editoriale
Hellas Verona, Coppola al Brighton: un veronese che spicca il volo

Ormai è tutto fatto per il passaggio di Diego Coppola al Brighton, in Inghilterra. La crescita esponenziale dimostrata recentemente ha permesso questo salto.
Un veronese, classe 2003, ha coronato il sogno di ogni ragazzino: indossare la maglia gialloblu, scendere in campo al Bentegodi e lasciare un segno nel cuore di tifosi e città. Adesso si apre un nuovo capitolo.
Hellas Verona, addio a Coppola: l’augurio di un tifoso
Quando un bambino entra a far parte del settore giovanile di una squadra professionista prova una sensazione nuova, che si riassume in un mix di eccitazione e timore. Indossare e rappresentare gli stessi colori che si vedono la domenica in televisione non è una cosa da tutti, specialmente se la passione è viva fin dai primi anni di vita.
Il caso di Diego Coppola è tra i pochi in Italia e quando un giocatore come lui decide di cambiare casacca, non si può augurare altro che il meglio per la propria carriera calcistica.
Una carriera il cui inizio, ormai a distanza ultra decennale da oggi, ha segnato una svolta nella vita del ragazzo, che col tempo ha imparato a esprimere sempre di più il suo modo di fare calcio, sia dentro che fuori dal campo, impressionando tutti gli allenatori che si sono susseguiti negli anni di giovanili. Ne è conseguita un’ascesa naturale verso la squadra Primavera, che l’ha portato sotto le luci dei primi riflettori e nel 2022, grazie a Igor Tudor, anche in Prima Squadra. Il riconoscimento più importante per il lavoro portato avanti negli anni e la dedizione verso il club della propria città.
La Serie A è il palcoscenico più ambito da tutti i calciatori italiani ma anche quello più complicato da raggiungere. Un percorso come quello di Coppola però non poteva che culminare con l’esordio ufficiale il 16 gennaio 2022 contro il Sassuolo in trasferta. L’emozione che può aver provato in quel momento ci è possibile forse solo immaginarla.
La piazza di Verona è sempre stata molto passionale, poco esigente nei risultati sportivi e abituata a soffrire, tuttavia pretenziosa di grinta e sudore ogni qualvolta c’è da scendere in campo. Se un veronese riesce a distinguersi e spiccare il volo in qualsiasi ambito, tutta la città ne è orgogliosa e spera che quel nome venga conosciuto il più possibile per farne un motivo di vanto.
Essere veronese e giocare nell’Hellas significa non solo indossare una maglia da calcio, ma soprattutto farsi carico delle emozioni e dei sogni di decine di migliaia di persone, che ogni partita riempiono lo stadio e incitano senza sosta la propria squadra, perchè è il massimo che possono fare e il sentimento di appagamento quando si rivede in campo lo stesso spirito è indescrivibile.
Come Shakespeare usò la frase “Non esiste mondo al di fuori delle mura di Verona” per descrivere il sentimento d’amore che provava Romeo nei confronti di Giulietta, anche in questo contesto il legame tra la squadra e la città è rappresentato da essa e va oltre ogni immaginazione. Così è per i tifosi come per i giocatori che nascono su queste terre e imparano da subito cosa significa rappresentare Verona e il Verona nel mondo.
Perciò buona fortuna Diego, un butel che ce l’ha fatta.

Rome, Italy 19.4.2025 : Diego Coppola of Verona during Italian football championship Serie A Enilive 2024-2025 match AS Roma vs Hellas Verona at Stadio Olimpico in Rome.
editoriale
PSG, contro l’Inter uno striscione per Gaza: “Stop Genocide”

Il tifo organizzato del PSG prende posizione contro gli intenti genocidari del regime sionista con un eloquente striscione, esposto contro l’Inter.
Nella finale di Champions League di sabato scorso fra PSG e Inter, conclusasi con il risultato di 5-0 in favore dei parigini, il tifo organizzato della squadra francese ha fatto comparire uno striscione nel settore a loro dedicato all’Allianz Arena in Monaco di Baviera. Uno striscione eloquente, con una forte presa di posizione.
PSG, lo striscione pro-gaza contro l’Inter
Lo striscione recitante “Stop Gaza Genocide“, con chiaro riferimento alle politiche di pulizia etnica e deportazione di massa attuate dal regime sionista nella Striscia di Gaza, è stato esposto in bella vista per tutta la partita, in modo tale che nessun mass media potesse sentirsi esentato dal parlarne.
Una presa di posizione che fa seguito a quella del presidente de la République Emmanuel Macron, tra l’altro noto tifoso del PSG, che recentemente ha dichiarato di voler riconoscere lo stato di Palestina. Gli hanno risposto, a stretto giro di posta, prima il ministero di Tel Aviv (accusandolo di star perorando una “crociato contro lo stato ebraico”) e poi personalmente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ma la risposta più lapidaria è arrivata dal Ministro della Difesa Benjamin Katz: “Macron i suoi amici creeranno uno stato palestinese solo sulla carta, noi invece costruiremo lo stato ebraico vero qui in Cisgiordania“. Parole pronunciate da Sa-Nur, in Samaria, dove recentemente il regime sionista ha appoggiato la costruzione di altri insediamenti illegali (21) nella Cisgiordania occupata.
“La Palestina di carta finirà fra i rifiuti” ha poi concluso Katz, giusto per rassicurare chiunque avesse ancora dei dubbi su quali siano le reali intenzioni del governo israeliano. Sfacciato, così come sfacciata è l’ostentazione del proprio sadismo e la malcelata intolleranza nei confronti di qualsiasi forma di dissenso. L’impenitente sguardo rivolto verso la telecamera era metaforicamente rivolto a tutta la comunità internazionale.
La Francia è stato uno dei paesi occidentali maggiormente repressivi nei confronti delle manifestazioni pro-Gaza, fioccate come focolai in tutta Europa. Tuttavia, la netta presa di posizione di una parte consistente dell’opinione pubblica, ivi incluso lo striscione esposto dai tifosi del PSG, è un ulteriore tentativo di abbattere il soffitto di cristallo dell’ipocrisia. Non può più starsene buono Macron, così come sempre più a fatica possono rimanere in silenzio il resto dei leader occidentale. Troppi, troppo evidenti e troppo gravi sono i crimini del governo israeliano. Troppo plateali le loro dichiarazioni d’intenti e troppo sfacciato il guanto di sfida lanciato al diritto internazionale. L’elettorato occidentale è stanco delle dichiarazioni, vuole delle azioni.
editoriale
Inter, da “ingiocabili” a “inguardabili”

Mai nella storia della Champions una sconfitta è stata così netta in finale. L’Inter sognava il Triplete, ma chiude la stagione a mani vuote con un’umiliazione storica all’Allianz Arena.
Un disastro senza attenuanti. L’Inter chiude la sua Champions League nel peggiore dei modi, travolta 5-0 dal Paris Saint-Germain in una finale che resterà negli annali per le peggiori ragioni poiché mai prima d’ora nessuna squadra aveva incassato un passivo simile nell’atto conclusivo del torneo. Un’umiliazione storica, mai in discussione, mai in bilico.
Mentre il PSG di Luis Enrique brillava, con Douè e compagni padroni assoluti del campo, i nerazzurri non sono praticamente mai scesi in campo. Zero tiri in porta, zero reazione e quel che è peggio, zero orgoglio. Una resa inspiegabile in quella che doveva essere la partita più importante dell’anno.
Inter, l’ambizione c’era…ma la testa no
L’Inter aveva puntato in alto, senza nascondere l’ambizione del Triplete. Ma alla fine è rimasta con un pugno di mosche con lo Scudetto consegnato al Napoli , Coppa Italia sfumata e ora questa debacle in Champions.

MARCUS THURAM E LAUTARO MARTINEZ ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Certo, perdere può succedere, e i tifosi avrebbero anche potuto accettarlo, se solo la squadra avesse combattuto. Ma uscire così, con una sconfitta umiliante e mai vista nella storia recente del club, lascia un’amarezza non indifferente e che impiegherà anni per passare del tutto. Inutile appellarsi alla “stanchezza” o al fatto di essere comunque orgogliosi della Finale: Inzaghi ha toppato su tutto, senza Se e senza Ma.
Purtroppo le magiche notti contro il Barcellona e il Bayern Monaco sembrano ora lontanissime, offuscate da una finale che ha rovinato tutto. E se pure va riconosciuto il merito ai francesi, l’Inter ha enormi responsabilità.
Con il Mondiale per Club alle porte, non ci sarà molto tempo per riflettere. Ma una lezione va imparata: l’arroganza, l’eccesso di sicurezza e le frasi a effetto — come quelle pronunciate da Mkhitaryan sull’“Inter ingiocabile” — spesso si pagano a caro prezzo. E questa volta, il conto è stato salatissimo.
editoriale
Milan, la rivoluzione di Allegri: ecco perché è giusto ricostruire su di lui

Il ritorno di Massimiiano Allegri sulla panchina del Milan è una dichiarazione d’intenti della proprietà: il tecnico labronico chiede garanzie.
La decisione di non puntare su Conte all’inizio della scorsa stagione era stata una dichiarazione d’intenti. La scelta dell’Allegri-bis, un anno dopo, pure. Di più: vuol dire abiurare il progetto della “sostenibilità”.
Milan, da Fonseca (e Conceicao) ad Allegri: cosa cambia?
Con Fonseca il management rossonero voleva replicare quanto di buono fatto dal tecnico portoghese in quel di Lille, in un contesto simile. Dirigenza lontana dal progetto sportivo, maggiormente interessata a rientrare nei debiti (dopo la disastrosa gestione Gerard Lopez) e a risanare il bilancio; necessità di calmierare i costi e di investire sui giovani. Le premesse c’erano tutte, ma la proprietà americana, che ha dimostrato di non essere a conoscenza delle dinamiche interne al calcio italiano, ha dimenticato che Milano non è Lille.
Non è solo un discorso di pressioni, di ambizioni e delle esigenze della piazza. E’ un discorso anche “interno” e che riguarda gli elementi della rosa. A Lille Fonseca trovò terrene fertile su cui piantare i semi del suo credo calcistico, aiutato da una spogliatoio giovane e composto da giocatori senza un pedigree illustre alle spalle. A Milano, invece, il tecnico lusitano ha trovato un’ambiente totalmente diverso, per certi versi addirittura ostile. Non tanto a lui in particolare, ma in generale refrattario alle regole e alla disciplina.
Lo stesso spogliatoio che prima aveva fagocitato Pioli, dopo tre anni e mezzo complicati ma vincenti, ha fatto lo stesso con lui e Conceicao. Ecco, già la scelta di puntare sull’ex tecnico del Porto (se ci mettiamo anche il corposo mercato invernale, che ha sconfessato quello estivo) significava abiurare il progetto iniziato neppure sei mesi prima. Perché i proclami e gli slogan sono belli tutti, ma poi nel calcio servono i risultati e il Milan ha capito che il pareggio di bilancio si raggiunge anzitutto con la praticità.

MASSIMILIANO ALLEGRI FA IL SEGNO OK ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )
Max è l’uomo giusto, il secondo ciclo bianconero lo certifica
Ci hanno provato, senza riuscirci, con Conceicao, ci (ri)proveranno ora con Allegri. Tuttavia, la rivoluzione tecnica che era stata promessa a Fonseca, complice la mancata qualificazione ad una competizione europea dopo otto anni – che fa subentrare un’inattesa necessità di reperire risorse economiche altrove e riduce quelle legate alla profondità dell’organica -, verrà realizzata con il tecnico labronico. Una situazione paradossale, in cui il refresh della rosa rossonera viene posticipato di un anno e con un allenatore meno adatto a ricostruire.
Nonostante questo, Allegri è l’uomo giusto da cui ripartire. Il tanto vituperato Allegri-bis a Torino ci ha mostrato un Max diverso da quello che eravamo stati abituati a vedere. Non più solo magistrale gestore di uomini, “normalizzatore” nato che offre garanzie di successi con una squadra costruita per vincere. Nel suo secondo ciclo alla Juventus, Allegri ha anche dimostrato di saper tenere la barra dritta nonostante il mare in tempesta. Ha dimostrato di saper lavorare con i giovani e di saper arrivare ai risultati anche senza campioni.
Un uomo d’esperienza, con una comprovata capacità di gestire lo stress e abituato ad avere a che fare con teste esuberanti. Un vincente nato, che garantisce standard di rendimento minimi di cui in Via Aldo Rossi hanno un disperato bisogno. Anche solo le tre qualificazioni in Champions consecutive, tanto disprezzate a Vinovo, per il Milan sarebbero una boccata d’ossigeno non indifferente. Gli obiettivi, però, andranno tarati in base al tipo di squadra che il tecnico labronico si troverà ad allenare al termine del movimento mercato estivo.
Perché il Milan dell’anno scorso è una cosa, quello di quest’anno (qualunque forma andrà ad assumere) sarà un’atra. Certo l’addio di Walker, probabile quello di Theo e Reijnders. Se deve essere un anno di transizione, se deve essere una stagione all’insegna dell’abbattimento dei costi e con il mirino puntato su un ossigenante quarto posto, lo si dica subito. Allegri ha il diritto di lavorare in pace e di costruire il suo progetto a Milano, senza il mirino puntato addosso dall’opinione pubblica come a Torino.
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