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Bernardo Silva in Serie A? Il mercato mostra le difficoltà di Milan e Juventus

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 La Serie A fatica a competere con Premier e Liga. L’interesse su  Silva, Lewandowski mostra come il campionato italiano stia perdendo attrattiva internazionale.

Se oramai per la Serie A sembrano essere passati i bei tempi in cui le principali promesse del panorama calcistico internazionale sognavano di giocare in Italia — o comunque un passaggio nel campionato nostrano rappresentava un ottimo modo per confermare quanto di buono fosse stato fatto in carriera —, mettendosi alla prova in un torneo noto per fare dei suoi tatticismi uno dei propri fiori all’occhiello, composto da difese invalicabili orchestrate magistralmente da grandi allenatori che, un anno sì e l’altro pure, riuscivano a dimostrare una vera e propria egemonia anche a livello internazionale.

D’altronde, i quattro Mondiali vinti dall’Italia sono lì a rappresentarlo.
L’Inghilterra, con la sua Premier League, oggi Eldorado del calcio in cui tutti i maggiori talenti sognano di guadagnarsi un posto, può vantare un solo Mondiale vinto, per di più risalente al 1966: anno in cui, per intenderci, il mondo era ancora segnato dalla Guerra Fredda e i Balcani ruotavano attorno alla Jugoslavia, guidata da Josip Broz Tito.

Seria A, cos’è successo?

Oggi, però, quella che ci viene raccontata è un’altra storia: la Serie A non è più in cima alla classifica delle leghe europee, pur mantenendo comunque salda la propria candidatura tra le prime cinque.
Tuttavia, più che nell’essere reputata uno dei migliori campionati, fattore che potrebbe incidere sulle capacità di attrazione dei giocatori, il vero problema risiede nella frattura che si è creata tra i vari campionati come: Premier League, la Liga, la Serie A, la Bundesliga e la Ligue 1.
Si tratta di una differenza, in primis di natura economica, che inevitabilmente — in parole povere — “non ti permette di accedere a determinati giocatori, né di avere i mezzi per resistere alle tentazioni di quei campionati oggi considerati più grandi”.  Sempre a meno che non si decida di percorrere la strada delle mosse alla Ronaldo-Juventus, decisioni capaci di lasciare strascichi visibili anche a distanza di anni, portando una dirigenza, a capo di una società da ben tre generazioni, a vendere il club e causando 30 mesi di squalifica al dirigente che aveva reso tutto ciò possibile.

A testimonianza di quanto appena detto, vi è la tendenza che ha inciso in maniera massiccia sull’ultima finestra di mercato estiva: quella che ha portato in Italia Modric — che ha scelto di approdare in Serie A solo dopo aver compiuto 39 anni e aver raggiunto tutto ciò che era possibile nella sua carriera — e, ovviamente, Kevin De Bruyne.

Due giocatori grandissimi e famosissimi, che hanno impresso il proprio nome in maniera indelebile nell’ultima decade calcistica, ma che magari, venti anni fa, non avrebbero raggiunto la Serie A dopo  aver superato la soglia dei 34+ anni.

In questa direzione sembrerebbe stia arrivando un nuovo nome: portato, guarda caso, da chi, da anni si cela più o meno silenziosamente  dietro il muro delle dirigenze, uno — se non l’unico — uomo capace di tirare i fili del calcio internazionale, in una sola parola: Jorge Mendes. Il procuratore si è reso protagonista negli anni sia di grandi imprese, come quella del Wolverhampton, portato dalla mediocrità della seconda lega inglese a un posto stabile in Premier League, sia di assoluti disastri, come quello di Peter Lim al Valencia, che ha condotto i “pipistrelli” all’orlo della retrocessione in Segunda División.

Milan e Juventus valutano Bernardo Silva

L’ultima indiscrezione di mercato, in quest’ordine, vede Bernardo Silva forse vicino a un approdo in Serie A in vista della prossima stagione. Un giocatore che, ironia del destino, è stato lanciato proprio da un club come il Monaco, che prima di diventare un’autentica fucina di talenti ed essere considerato costantemente in lizza per il secondo posto tra i migliori club di Francia, dietro all’egemonia del PSG. La squadra monegasca visse il suo peggior momento prima dell’arrivo del miliardario Dmitry Rybolovlev, chiamato a guidare la rinascita del club, in un periodo in cui la Ligue 1 non poteva nemmeno confrontarsi con campionati come la Serie A, di gran lunga superiore sia per storia che per talento in campo.
Un periodo amaro, lontano dai fasti di un tempo, che coincise nel 2011 con la retrocessione, scatenando una vera e propria fuga: tanto che Deschamps e piano piano anche tutte le  stelle che un tempo illuminavano il cielo del Louis Third decisero così di andarsene, abbandonando il club al suo destino.

Prima ancora dell’arrivo del magnate russo, uno dei principali uomini incaricati a ricucire la ferita fu proprio un italiano come Vieri, che, nonostante non sortì grandi cambiamenti, il suo nome altisonante servì a ristabilire fiducia a un ambiente che in sette  anni passò dal terzo al dodicesimo posto e, infine,  dovette fare i conti con una pesante retrocessione in Ligue 2.

Ma non è questo il punto: in relazione proprio a quella nomea, dovuta non solo alle sue qualità ma anche alle maglie indossate in carriera, il  nome di Christian Vieri serve a collegare Bernardo Silva e il possibile futuro in Italia, dimostrando come un tempo i giocatori di nazionalità italiana/ diventati qualcuno in Italia,  diventassero “accessibili” per determinati  campionati ( proprio come la Ligue 1 Ndr.) solo una volta raggiunta una certa età. Guarda caso, questo collegamento coincide con entrambe le squadre a cui Mendes sembrerebbe aver proposto il suo assistito.

Infatti, ammesso che non sia tutt’oggi da escludere a priori un rinnovo di Bernardo Silva in casa City, l’esterno portoghese, insieme al suo agente, si starebbe già muovendo per trovare una valida alternativa qualora il suo soggiorno a Manchester non dovesse continuare. Questo avviene a fronte di un interesse che, da anni, sembrava esserci da parte di Paris Saint-Germain e Barcellona, società che però difficilmente si rifaranno vive per un giocatore over 30.

Quindi, a fianco dell’ipotesi Arabia, sembrerebbe sorgere la possibilità che, a partire dall’anno prossimo, un altro membro importante dei Cityzens di matrice “Guardiolana” possa vestire una maglia della Serie A. Secondo quanto riportato da calciomercato.com, Jorge Mendes avrebbe infatti proposto Silva prima alla Juventus — anche in virtù anche dalla presenza di Damien Comolli, che conosce molto bene il giocatore — e poi al Milan, squadra che, con il beneplacito del noto procuratore, decise di affidare la panchina a Sergio Conceição, arrivato poi in coppia con João Félix.

Serie A

LA GRINTA DI JOAO FELIX CHE PUNTA IL DITO ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

In un contesto come questo, la Serie A sembra sempre più incapace di competere con le grandi leghe europee, costretta a guardare i propri talenti fuggire verso Premier League, Liga o Ligue 1. Notizie come quelle che coinvolgono Bernardo Silva, o Lewandowski prima ancora di lui, rischiano di non essere più episodi isolati, capaci di portare esperienza, talento e blasone, ma di non rappresentare una reale inversione di tendenza.

Questo alimenta la visione secondo cui il campionato italiano oggi appare più come un terreno dove l’esperienza conta più del futuro, e dove la capacità di attrarre giovani promesse è ormai un miraggio. Senza un cambiamento strutturale e investimenti seri e costanti, la Serie A rischia di restare un palcoscenico nostalgico, incapace di tornare a essere quel campionato in cui un tempo i migliori talenti internazionali sognavano di misurarsi.

 

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Milan, poco importa della Coppetta Italia: più gravi i soliti problemi | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, una sconfitta in trasferta per 1-0 contro la Lazio non deve assolutamente preoccupare. Sì, perché i problemi in casa rossonera sono decisamente altri.

Il Milan esce sconfitto, ma non ridimensionato, in seguito all’1-0 rimediato in trasferta contro la Lazio. Una gara giocata probabilmente meglio rispetto a quella di campionato pochi giorni fa, ma la sconfitta non deve gridare vendetta. Primo perché si giocava una competizione di cui poco gliene fregava a Massimiliano Allegri il quale è impegnato per conseguire l’obiettivo minimo stagionale ossia la qualificazione Champions.

Un organico troppo corto per disperdere energie inutili, i soliti problemi che la dirigenza dovrà obbligatoriamente (si spera) risolvere a gennaio. Una coperta eccessivamente inadeguatae una squadra che va in affanno quando mancano i suoi big.

Sebbene ce ne fosse ancora il bisogno, abbiamo capito che Estupinan non è da Milan, probabilmente nemmeno da Serie A, Ricci non è una mezzala, senza Modric Rabiot è un altro Milan, Leao ed Nkunku non sono punte centrali. Prima si capisce quest’ultimo concetto e meglio è. Il francese ieri sera a tratti imbarazzante, Leao decisamente in giornata no, e comunque fuori ruolo.

Serve un attaccante centrale e questa volta la dirigenza dovrà ascoltare Allegri. Serve un centrale difensivo così come serve a mio avviso anche un terzino destro. L’invito è quello di aprire il portafoglio e spendere soldi che in casa già ci sono. Siamo primi in classifica, fino a prova contraria, adesso è il momento di osare. Senza gli alibi e le scuse della Coppetta Italia.

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Atalanta: Palladino, la rivincita del tecnico “incompreso”

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Champions League

Palladino: dal fischio della Curva Fiesole al trionfo con la Dea, la settimana da sogno di un tecnico che il destino ha voluto premiare.

Palladino-Pradè: accoppiata perdente, sparite per il bene della nostra gente. Lo striscione della Curva Fiesole pendeva dalle gradinate, una freccia diretta ai dirigenti, colpevoli agli occhi dei tifosi di una stagione che non aveva soddisfatto.

Ma dietro le quinte, Raffaele Palladino continuava a tessere la sua tela, senza clamore ma con risultati concreti. Chiudere al sesto posto in campionato non era solo un numero: era il segno di un lavoro paziente, fatto di scelte giuste al momento giusto e di talenti valorizzati, come Moise Kean, esubero diventato ben presto asso nella manica oltre che un vanto per chi finalmente gli aveva cambiato radicalmente la carriera. Destinato a diventare il gioiello della Fiorentina. Di lui, durante l’ultima finestra di mercato, si temeva addirittura la partenza per poco più di 50 milioni, mentre solo dodici mesi prima era stato acquistato solamente per 13 milioni, una cifra che al tempo aveva fatto storcere il naso a molti, ma che ora sembrava quasi un affare d’altri tempi.

Palladino

RAFFAELE PALLADINO E MOISE KEAN ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

E Palladino? Nonostante tutto aveva deciso di pagare il prezzo più alto. Lasciare il progetto, rinunciare a un contratto pesante fino al 2027, accettare di diventare il capro espiatorio di una stagione forse mai compresa fino in fondo. Un gesto che parlava di responsabilità, ma anche di coraggio: di chi mette il bene della squadra davanti al proprio orgoglio, e accetta di camminare tra applausi e fischi, consapevole che la storia non giudica subito chi lavora nell’ombra.

Una decisione che, se da una parte aveva dato ragione a Palladino — con una Fiorentina ai minimi storici in qualsiasi competizione — dall’altra sembrava poter mettere a rischio la sua carriera. Prima dell’Atalanta, infatti, nessuno aveva pensato al suo nome, preferendo tecnici che, al netto dei risultati, avevano accumulato numeri ben più bassi nelle stagioni precedenti.

Palladino, tra karma e destino

Eppure il destino aveva altri piani. L’Atalanta, dopo aver interrotto il rapporto con Juric, ha affidato la panchina proprio a lui, regalando al tecnico un’occasione che pareva scritta già a aprtire dal suo terzo impegno con la Dea. Nel basket d’oltreoceano esiste un termine che descrive eventi che sembrano accadere per ragioni karmiche, una sorta di “you get what you deserve”, che in italiano si traduce con “Ecco quello che ti meriti”.

E ieri, intorno alle 18, Palladino ha incarnato perfettamente questa espressione. Dopo la vittoria contro il Francoforte in quello che è stato il suo esordio in Champions League, il tecnico ha replicato anche contro il suo passato, infliggendo un amaro destino alla sua ex squadra. Sfogliando l’almanacco delle retrocessioni dalla Serie A alla Serie B, emerge un dato impietoso: mai una squadra incapace di ottenere almeno una vittoria nelle prime tredici giornate è riuscita a salvarsi. E così, tra applausi e rimpianti, Palladino ha scritto un nuovo capitolo della sua storia, dimostrando che a volte il destino sembra davvero fare giustizia da sé.

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Milan, deadline gennaio 2026: una volta per tutte capiremo le intenzioni della dirigenza | L’editoriale di Mauro Vigna

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Milan

Milan, c’è la data entro la quale capiremo, probabilmente una volta per tutte, le reali intenzioni della dirigenza e del club in generale. Vediamo meglio qui di seguito in dettaglio.

Il mese di gennaio 2026 sarà cruciale. Ogni occasione di mercato è importante, ma ritengo che questa lo sia ancora di più. Mi spiego meglio, finora quello che è sempre emerso dalla proprietà Gerry Cardinale è l’esigenza di centrare la qualificazione in Champions

E chi se ne frega se si arriva primi, oppure secondi, oppure terzi, oppure quarti. Entro le prime quattro posizioni va tutto bene. Ma è così anche per i tifosi rossoneri? Sicuramente no.

I presupposti per fare bene in questa stagione ci sono tutti. A oggi il Milan è secondo in classifica a soli due punti dalla capolista Roma e sulla panchina siede un tecnico capace e che ha dimostrato ampiamente di sapere vincere che risponde al nome di Massimiliano Allegri.

Ora la domanda è: cosa farà la dirigenza a gennaio? Accontenterà il tecnico con almeno 3 innesti di qualità in difesa, centrocampo e attacco oppure giocherà al risparmio forte dell’attuale rosa? Questo è lo snodo principale in seguito al quale capiremo meglio le reali intenzioni della proprietà AC Milan.

Acquistare tre prospetti di esperienza significherebbe lottare per lo scudetto senza minimamente nascondersi. Attendiamo sviluppi.

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