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Buffon: “All’Udinese mi scartarono perché ero troppo alto. Portiere più forte? dico Jascin”

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Caldara

Il vincitore di quattro scudetti con il Milan e uno con l’Inter, è stato intervistato in esclusiva dal Corriere della Sera. Ecco un breve estratto della sua intervista.

Buffon: “Ecco perchè mi chiamavano “Tenaglia”

Lorenzo Buffon, lei è stato uno dei migliori portieri italiani, ha vinto quattro scudetti con il Milan, uno con l’Inter, è stato per sei volte capitano della Nazionale ed è diventato il primo calciatore a sposare un volto tv, Edy Campagnoli di «Lascia o Raddoppia». Come sono i suoi 95 anni?
«Ho appena fatto una piccola operazione per un’ernia, per questo mi vede con una stampella. Ma guido ancora, faccio un po’ di ginnastica, mangio con moderazione, ho eliminato l’alcol e il fumo. Poi dipingo, sto con la mia seconda moglie Loredana e guardo le partite del mio Milan, anche se in tv parlano troppo».

Il segreto per una lunga vita qual è?
«Essere amico dei dottori e dei preti (ride): io mi sono ribattezzato Fortunato, perché ho superato tanti guai fisici, comprese tutte le fratture che ho subito da calciatore. E poi, la cosa più importante: non smettere mai di imparare qualcosa di nuovo».

È autodidatta?
«Mio padre era portiere e pittore, ho ripercorso le sue orme. Fino ai 4 anni ho vissuto a St Etienne in Francia, dove lui era andato per lavoro. Poi siamo venuti qui a Latisana: ero il classico chierichetto cresciuto con il pallone all’oratorio, almeno fino alla guerra».

È vero che l’Udinese la scartò da ragazzo perché era troppo alto?
«Sì, andai al Portogruaro e attraverso un dirigente che aveva contatti con il Milan, a giugno del 1949, un mese dopo la tragedia del Grande Torino per cui tifavo, mi ritrovai a Milano come quarto portiere. Ma scalai in fretta le gerarchie, ricordo ancora il mio amico Liedholm che mi disse: “domani tu jocare…”. E non sono più uscito, centrando il primo scudetto a 21 anni».

Il Milan non vinceva da 44 anni. Chissà che festa.
«Rientrai in caserma, a Corso Italia: ero ancora di leva».

Era il Milan del Gre-No-Li, Gren, Nordhal, Liedholm. A chi è più legato?
«Nils resta indimenticabile, mi ha insegnato tutto, perfino come portiere: tanti segreti della mia presa ferrea li devo a lui, che aveva già l’occhio dell’allenatore».

La chiamavano Tenaglia.
«Difficilmente mi facevo sfuggire il pallone: allenavo la presa stringendo per ore i tappi della birra fra le mani».

In Nazionale chi era il suo punto di riferimento in anni complicati per l’Italia?
«Boniperti, il mio compagno di stanza. Lorenzi lo aveva ribattezzato Marisa, ma Giampiero era un grande amante delle donne».

Non per niente Lorenzi era chiamato «Veleno»…
«Una volta ero in macchina con lui, guidavo io e un vigile mi fermò per multarmi in pieno centro a Milano. Perché ero con un’interista, disse. Ma riuscii a farmela togliere».

Con l’Inter ha giocato e vinto anche lei.
«Fui fatto fuori dal Milan nello scambio con Ghezzi. E mi fu impedito di giocare per un anno a Milano, tanto è vero che feci una stagione al Genoa. Colpa del d.s. di allora del Milan (il celebre Gipo Viani ndr) che non vedeva di buon occhio il mio matrimonio con Edy. Ma anche se finivo sui giornali per questioni extra calcio mi sono sempre allenato al massimo. Tanto è vero che con l’Inter ero stabilmente in Nazionale».

Fino a Cile 1962, dove era il titolare nella prima con la Germania e nella terza partita con la Svizzera, un pari e una vittoria. Perché non giocò la famosa «Battaglia di Santiago» che costò l’eliminazione al primo turno?
«Toccò a Mattrel della Juve. Ma non ho mai fatto polemica e sarebbe sciocco farla adesso».

Helenio Herrera era un duro?
«Era intelligente e furbo: se sentiva un giocatore usare una parola di troppo contro di lui, faceva finta di niente».

Come vi siete conosciuti con Edy?
«Lei veniva a vedere le partite dietro alla mia porta, poi ci siamo frequentati. E finché non ci siamo sposati non ci facevamo vedere troppo in giro per Milano. Lì vive nostra figlia Patricia. Con Edy abbiamo mantenuto ottimi rapporti, è morta giovane».

Ha giocato anche nel Resto del Mondo e nel Resto d’Europa. Chi è stato il più grande di sempre?
«Metto Di Stefano sul piano di Pelé».

Il portiere più forte?
«Jascin, un amico. Alla festa d’addio di Zoff, al quale sono molto legato, Lev mi baciò sulla bocca, alla russa, e si misero tutti a ridere. Ma ho conosciuto anche il mitico Ricardo Zamora, lo spagnolo degli anni Venti e Trenta, che mi fece uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto: ‘‘Avrei voluto avere un figlio come te” mi disse».

Del suo cugino alla lontana Gigi Buffon cosa pensa?
«Un grandissimo. Ma un po’ mi dispiace che non mi citi mai in pubblico».

Buffon

GIANLUIGI BUFFON FA IL SEGNO OK ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

All’epoca si guadagnava molto meno di oggi. Lei come si è gestito?
«Questa casa l’ho comprata coi primi stipendi del Milan, ma terminata la carriera le pensioni erano basse. Ho fatto diversi lavori, vendevo estintori e allenavo a Sant’Angelo Lodigiano. Poi il presidente Berlusconi mi fece un contratto come osservatore del Milan per il Friuli, ho scoperto Pessotto e altri giocatori. E con i “Milan club” ho girato il mondo fino al 2010: ricevo ancora lettere e messaggi dai tifosi, persino da India e Cina, guardi qui».

I giornali dell’epoca, oltre che per il matrimonio con Edy Campagnoli, la ricordavano come «il portiere che legge i romanzi russi».
«Sì, soprattutto Tolstoj: il mio preferito era Anna Karenina, ma amavo molto anche gli scrittori americani. Prima della guerra ho studiato fino alla quinta elementare, ma a Milano frequentavo le scuole serali. Poi magari uscivo con Tognazzi, Walter Chiari Mastroianni con cui avevo un bel rapporto, o Raf Vallone, calciatore e attore: ho recitato anch’io in un paio di film».

Quando ha visto Daniel Maldini in campo prima con il Milan e poi quest’anno con la Nazionale cos’ha provato?
«Una grande emozione. Ero a Udine quando suo padre Paolo esordì in A nel 1985. Nonno Cesare era un compagno e un amico e le racconto un segreto: quando andai all’Inter lo convocarono a casa mia, perché volevano prendere anche lui. Ma disse di no».

Che regalo vorrebbe per i 95 anni?
«Ho ancora tanti desideri. Ma mi basta che il Milan vinca, che l’Udinese resti sempre in serie A. E soprattutto che le sport unisca sempre di più le persone, invece di dividerle».

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Fiorentina: “Cronaca di una morte annunciata”. Il Verona vince 2-1 e sogna la salvezza

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Fiorentina

Notte nera al Franchi: la Fiorentina crolla ancora, il Verona vince 2-1 e vola a meno due dalla salvezza. Per i viola è sempre più inferno.

È buio pesto a Firenze. Lo spiraglio di luce acceso dall’autogol di Unai Núñez dura pochissimi minuti, giusto il tempo di illudere un Franchi già rassegnato, prima di spegnersi definitivamente sulla rete di Orban. Un altro colpo basso, l’ennesimo, in un momento che ha ormai poco di spiegabile per la squadra di Vanoli.

La partita parte anche con un certo equilibrio, ma è solo apparenza. Nei momenti in cui c’è da stringere i denti, soffrire, restare dentro la gara, la Fiorentina si dissolve. Succede sul primo gol di Orban, succede sistematicamente: la squadra viola appare assente proprio quando servirebbe compattezza, cattiveria, spirito di sopravvivenza. È un copione che si ripete, senza correttivi.

E dire che il clima lo aveva raccontato già prima del fischio d’inizio. In curva compare uno striscione ironico, figlio del gemellaggio con i tifosi del Verona: «Butei, chi arriva ultimo paga da bere». Un sorriso amaro, quasi profetico. Poi il campo fa il resto.

Il Verona, dopo aver battuto e travolto l’Atalanta, completa il colpaccio anche a Firenze, portando a casa sei punti in due partite che valgono il terzultimo posto a quota 12 e il sorpasso sul Pisa. La Fiorentina, invece, resta ferma a 6 punti, con una sola vittoria in 15 partite: numeri che rendono sempre più difficile anche solo immaginare una salvezza.

Alla fine piovono fischi, forti, inevitabili. Vanoli resta sotto accusa: non ha cambiato modulo quando sarebbe servito, non ha dato scosse, non ha trovato soluzioni. Il post-partita è il solito, triste rituale: giocatori increduli sotto la curva, cori duri – «Fate ridere» – e la sensazione che il fondo, orà e’stato davvero toccato.

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Pisa, Gilardino rischia l’esonero?

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Pi

Il morale non è alto in casa Pisa: con una classifica che preoccupa, le voci sul futuro in panchina di Gilardino tornano a farsi sentire.

Non si può certo dire che il morale, in casa Pisa, sia alle stelle. La sconfitta contro il Lecce ha lasciato strascichi pesanti, forse più di quanto dica il semplice risultato. Terzo ko consecutivo, settima sconfitta stagionale e una classifica che continua a preoccupare: il Pisa resta in piena zona retrocessione, con la salvezza ora distante quattro punti. Un margine non ancora definitivo, ma che inizia a farsi sentire con il passare delle giornate.

A rendere il momento ancora più delicato è stata la prestazione offerta contro i salentini, probabilmente la prima davvero insufficiente di questo campionato. Un Pisa rinunciatario, poco incisivo, lontano parente di quello organizzato e propositivo visto finora. 

Una prova che ha inevitabilmente riacceso le voci su un possibile esonero di Alberto Gilardino, già emerse un paio di mesi fa quando la prima vittoria in campionato tardava ad arrivare.

Pisa-Parma

M’Bala Nzola ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Pisa, la salvezza non è un miraggio

Limitarsi ai numeri, però, rischia di offrire una lettura parziale della stagione nerazzurra. Finora il Pisa ha spesso tenuto testa a chiunque, ben figurando anche contro le big del campionato e mostrando un’identità precisa. La classifica è stata condizionata da diversi episodi sfavorevoli, tra sviste arbitrali e una cronica imprecisione sotto porta che ha inciso più del dovuto.

I dati sugli expected goals sono emblematici: il Pisa avrebbe dovuto realizzare circa sette reti in più, un dato che lo accomuna a Hellas Verona e Fiorentina, anch’esse coinvolte nella lotta salvezza. La squadra di Gilardino gioca, produce occasioni, resta dentro le partite, ma paga a caro prezzo la mancanza di cinismo nei momenti chiave.

Per questo motivo, la sensazione è che l’allenatore non sia realmente a rischio nell’immediato. La società continua a credere nel suo lavoro e nel percorso intrapreso, consapevole che questa sarebbe stata una stagione complicata. 

Gennaio, però, rappresenterà uno snodo fondamentale: serviranno rinforzi mirati per dare più peso offensivo e provare a invertire una tendenza che finora non ha premiato il campo.

Il Pisa ha dimostrato di poter stare in Serie A. Ora tocca ai risultati confermare quanto di buono si è visto: solo così le voci sul futuro potranno lasciare spazio a una rincorsa ancora possibile.

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Fiorentina-Hellas Verona 1-2: botte da Orban, viola distrutti | Le pagelle gigliate

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Doppietta di Orban e Fiorentina ancora al tappeto: è già finito il campionato per i viola? Non si vedono rimedi ad una retrocessione annunciata.

Al 93′ Orban gela il Franchi. L’attaccante gialloblu, complice l’ennesima dormita della squadra viola, regala tre punti pesantissimi all’Hellas Verona.

L’attaccante di Zanetti entrato a metà primo tempo a sostituire Giovane infortunato, con due reti, una nel finale della prima frazione e l’altra a tempo quasi scaduto inchioda Vanoli e i suoi in una posizione che non sembra poter dare più speranze alla tifoseria viola.

Una classifica inguardabile e avvilente: ultimissimo posto in classifica con solo 6 punti, senza essere riusciti a vincere neanche una gara su 15 portano la Fiorentina di Commisso diritta in Serie B, la zona salvezza è lontana 8 punti.

Fiorentina-Hellas Verona: le pagelle viola

DE GEA 5 – Ormai anche lo spagnolo diventa una delle spine della rosa viola, altro errore di posizione sul vantaggio veneto.

PONGRACIC 6 – Prova a far ripartire l’azione, dalla sua parte l’Hellas non sfonda.

COMUZZO 5,5  – Confermato dopo la partita di Coppa, forse non dà troppa copertura sul primo gol. Ringhia sempre sull’avversario.

RANIERI 4,5 – Perde clamorosamente la sfida con Orban sul primo gol, prende la traversa ad inizio ripresa. Anche sfortunato.

Dal 15’st FORTINI 5,5 – Prova a dare un po’ di sprint, ma anche lui è distratto nel gol che chiude la gara.

DODÒ 5 – Attacca con continuità, ma la precisione non c’è.

Dal 86′ st VITI – S.v.

MANDRAGORA 5  – Oggi si vede molto poco e si sente molto poco.

Dal 15’st RICHARDSON 6 – Mette un po’ di raziocinio in mediana, forse meriterebbe più spazio.

FAGIOLI 6,5 – Nella gara più difficile, forse la sua migliore prova stagionale. Offre ottimi palloni a Kean, che puntualmente spreca.

Dal st 86′ NDOUR – S.v.

SOHM 4– Inguardabile, come il pallone che serve a Kean ad inizio ripresa, sballatissimo, e poteva essere un’occasione d’oro.

Dal 23’st DZEKO 5,5 – Raro pallone toccato, e male.

PARISI 5,5 – Dalla sua parte la Fiorentina si fa infilare a fine primo tempo, anche se lui la sua prova di generosità la fa per tutta la gara.

GUDMUNDSSON 5,5 – Sempre nel vivo del gioco, prova a farsi vedere. Spreca però un contropiede per eccesso di altruismo in modo clamoroso.

KEAN 5 – Troppi errori, troppe occasioni sprecate. Senza gol non si vince. E la Fiorentina non vince, mai.

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