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Lazio-Lecce, il day after: cosa resta del progetto di Baroni

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Lazio

Con la separazione fra la Lazio e Baroni che pare inevitabile, analizziamo cosa resta del suo progetto al termine di una stagione da montagne russe.

Paradosso Baroni. In poco meno di sei mesi, l’ex allenatore del Lecce è passato dall’essere considerato “il miglior allenatore italiano” all’essere a un passo dall’esonero. Pesa il fallimento (anche) dell’obiettivo minimo stagionale, ovvero quella qualificazione europea che la Lazio si garantiva da otto anni consecutivamente.

Paradosso Baroni: da “miglior allenatore italiano” a “quasi esonerato” in meno di sei mesi

Il tritacarne mediatico è entrato ufficialmente in azione. Avevo ammonito, in tempi non sospetti, sulla pericolosità del clamore mediatico che si stava creando attorno all’operato di Marco Baroni. Una prima parte di stagione straordinaria, ma chiaramente non allineata al reale valore della rosa a sua disposizione, gli era valso gli onori delle cronache. Commenti enfatici ed entusiasti, con l’euforia generalizzata che era arrivata a “contaminare” la stessa dirigenza biancoceleste: pronta, meno di sei mesi, ad offrirgli un rinnovo anticipato.

A pochi mesi dalla firma del suo primo contratto, un eventuale prolungamento (poi congelato a causa della moria di risultati) sembrava una scelta precipitosa e figlia dell’euforia del momento. Perché più o meno tutti a Formello si aspettavano che la squadra avrebbe avuto un calo, ma forse nessuno si aspettava un tracollo del genere. Che poi, tracollo, parliamone. Baroni ha difeso il suo lavoro (e ne ha ben donde) nel post-partita dell’infausta gara contro il Lecce, sostenendo che la sua squadra, nel girone di ritorno, abbia totalizzato “solo” tre punti in meno di quelli collezionati nel girone d’andata. Tre punti, una vittoria: quella contro il Lecce.

Secondo Baroni, la sconfitta contro i salentini ha “macchiato” e “distorto” la percezione della stagione: quasi “rovinando” il percorso fatto sin lì. Stante che una partita, nel bene o nel male, non può mutare il giudizio su un’intera stagione, l’origine nelle critiche nei confronti della Lazio non sono da ricercarsi nei risultati bensì nel progressivo impoverimento della sua offerta calcistica. Una squadra parsa lontana parente di quella ammirata nella prima parte di stagione, logorata dai troppi impegni e da una rosa non all’altezza di sopportare una scommessa ambiziosa come quella di giocarsi tre competizioni sino in fondo.

Lazio

VALENTIN CASTELLANOS RAMMARICATO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Lazio in linea con la media della gestione Lotito: perché tutto questo accanimento nei confronti di Baroni?

Sempre nel post-partita di Lazio-Lecce, Paolo Di Canio ha rivolto al tecnico fiorentino una domanda che più che un quesito è parsa una constatazione retorica. “Questo signore qui, che a Gennaio era in corso su tre fronti, a fine mercato è stato premiato con tre ragazzini: un 2004, un 2005 e un 2006” è più o meno il riassunto del pensiero di Di Canio. Condiviso (o almeno spero) dalla maggioranza dei tifosi laziali, o almeno da quelli che non si esibiscono in quell’attività che ormai è divenuta sport nazionale in quel di Formello.

Ovvero il lancio dell’allenatore. Mi si risponderà che le possibilità della Lazio queste sono e va benissimo come risposta, ma allora bisognerebbe tarare le aspettative partendo da questo presupposto. La Lazio, come sottolineato dallo stesso Baroni sempre ieri sera ai microfoni di Sky, ha replicato lo stesso piazzamento della scorsa stagione (settimo posto) e addirittura ha fatto quattro punti in più: 65 contro i 61 dell’anno scorso. Baroni ha detto anche che: “il risultato è in linea con il trend degli ultimi dieci anni“.

Ed è verissimo, perché la media piazzamento dell’era Lotito viaggia fra il sesto e l’ottavo posto. Fra i critici della gestione Lotito questo dato potrebbe essere dipinto come la lapalissiana dimostrazione della mediocrità a cui il vulcanico patron biancoceleste ha relegato la Lazio, mentre per altri sarebbe solo uno specchio delle reali possibilità della squadra. Sia come sia, se questa è la realtà e di più non si può fare, forse sarebbe il caso di ammetterlo pubblicamente, senza esporre alla gogna mediatica l’allenatore di turno.

Lazio, Pedro

MARCO BARONI DA IL CINQUE A PEDRO RODRIGUEZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Nemmeno Baroni, evidentemente, è “Mago Merlino

Personalmente non ho mai preteso da Lotito un investimento nella Lazio superiore a quello che ritiene sia opportuno fare, in quanto i soldi sono i suoi e li spende come meglio crede, ma la sensazione è che la sopravvalutazione del materiale umano parta proprio dalla dirigenza. Perennemente chiuso nella propria echo chamber, l’organigramma biancoceleste crede di essere infallibile e, quando la squadra fallisce gli obiettivi stagionali, la colpa pare essere sempre all’esterno e mai da ricercare nelle stanze di Formello.

Sia chiaro: Baroni ha le sue colpe, ma fra tutti è il “meno colpevole“. Il trasformismo tattico della prima parte di stagione è stato via-via accantonato, in favore di una ostinazione a tratti inspiegabile nei confronti di un 4-2-3-1 che è sembrato vieppiù imbrigliare una squadra le cui gambe e la cui testa non erano più sciolte come a inizio stagione. Anche la gestione del gruppo, encomiabile fino a Gennaio, sembrerebbe essergli totalmente sfuggita di mano, almeno stando alle dichiarazioni lapidarie rilasciate nel post-partita di Lecce.

Baroni, che sovente assume una postura comunicativa impeccabile, ha prima fatto mea culpa (affermando di “non essere riuscito a trasmettere ai giocatori l’importanza della partita“) e poi ha scagliato una stilettata contro ignoti, affermando che “alcuni giocatori sembravano essere già in vacanza“. Una frase grave, che oltre a stridere con lo stile comunicativo sin lì adottato dal tecnico forse mette a nudo una frattura fra squadra e staff tecnico sin lì malcelata. Uno sfogo in pieno regola, di chi forse già sapeva che non sarebbe stato confermato.

Dopo appena un anno, il progetto di Baroni alla Lazio sembra già naufragato. Eppure il 61enne fiorentino un brocco non lo è di certo, basti pensare che anche il Napoli campione d’Italia sta valutando il suo profilo come possibile erede di Conte. Una parabola che, qualora dovesse confermarsi, sarebbe molto simile a quella vissuta da Inzaghi. Bistrattato a Formello, “serial winner” ad Appiano. Forse neppure in Baroni Lotito ha trovato il suo tanto agognato “Mago Merlino“, ma all’ennesimo cambio di allenatore (qualora dovesse effettivamente configurarsi) forse una riflessione supplementare sarebbe opportuno farla.

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Hellas Verona, Coppola al Brighton: un veronese che spicca il volo

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Coppola

Ormai è tutto fatto per il passaggio di Diego Coppola al Brighton, in Inghilterra. La crescita esponenziale dimostrata recentemente ha permesso questo salto.

Un veronese, classe 2003, ha coronato il sogno di ogni ragazzino: indossare la maglia gialloblu, scendere in campo al Bentegodi e lasciare un segno nel cuore di tifosi e città. Adesso si apre un nuovo capitolo.

Hellas Verona, addio a Coppola: l’augurio di un tifoso

Quando un bambino entra a far parte del settore giovanile di una squadra professionista prova una sensazione nuova, che si riassume in un mix di eccitazione e timore. Indossare e rappresentare gli stessi colori che si vedono la domenica in televisione non è una cosa da tutti, specialmente se la passione è viva fin dai primi anni di vita.

Il caso di Diego Coppola è tra i pochi in Italia e quando un giocatore come lui decide di cambiare casacca, non si può augurare altro che il meglio per la propria carriera calcistica.

Una carriera il cui inizio, ormai a distanza ultra decennale da oggi, ha segnato una svolta nella vita del ragazzo, che col tempo ha imparato a esprimere sempre di più il suo modo di fare calcio, sia dentro che fuori dal campo, impressionando tutti gli allenatori che si sono susseguiti negli anni di giovanili. Ne è conseguita un’ascesa naturale verso la squadra Primavera, che l’ha portato sotto le luci dei primi riflettori e nel 2022, grazie a Igor Tudor, anche in Prima Squadra. Il riconoscimento più importante per il lavoro portato avanti negli anni e la dedizione verso il club della propria città.

La Serie A è il palcoscenico più ambito da tutti i calciatori italiani ma anche quello più complicato da raggiungere. Un percorso come quello di Coppola però non poteva che culminare con l’esordio ufficiale il 16 gennaio 2022 contro il Sassuolo in trasferta. L’emozione che può aver provato in quel momento ci è possibile forse solo immaginarla.

La piazza di Verona è sempre stata molto passionale, poco esigente nei risultati sportivi e abituata a soffrire, tuttavia pretenziosa di grinta e sudore ogni qualvolta c’è da scendere in campo. Se un veronese riesce a distinguersi e spiccare il volo in qualsiasi ambito, tutta la città ne è orgogliosa e spera che quel nome venga conosciuto il più possibile per farne un motivo di vanto.

Essere veronese e giocare nell’Hellas significa non solo indossare una maglia da calcio, ma soprattutto farsi carico delle emozioni e dei sogni di decine di migliaia di persone, che ogni partita riempiono lo stadio e incitano senza sosta la propria squadra, perchè è il massimo che possono fare e il sentimento di appagamento quando si rivede in campo lo stesso spirito è indescrivibile.

Come Shakespeare usò la frase “Non esiste mondo al di fuori delle mura di Verona” per descrivere il sentimento d’amore che provava Romeo nei confronti di Giulietta, anche in questo contesto il legame tra la squadra e la città è rappresentato da essa e va oltre ogni immaginazione. Così è per i tifosi come per i giocatori che nascono su queste terre e imparano da subito cosa significa rappresentare Verona e il Verona nel mondo.

Perciò buona fortuna Diego, un butel che ce l’ha fatta.

Premier League coppola

Rome, Italy 19.4.2025 : Diego Coppola of Verona during Italian football championship Serie A Enilive 2024-2025 match AS Roma vs Hellas Verona at Stadio Olimpico in Rome.

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PSG, contro l’Inter uno striscione per Gaza: “Stop Genocide”

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PSG

Il tifo organizzato del PSG prende posizione contro gli intenti genocidari del regime sionista con un eloquente striscione, esposto contro l’Inter.

Nella finale di Champions League di sabato scorso fra PSG e Inter, conclusasi con il risultato di 5-0 in favore dei parigini, il tifo organizzato della squadra francese ha fatto comparire uno striscione nel settore a loro dedicato all’Allianz Arena in Monaco di Baviera. Uno striscione eloquente, con una forte presa di posizione.

PSG, lo striscione pro-gaza contro l’Inter

Lo striscione recitante “Stop Gaza Genocide, con chiaro riferimento alle politiche di pulizia etnica e deportazione di massa attuate dal regime sionista nella Striscia di Gaza, è stato esposto in bella vista per tutta la partita, in modo tale che nessun mass media potesse sentirsi esentato dal parlarne.

Una presa di posizione che fa seguito a quella del presidente de la République Emmanuel Macron, tra l’altro noto tifoso del PSG, che recentemente ha dichiarato di voler riconoscere lo stato di Palestina. Gli hanno risposto, a stretto giro di posta, prima il ministero di Tel Aviv (accusandolo di star perorando una “crociato contro lo stato ebraico”) e poi personalmente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Ma la risposta più lapidaria è arrivata dal Ministro della Difesa Benjamin Katz: “Macron i suoi amici creeranno uno stato palestinese solo sulla carta, noi invece costruiremo lo stato ebraico vero qui in Cisgiordania“. Parole pronunciate da Sa-Nur, in Samaria, dove recentemente il regime sionista ha appoggiato la costruzione di altri insediamenti illegali (21) nella Cisgiordania occupata.

La Palestina di carta finirà fra i rifiuti” ha poi concluso Katz, giusto per rassicurare chiunque avesse ancora dei dubbi su quali siano le reali intenzioni del governo israeliano. Sfacciato, così come sfacciata è l’ostentazione del proprio sadismo e la malcelata intolleranza nei confronti di qualsiasi forma di dissenso. L’impenitente sguardo rivolto verso la telecamera era metaforicamente rivolto a tutta la comunità internazionale.

La Francia è stato uno dei paesi occidentali maggiormente repressivi nei confronti delle manifestazioni pro-Gaza, fioccate come focolai in tutta Europa. Tuttavia, la netta presa di posizione di una parte consistente dell’opinione pubblica, ivi incluso lo striscione esposto dai tifosi del PSG, è un ulteriore tentativo di abbattere il soffitto di cristallo dell’ipocrisia. Non può più starsene buono Macron, così come sempre più a fatica possono rimanere in silenzio il resto dei leader occidentale. Troppi, troppo evidenti e troppo gravi sono i crimini del governo israeliano. Troppo plateali le loro dichiarazioni d’intenti e troppo sfacciato il guanto di sfida lanciato al diritto internazionale. L’elettorato occidentale è stanco delle dichiarazioni, vuole delle azioni.

PSG

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Inter, da “ingiocabili” a “inguardabili”

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Mai nella storia della Champions una sconfitta è stata così netta in finale. L’Inter sognava il Triplete, ma chiude la stagione a mani vuote con un’umiliazione storica all’Allianz Arena.

Un disastro senza attenuanti. L’Inter chiude la sua Champions League nel peggiore dei modi, travolta 5-0 dal Paris Saint-Germain in una finale che resterà negli annali per le peggiori ragioni poiché mai prima d’ora nessuna squadra aveva incassato un passivo simile nell’atto conclusivo del torneo. Un’umiliazione storica, mai in discussione, mai in bilico.

Mentre il PSG di Luis Enrique brillava, con Douè e compagni padroni assoluti del campo, i nerazzurri non sono praticamente mai scesi in campo. Zero tiri in porta, zero reazione e quel che è peggio, zero orgoglio. Una resa inspiegabile in quella che doveva essere la partita più importante dell’anno.

Inter, l’ambizione c’era…ma la testa no

L’Inter aveva puntato in alto, senza nascondere l’ambizione del Triplete. Ma alla fine è rimasta con un pugno di mosche con lo Scudetto consegnato al Napoli , Coppa Italia sfumata e ora questa debacle in Champions.

Inter

MARCUS THURAM E LAUTARO MARTINEZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Certo, perdere può succedere, e i tifosi avrebbero anche potuto accettarlo, se solo la squadra avesse combattuto. Ma uscire così, con una sconfitta umiliante e mai vista nella storia recente del club, lascia un’amarezza non indifferente e che impiegherà anni per passare del tutto. Inutile appellarsi alla “stanchezza” o al fatto di essere comunque orgogliosi della Finale: Inzaghi ha toppato su tutto, senza Se e senza Ma.

Purtroppo le magiche notti contro il Barcellona e il Bayern Monaco sembrano ora lontanissime, offuscate da una finale che ha rovinato tutto. E se pure va riconosciuto il merito ai francesi, l’Inter ha enormi responsabilità.

Con il Mondiale per Club alle porte, non ci sarà molto tempo per riflettere. Ma una lezione va imparata: l’arroganza, l’eccesso di sicurezza e le frasi a effetto — come quelle pronunciate da Mkhitaryan sull’“Inter ingiocabile” — spesso si pagano a caro prezzo. E questa volta, il conto è stato salatissimo.

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