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Calcio story, Mundial edition: la leggenda di Bela Guttman

Oggi a “Calcio story” racconteremo la storia di Bela Guttmann, un’allenatore poco noto che portò il Brasile sul tetto del mondo, ecco perché ne parliamo ne la Mundial edition, a 123 anni dalla sua nascita. Ecco chi era Guttmann e perché è diventato leggenda.

Il 27 gennaio nasceva a Budapest Bela Guttmann, un nome che i tifosi del Benfica, soprattutto loro, ricordano benissimo e non tanto per i successi ottenuti, straordinari, quanto per l’eredità che ha lasciato.

Guttmann, discreto calciatore, divenne famoso come allenatore in Brasile, dove pare vi si fosse rifugiato essendo ebreo, e lì esportò il suo innovativo modulo di gioco, il 4-2-4, che sembra suggerì a Pelé garantendogli, in caso di applicazione, la vittoria del Mondiale. Il giovane fuoriclasse brasiliano lo ascoltò e il  Brasile in Svezia vinse la sua prima Coppa del Mondo nel 1958. Fu un allenatore giramondo prima della globalizzazione del pallone, sedendo sulle panchine di mezzo mondo come Austria, Italia, Argentina, Svizzera, Uruguay e Portogallo, dove divenne leggenda.

Dopo una parentesi negli Stati Uniti, dove il calcio era ancora acerbo, arrivò in Italia alla guida del Padova stipulando un contratto senza stipendio fisso ma solo con dei premi partita. Partì bene ma poi chiuse la stagione nei bassifondi della classifica, l’anno successivo passò sulla panchina della Triestina e poi tornerà in Italia a Milano, sponda rossonera, dove da primo in classifica verrà licenziato per una lite a bottigliate, per inconciliabili differenze, una sera nel centro della città meneghina con l’ex allenatore del Milan, ancora sotto contratto e ungherese anche lui, che l’aveva fatto sedere su quella panchina.

Da quel momento in poi fece inserire una clausola nei contratti ove vi era scritto che non poteva essere licenziato da primo in classifica. Allenerà anche il Vicenza e nel 1952, in qualità di assistente tecnico, vinse l’Oro olimpico con la sua Ungheria e quindi tornò ad allenare, stavolta il San Paolo in Brasile. Ma veniamo al 1958, quando sbarca in terra lusitana. Vince il campionato con il Porto, dove ottenne lo stipendio più un cospicuo premio vittoria, sconfiggendo gli acerrimi rivali del Benfica dove, pare per una mera questione di soldi, si trasferì l’anno successivo.

Le Águias della capitale con lui in panchina dominarono i due campionati seguenti ma è tra il 1961 e 1962 che Guttmann scrisse la storia del club portoghese, fino ad allora una squadra di semiprofessionisti e nulla più a livello europeo, anche grazie ad un certo Eusebio. Raggiunse la consacrazione internazionale riuscendo a vincere due Coppe dei Campioni consecutive, battendo le corazzate Real Madrid e Barcellona, cosa impensabile tanto che la dirigenza, a guisa di presa in giro, gli aveva offerto tre milioni al posto dei due da lui richiesti.

Ma dopo il secondo trionfo, facendo perno sul fatto che si trattava solo di una promessa mai messa per iscritto, il Benfica non gli riconobbe il premio pattuito, convinti anche che la vera forza di quella squadra era il fortissimo Eusebio e che con lui non avrebbero mai perso.

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Calcio story, la maledizione di Bela Guttmann

È una tranquilla mattina di maggio del 1962 quando Guttmann si dimette lanciando però, non contento, la sua celeberrima maledizione:

“D’ora in avanti nessun club portoghese trionferà in Coppa dei Campioni due volte di fila e il Benfica non vincerà un trofeo internazionale per almeno cento anni”.

Da quel giorno il club di Lisbona arrivò a giocare otto finali europee consecutive e, assurdo ma vero, le perse tutte, l’ultima del 2014 contro il Siviglia. Nel 1990 la squadra è a Vienna, dov’è sepolto Guttmann, per giocarsi il titolo europeo contro il Milan. Eusebio

, diventato allenatore, ordina ai suoi calciatori i fiori più costosi e si reca in pellegrinaggio con la squadra sulla tomba dello stratega ungherese, ovviamente ricordando loro di non fare il segno della croce perché era ebreo.

Pregano ma niente da fare, il Benfica ne uscirà ancora sconfitto. Di recente la società a provato a ingraziarselo con una statua davanti allo stadio ma le ultime due finali, manco a dirlo, si sono concluse con sconfitte brucianti. Forse nemmeno dedicandogli lo stadio riuscirebbero a sfatare la maledizione, un vero cult per gli amanti del pallone.

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Pubblicato da
Andrea Sarli

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