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Calcio story Mundial edition, la traversata del ’50

Cari lettori, eccezionalmente di sabato per augurarvi buon anno, bentrovati a “Calcio story”, con questo numero della rubrica inizia la lunga cavalcata che ci porterà ai Mondiali di dicembre e, di conseguenza, le storie che tratteremo sono tutte a tema. Buona lettura e buon divertimento.

Cari lettori, iniziamo l’anno con una esilarante storia che ha per protagonista la nostra Nazionale. Torniamo indietro nel 1950, anno in cui si svolse la quarta edizione dei Mondiali, la prima dopo la sosta forzata per la guerra. In quell’occasione, la manifestazione calcistica si tenne in Brasile e l’Italia,

Campione del Mondo in carica, vi partecipò ma, per raggiungere lo Stato sudamericano, all’aereo fu preferita la nave. Perché? Anzitutto va detto che all’epoca le trasvolate intercontinentali non erano così frequenti come oggi ma c’è anche un’altra motivazione riconducibile ad un episodio risalente all’anno primo, la tragedia di Superga del 4 maggio 1949.

Nacque da allora la fobia per i viaggi in areo e, con la memoria ancora fresca di quel drammatico evento, si preferì quindi la nave per raggiungere il Brasile.  Fu in realtà il giornalista Aldo Bardelli a fare questa scelta, appoggiato dal giocatore Benito Lorenzi.

La squadra arrivò in treno prima a Roma e poi a Margellina, da dove si imbarcò sulla “Sises” per iniziare il viaggio. Un viaggio che si rivelò disastroso, pieno di piccoli incidenti, e non solo per i palloni finiti in mare.

Indice

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“Calcio story”, Le testimonianze del viaggio in mare

Ci sono delle testimonianze che ci raccontano di quell’avventura che, per quanto drammatica, letta oggi fa un po’ ridere. Ecco le parole del grande giornalista Gianni Brera:

«Poi si parte, con la maledetta Si­ses, e io m’illudo che il forzato ri­poso abbia sugli azzurri lo stesso effetto che ebbe su Luigi Beccali in viaggio per i Giochi di Los An­geles, dove trionfò sui 1500 metri. Gli azzurri hanno un duro campionato alle spalle (38 partite e il resto): la preatletica sul ponte e le ventate di iodio non potranno che ritemprarli… Durante la traversa­ta – nefas auspicium – tutti i palloni cadono in mare. Lo sbar­co a Santos avviene in casco co­loniale, neanche ci si apprestasse a risalire il Niger. I facchini negri si rifiutano di scaricare il baga­glio di quei cafoni che si ritengo­no in colonia. Il giorno dopo, a San Paolo, Sperone pensa bene di far smaltire ogni ruggine ai suoi pupilli sottoponendoli a una mas­sacrata senza mercè. Sono dunque tutti imbastiti, quei poverini, quando scendono in campo per affrontare la Svezia».

La seconda testimonianza è di Angelo Rovel­li, “decano” della Gazzetta dello Sport:

«La partenza della Sises era l’avvio di un paio di settima­ne micidiali, le cui conseguenze sarebbero esplose non appena giunti a destinazione.

Certo, per i turisti che facevano le vacanze sulla Sises, la traversata era salu­tare con svaghi e riposi; ma per calciatori-atleti, non proprio in viaggio-premio, la situazione di­ventava problematica sul piano della preparazione: gli strumenti per realizzarla si presentavano del tutto aleatori.

Gli stessi Bardelli, Berretti e il mite Biancone, che dirigevano le operazioni con l’ausilio di due sperimentati tec­nici quali Ferrerò e Sperone, do­po pochi giorni non nascondeva­no qualche perplessità. Di veri al­lenamenti neppure a parlarne.

Al mattino gli Azzurri venivano ra­dunati sul ponte di prima e alle­nati con palloni leggeri che, tal­volta, maligni colpi di vento face­vano precipitare in mare. Istintivamente, come fossero collegiali. i giocatori si davano la baia accusando questo o quello di non saper trattare convenientemente la sfera.

Parve a tutti di tornare alla normalità quando l’8 giugno la Sises fece sosta a Las Palmas, dove la comitiva dopo lo sbarco fruì finalmente di un terreno di gioco per un allenamento consi­stente. Il clima appariva sereno, persino si giustificavano le mat­tane di Lorenzi, Remondini e Cappello i quali – acquistati al porto di Las Palmas tre sombreros – se ne servivano per comi­che parentesi durante le serate decisamente noiose che separa­vano le Canarie dall’arrivo a Santos.

Era difficile del resto – oltre a qualche lettura, a qualche torneo improvvisato di ping-pong, di pallavolo o del gioco della piastrella – trovare qual­che cosa di meglio per ammazza­re il tempo. Ferrerò e Sperone fa­cevano il possibile per dare agli atleti un tono muscolare ma chia­ramente con scarsi esiti. Intanto ciò che appariva evidente in tutti era la noia e in taluni il proposito di tornare in Italia, dopo i Mon­diali, con il “maledetto” aereo».

“Calcio story”, oltre alla traversata, la pessima sistemazione a San Paolo

Oltre al viaggio in nave, i problemi proseguirono dopo lo sbarco a San Paolo, dove la squadra fu sistemata in un albergo di lusso tra il diciannovesimo e il ventesimo piano. Una sistemazione del tutto inadatta a garantire la quiete di un ritiro per una competizione di quel livello.

Tanto più che in quello stesso stabile ospitava le  componen­ti di un corpo di ballo argentino di notevole presa… estetica, al punto che i responsabili della spedizio­ne azzurra dovettero fissare dei… turni di guardia ai corridoi per evitare pericolose distrazioni. Non solo. C’è un’altra testimonianza, ancora di Rovelli, che fa riflettere e spiega le cause della sconfitte all’esordio contro la Svezia:

«Ciò che rimane davvero incredi­bile è la decisione di rimanere in quell’albergo anche alla vigilia della partita con la Svezia, rifiu­tando l’invito di un ricco italia­no, la cui fattoria a Trenembé avrebbe fatto al caso proprio in quel particolare momento.

Dopo cinque giorni di ipotetico riposo, di insufficiente recupero, di alle­namenti all’acqua di rose, la Na­zionale dovette sorbirsi nella not­te del 24 giugno la famosa festa di San Giovanni, esplosa in una fan­ tasmagoria di luci e di colori ma purtroppo anche di clamori: mor­taretti, fuochi d’artificio, petardi a tener tutti desti. E un caldo ter­ribile come colpo di grazia. Impreparazione, fiato corto, muscoli arrugginiti: questa sarebbe stata la sentenza del campo: Svezia-Italia 3-2»

Per concludere, ci sono le parole del mediano Annovazzi, tra i peggiori in campo, che confessò:

«C’era in me qualcosa di indefinibile che non mi permetteva di giocare co­me avrei voluto: il mio fisico non rispondeva agli ordini del mio cervello

».  Per concludere, la traversata in mare, ombra lunga della tragedia di Superga, fu solo il primo, sia pure importantissimo, anello di una lunga catena di errori dalle malinconiche conseguenze.

L’Italia uscì ai gironi nonostante la vittoria contro il Paraguay perché il pareggio di quest’ultima contro la Svezia la eliminò. Ricordiamo che quel girone era a tre squadre per l’esclusione dell’India, quindi bastò un punto a far fuori gli azzurri.

Curiosità, perché l’India fu esclusa? Perché giocava a piedi nudi, cosa ovviamente vietata dagli organizzatori. Con questa divertente postilla si chiude il primo articolo dell’anno per questa rubrica, buon 2022 a tutti!

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Pubblicato da
Andrea Sarli
Tag: Italia

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