di canfora e di verità. Era il calcio delle pacche sulle spalle e degli sguardi che dicono “ti ho capito”, prima ancora di parlare.
In Come un padre lo raccontano bene: Guardiola che lo osserva da giovane al Brescia, Baggio che gli deve la libertà ritrovata, Pirlo che confessa di aver cambiato carriera grazie a lui.
Ma anche Ascoli, che per lui è casa, luogo dove non sei “allenatore”, sei “Carletto nostro”.

Carlo Mazzone
E allora sì, è giusto che quando se n’è andato si sia fermato tutto: stadi, microfoni, tastiere, persino chi il calcio lo guarda distrattamente.
Perché un uomo così, quando parte per l’ultimo viaggio, lo saluti tutti insieme.
E forse oggi, mentre pensiamo a lui, Carletto starà già spiegando a qualche santo come si marca a zona… e poi, siccome il calcio è calcio, finirà col chiedere:
“Ma voi… siete tifosi dell’Ascoli, sì o no?”.
Focus
Roma-Genoa, Wesley vs Norton-Cuffy: sfida ad alta velocità
La gara tra Roma e Genoa sarà anche il confronto tra il brasiliano giallorosso e l’inglese rossoblù, due dei migliori terzini del campionato.
Domani sera la sfida tra Roma e Genoa chiuderà la diciassettesima giornata di Serie A. Una gara carica di significato in termini di classifica e, soprattutto, di emozioni, con il ritorno all’Olimpico per la prima volta da avversario dei giallorossi di Daniele De Rossi.
Ma la sfida tra giallorossi e rossoblù sarà anche l’occasione di assistere a duelli individuali, seppure su porzioni opposte di campo. La sfida più significativa, in questo senso, sarà quella tra i due terzini destri delle squadre: Wesley e Norton-Cuffy.
Wesley: dai dubbi sulle cifre all’insostituibilità
Il terzino brasiliano della Roma, arrivato nella capitale la scorsa estate per una cifra di quasi 30 milioni di euro dal Flamengo, è diventato uno dei punti fermi della squadra targata Gian Piero Gasperini. Dopo aver bagnato l’esordio ufficiale con la rete decisiva all’Olimpico nella prima partita di campionato contro il Bologna, nella primissima parte di stagione le prestazioni di Wesley avevano diviso gli addetti ai lavori ed i tifosi: volenteroso, ma troppo confusionario.

GIAN PIERO GASPERINI E WESLEY VINICIUS ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Eppure, partita dopo partita, Wesley è diventato costantemente uno dei migliori in campo. Il terzino brasiliano è, di fatto, la prima arma offensiva per la Roma in fase di proposta, ma anche in quella difensiva l’ex Flamengo ha mostrato un miglioramento evidente dalle prime uscite. La costante che non è mai mancata è l’instancabilità fisica: una continua spinta sulla fascia destra che ha deliziato e convinto anche i più scettici.
Norton-Cuffy continua a stupire: per lui c’è già l’interesse della Juventus
Se Wesley ha sorpreso, dall’altra parte Brooke Norton-Cuffy lo sta facendo, forse, ancor di più. Arrivato l’anno scorso al Genoa dalle giovanili dell’Arsenal, dopo una buonissima prima stagione il rendimento del terzino inglese sta salendo in termini di prestazioni e di presenza.
Dopo un calo di rendimento dovuto al difficile inizio di stagione con la squadra rossoblù, con la guida di De Rossi Norton-Cuffy sta crescendo sempre di più. Lo scorso 8 dicembre una sua rete (la sua prima in Serie A) ha regalato il successo al Genoa ad Udine e confermato, di fatto, quello che di buono si era già visto.

NORTON-CUFFY ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
E le prestazioni di Norton-Cuffy, arrivato a Genova per soli 4 milioni, stanno attirando le attenzioni di alcuni top club: la Juventus lo avrebbe già messo nel mirino già per il mercato di gennaio, così come l’Inter, ma per portarlo via la richiesta della dirigenza rossoblù sarebbe di almeno il triplo di quanto sborsato un anno fa per strapparlo all’Arsenal.
Il minimo comun denominatore tra Norton-Cuffy e Wesley è però lo stesso: la spinta costante sulla fascia. Una caratteristica fondamentale per gli schemi di Gasperini e De Rossi, ma anche per tutte le squadre che vogliono giocare un calcio propositivo come il loro, e proprio per questo avere due terzini di questo calibro a disposizione nella propria rosa è un arma di inestimabile valore.
Focus
Zhegrova è una boccata d’aria fresca per il calcio italiano
La Juventus vince ancora e si avvicina alla vetta: contro il Pisa la svolta è arrivata grazie a Zhegrova, il talento capace di rompere ogni schema.
La Juventus ha trovato ieri la terza vittoria consecutiva in campionato, portandosi a ridosso della vetta della classifica, in attesa delle partite di oggi e dei recuperi di Inter, Milan e Napoli. Un successo importante, arrivato contro un Pisa solido, compatto e ben organizzato, che per lunghi tratti aveva limitato le soluzioni offensive bianconere.
A fare davvero la differenza, però, ancora più dell’identità e dell’organizzazione portate da Luciano Spalletti, è stato l’ingresso nella ripresa di Edon Zhegrova. E non è difficile capirne il motivo. Il kosovaro ha portato in campo imprevedibilità, strappi, dribbling, fantasia.
In pochi minuti ha scombussolato i piani del Pisa, rompendo gli equilibri e costringendo la difesa avversaria a rincorrere. Esattamente ciò per cui la Juventus ha deciso di puntare su di lui in estate.

LA GRINTA DI LUCIANO SPALLETTI E ALBERTO GILARDINO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Zhegrova, il talento che va oltre la tattica
Perché in fondo esistono giocatori che vanno oltre ogni schema. Calciatori che, con la sola qualità individuale, possono distruggere qualsiasi piano tattico e cambiare il volto di una partita. Zhegrova rientra perfettamente in questa categoria, ma non è un caso isolato.
Basta guardare come il Napoli abbia cambiato marcia da quando David Neres è tornato centrale nel gioco azzurro, o quanto il Milan perda soluzioni offensive quando Rafael Leão è indisponibile.
Sono giocatori che vanno coltivati e, a volte, coccolati più della tattica stessa, perché la loro capacità di accendere una partita è un valore aggiunto enorme. Finora Spalletti ha utilizzato Zhegrova soprattutto a gara in corso, come arma per spaccare le partite. Ma continuando così, non servirà molto prima che il tecnico di Certaldo gli conceda fiducia anche dal primo minuto con maggiore continuità.
Perché Zhegrova non è solo una risorsa per la Juventus: è una boccata d’aria fresca per il calcio italiano. Ed è anche ciò che manca, da tempo, alla nostra Nazionale.
Focus
Calcio italiano, i giocatori da tenere d’occhio per il 2026
Il 2026 si avvicina: tra gol, talento e personalità, ecco i giovani italiani pronti a prendersi il futuro del nostro calcio italiano.
Calcio italiano, i talenti sui quali puntare per il 2026
Negli ultimi anni il calcio italiano ha vissuto una fase di transizione, tra la necessità di rinnovare generazioni e l’urgenza di ritrovare protagonisti in grado di competere ai massimi livelli.
La stagione 2025/26 potrebbe segnare l’affermazione di nuovi nomi che presto potrebbero dominare la scena in Serie A e anche con la maglia dell’Italia: attaccanti letali, registi moderni, difensori tecnici e creativi. Ecco i prospetti su cui scommettere.
Francesco Camarda (Milan, in prestito al Lecce)
Forse il nome più chiacchierato della nuova generazione, Francesco Camarda, ha già scritto pagine importanti nella sua giovane carriera. Debuttato giovanissimo in Serie A e addirittura in Champions League, è considerato uno dei centravanti più promettenti in Italia: dotato di un ottimo fiuto del gol, movimento intelligente e senso della posizione, Camarda potrebbe (se gestito bene fisicamente e tatticamente) diventare il riferimento offensivo di una grande squadra italiana.
Francesco Pio Esposito (Inter)
Un altro attaccante che sta facendo parlare di sé è Francesco Pio Esposito. Classe 2005, fisico imponente e abilità nel gioco di sponda lo rendono un profilo molto interessante per il calcio moderno. Dopo una stagione positiva in Serie B con lo Spezia, Esposito sta trovando spazio anche a livello maggiore e ha già iniziato ad accumulare esperienza con la Nazionale giovanile; il salto di qualità potrebbe arrivare proprio nel 2026.
Giovanni Leoni (Parma)
Tra i talenti difensivi spicca Giovanni Leoni, giovane centrale dotato di grande maturità, lettura delle situazioni e capacità di impostare l’azione dal basso. Cresciuto nel Parma e accostato a club importanti, Leoni rappresenta il prototipo del difensore moderno: forte nel duello, sicuro in fase di possesso e già con esperienza in prima squadra. La sua crescita potrebbe collocarlo stabilmente tra i migliori difensori italiani di domani.
Simone Pafundi (Udinese)
Talento già noto nel panorama giovanile, Simone Pafundi è un trequartista/ala con grande tecnica, visione di gioco e capacità di creare superiorità numerica. Con la stagione 2025/26 che potrebbe risultare decisiva, Pafundi ha tutte le carte in regola per diventare un protagonista: il suo elemento chiave è l’abilità di collegare centrocampo e attacco con passaggi filtranti e dribbling netti.
Niccolò Fortini (Fiorentina)
Giovane difensore viola, Niccolò Fortini è emerso con personalità nonostante i minuti limitati in Serie A. Con la sua velocità, lettura degli spazi e capacità di adattarsi su più ruoli – dal centro alla fascia – Fortini può diventare un elemento importante sia per club che per la Nazionale Under-21 nei prossimi anni.
Altri talenti da seguire
Mattia Liberali (esterno offensivo), giovane con visione tecnica e talento naturale nelle giovanili, già aggregato alla prima squadra in alcune occasioni.
Niccolò Amatucci e Gabriele Guarino, centrocampista e difensore, entrambi con esperienza in Serie B e potenzialità per compiere il salto in Serie A.
Non dimentichiamo, ovviamente, ottimi portieri italiani emergenti come Carnesecchi, Caprile e Turati, che stanno guadagnando fiducia tra i pali in Serie A.
Perché questi giocatori saranno importanti per il calcio italiano nel 2026?
La risposta è semplice: l’Italia ha bisogno di una nuova generazione di protagonisti in grado di portare freschezza, carattere internazionale e competitività nei club e nella Nazionale, soprattutto dopo alcuni anni in cui la presenza di talenti nostrani nei grandi club è stata scarsa e di mancate partecipazioni ai Mondiali.
Ed è dai giovani che si può ripartire per inaugurare una nuova fase del calcio italiano, che sia in grado di tornare a competere ai massimi livelli europei e mondiali.
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